La verità, vi prego, sul diventare mamma

Questo post richiede un paio premesse, un po’ come i film zozzi che devono essere contrassegnati dal bollino rosso o le pubblicità dei Sofficini in cui una piccola scritta ci avverte che il sorriso di formaggio che si forma affondando la forchetta è frutto si una spudorata simulazione al computer (avvertimento che tra l’altro non mi ha mai impedito di tentare inutilmente di riprodurre il suddetto sorriso, ma questa è un’altra storia…). Prima precisazione: quanto leggerete si basa esclusivamente sulla mia esperienza, in quanto tale limitata e priva di qualunque rappresentatività statistica. Secondo: sono perfettamente consapevole che il fatto di avere avuto un figlio sano sia una benedizione straordinaria (o una fortuna sfacciata, scegliete voi la formula che preferite). Convivere quotidianamente con la disabilità, la malattia, l’invalidità è semplicemente eroico – io, evidentemente, non avrei questa forza. Terzo e ultimo: non sono depressa e amo con tutto il cuore mio figlio. È solo che mi sta a cuore raccontare alcune cose sulle quali di solito le madri, neofite e navigate, nicchiano. Forse perché il mondo le farebbe sentire inadeguate se solo osassero ammettere la verità.

Latte, amore e frustrazione
Dopo la sua nascita, avvenuta l’8 febbraio scorso dopo un inutile travaglio durato tutta una notte (inutile perché alla fine me l’hanno strappato dalle viscere con un cesareo), mio figlio ha pianto senza posa per tre mesi. Ovvio, direte: è un neonato, cosa vuoi che faccia? Solo che lui piangeva di dolore, per ore e ore, senza poter essere consolato in alcun modo legale o raccomandabile per un bambino di poche settimane. Urlava come un disperato, andando in apnea, diventando cianotico e sudando freddo. Si dimenava, scalciando come un cavallo in calore e serrando i pugni con tutta la forza che un duemesenne può avere. Si graffiava il viso a sangue. Spargeva lacrimoni, sbarrando gli occhi e guardandoti come se stesse bruciando vivo e tu ti limitassi a contemplarlo con aria annoiata. Nelle giornate buone, che grazie a Dio sono progressivamente aumentate di numero col passare dei mesi, questo horror show andava avanti al massimo per un’ora, ma le crisi peggiori sono durate anche mezza giornata, spesso sotto lo sguardo inquisitore di parenti e conoscenti in visita. Roba da far saltare i nervi anche a Madre Teresa di Calcutta.
Il motivo di tanta sonora sofferenza? Quelle che un buontempone sconosciuto ha battezzato “colichette gassose del neonato” (-ette ‘sti cavoli!). In altre parole: dell’aria nella pancia ha messo a dura prova il mio sistema nervoso (e l’udito già labile di mio marito) per settimane. Un disturbo benigno, per carità. Niente che il bambino non dimentichi nel momento stesso in cui termina lo spasmo. Ma, lasciatevelo dire, un autentico strazio. Vedere il tuo minuscolo figlio che si contorce dal dolore senza poterlo aiutare efficacemente, arrivare a sentirlo piangere “nella tua testa” anche quando dorme beato, doverti sorbire i consigli geniali di tutto il vicinato e gestire le domande ansiogene di amici e parenti non è esattamente il modo migliore per recuperare dal parto. L’unica cosa che posso dire a chi si trova ancora alle prese con l’inferno dei mal di pancia (e lo dico piano piano, perché non si sa mai): prima o poi passa, o per lo meno inizia ad andare ogni giorno un po’ meglio…

L’allattamento al seno è una gran cosa. Ma è anche una fatica altrettanto grande.
Ho la fortuna di avere molto latte. Talmente tanto che la Lola mi ha proposto di tenere a balia il suo ultimo vitello e che sono in trattativa con la Sperlari per aprire uno stabilimento delle Galatine nella mia camera da letto. Che gran c**o, penserà qualcuno, e in effetti è la verità. Molti soldi risparmiati, pappa sempre pronta e facile da servire, nutrienti perfettamente bilanciati per il manz… ehm, per il pupo, un legame affettivo con lui che si consolida ad ogni poppata. Ma anche la responsabilità di essere  a disposizione del bimbo accaventiquattro, come si dice adesso. Giorno e notte, sette giorni su sette, per mesi interi. Difficile “evadere” anche solo per un paio d’ore, visto che il richiamo della tetta può scatenarsi, senza preavviso, in qualsiasi momento. E poi: rinunce alimentari, tensione mammaria, crampi uterini, niente farmaci se hai la sfortuna di ammalarti. Insomma, non proprio una passeggiata. Mentre scrivo, mio figlio sfiora gli 8 kg di peso, che per un bimbo di poco più di tre mesi è quasi un record, e io ho intenzione di proseguire con l’allattamento esclusivo fino a quando lui starà bene e io ne avrò le energie (almeno fino ai sei mesi raccomandati dall’Organizzazione mondiale della sanità), però non giudicherei mai una mamma che dovesse scegliere di astenersi e ripiegare sul biberon. Non sentitevi una caccola se siete tra queste, anche se la prima domanda che le madri benpensanti vi fanno, di solito, è: «Gli dai il tuo latte?».

Il lavoro? Parliamo d’altro
Se avete avviato una brillante carriera lavorativa prima di restare incinte, se avete intenzione di farlo e vivete in Italia, aspettatevi di avere qualche difficoltà, per usare un eufemismo spinto. Per la maggioranza dei datori di lavoro nostrani, anche molti di quelli “progressisti” e “illuminati”, la collaboratrice-madre è il male supremo. Il nemico da annientare a suon di sensi di colpa e ricatti morali (anche materiali, perché no: mai porre limiti alla fantasia dei boss italiani). Dunque: consideratevi fortunate se siete tra quelle che hanno mantenuto il posto di lavoro anche dopo la Cicogna. Se poi avete goduto anche di diritti come la maternità e i permessi per l’allattamento, non lesinate in lacrime di commozione e novene di ringraziamento ad almeno una divinità a vostra scelta.

Una donna per amica
Rassegnatevi. Se si dice “senso di fratellanza” e non “di sorellanza”, un motivo ci sarà. La solidarietà non è roba per donne. Se avrete fortuna come la sottoscritta, troverete al vostro fianco qualche amica, cugina (o sorella) o addirittura madri e zie capaci davvero di non giudicarvi, e di sostenervi in modo sincero e costruttivo. Ma, per il resto, le donne che vi circondano cercheranno in tutti i modi, più o meno consapevolmente, di rallentare il più possibile la vostra ripresa e di spingervi a grandi falcate incontro alla più feroce delle depressioni post partum. Oltre a seppellirvi sotto una coltre pesantissima di consigli non richiesti, le già-madri riusciranno a sfoderare i peggiori sguardi di sufficienza e a criticare, di solito in modo subdolo, finanche il colore dei calzini che avrete scelto per vostro figlio. Le non-ancora-madri, dal canto loro, si abitueranno a guardarvi con un misto di commiserazione e disgusto, sottolineando con luciferina nonchalance i chili di troppo che vi sono rimasti sui fianchi o le rinunce alle quali, inevitabilmente, sarete costrette ora che è nato il bambino (Ma «Ifiglisonolagioiapiùgrande», come no…).

I figli so’ piezze ‘e core
Poi, naturalmente, c’è l’invidiabile routine delle neomamme: veglie notturne, rigurgiti nauseabondi, carillon deprimenti, visite sgradite, poco sesso e zero tempo per sé (roba che anche fare la pipì può diventare un lusso). E inoltre, chili di cacca liquida, e su questo aprirei un piccolo inciso: ripulire il proprio figlio neonato dalle sue deiezioni è una cosa che, in fondo, una madre media fa senza troppo sacrificio. Ma da qui a dire che “lacaccadeibambininonfaschifo”, perdonatemi, ce ne passa. La storia della “cacchina santa”, per me, è emblematica dell’ipocrisia che ancora alligna intorno alla questione della maternità. Che sarà anche la cosa più istintiva del mondo, ma, sarebbe ora di ammetterlo senza falsi pudori, rappresenta un’impresa molto faticosa, talvolta alienante, oltre che una limitazione permanente della propria libertà. Vivere ogni giorno della propria vita sapendo che si è scelto di mettere al mondo un essere umano: riuscite a pensare a una responsabilità più grande, a una sfida più impegnativa? Che poi ne valga la pena, questo è un altro discorso.

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5 Commenti

fafi 16 Maggio 2013 - 14:46

Resistencia, siempre!

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Marianna 16 Maggio 2013 - 15:02

🙂 meno male che non sono la sola… ora mi sento meno "anormale!PS per un paio d'ore di libertà (non di più purtroppo) hai provato il tiralatte?

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Anonymous 16 Maggio 2013 - 16:02

a proposito di consigli non richiesti… @Marianna

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Silvana 16 Maggio 2013 - 16:32

Calma, calma… :)Non ho avuto una bella esperienza col tiralatte, ma in effetti sono mesi che non ci provo. Forse ritenterò!

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Rita 16 Maggio 2013 - 16:36

concordo su tutto, soprattutto sulla "solidarietà" tra donne. E' la cosa che mi ha spiazziato di più e anche intristito. un abbraccio grande!!! PS una cosa positiva: man mano che il bimbo cresce la strada inizia in discesa, già finire le cacche liquide…anche se sono già entrata nella fase: "A quanto un altro?"

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