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cosleeping

babywearing

Alto contatto: decide la madre o il bambino?

by Silvana Santo - Una mamma green 10 Gennaio 2019

Mi capita spesso, da quando sono madre e per giunta blogger, di leggere post in cui si discute del cosiddetto “alto contatto”. Da una parte le fautrici di questa filosofia di “maternage” (fascia, cosleeping, allattamento prolungato etc), dall’altra quelle che in qualche modo si professano scettiche, se non addirittura sarcastiche. Chi è d’accordo e chi non lo è, chi promuove e chi smonta, chi millanta e chi ironizza.

Quello che sfugge, di solito, a chi scrive questi commenti sull’alto contatto, è un particolare che a me sembra invece importantissimo. Cruciale, oserei dire. E cioè che in molti casi non è la madre a scegliere. Non sono i genitori a decidere. Di solito, almeno per l’esperienza mia e di tante famiglie che conosco, quella del cosiddetto “alto contatto” è una esigenza specifica del bambino. Una sua scelta. Quello che resta appannaggio degli adulti è solo decidere se assecondare questa richiesta – e in che misura farlo – o meno, aspettando, in un certo senso, che il piccolo “si rassegni” e rinunci, per così dire, ad aspettarsi certe cose e a chiederle con ogni mezzo.

Mi spiego meglio: se mio figlio, da neonato, fosse riuscito ad addormentarsi senza tenermi la mano o un dito, non mi sarebbe mai venuto in mente di essere io a prendergli la manina di mia iniziativa. Se la mia secondogenita fosse stata serena e tranquilla nella sua carrozzina, io ce l’avrei lasciata volentieri (riservando magari la fascia o il marsupio a situazioni particolari come i viaggi, le escursioni, le passeggiate più impegnative). Se lei avesse dormito placida dentro una culla, o anche semplicemente sul letto, non avrei avuto proprio nulla in contrario a metterla a dormire in un posto diverso dalle mie braccia o dal mio petto. Ma invece, ed è proprio questo il punto, entrambi i miei figli (anche se in misura diversa e con modalità distinte) hanno mostrato sempre un bisogno profondo di contatto fisico, presenza, vicinanza, contenimento. E, in modi diversi, lo fanno ancora adesso che sono relativamente cresciuti.

Avrei potuto scegliere di non rispondere a queste loro richieste, certo. Probabilmente, dopo alcune – poche, tante o tantissime? – notti di pianto si sarebbero abituati anche a dormire da soli, a non stare in braccio né in fascia. La mia decisione è stata quella di assecondare la loro natura, di rispondere in modo affermativo a quella che era una evidente necessità soggettiva di Davide prima e di Flavia poi. In questo senso, è vero, l’alto contatto è stata comunque una “mia scelta”. Ma si tratta di un percorso che non ho imboccato per partito preso, sulla base di un principio o di una considerazione aprioristica. Mi ci hanno condotto i miei figli. Se loro fossero stati diversi, sarei stata a mia volta una madre diversa.

10 Gennaio 2019 9 Commenti
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Dormire con i figli nel lettone: pro e contro del cosleeping

by Silvana Santo - Una mamma green 1 Ottobre 2018

Prima di avere Davide e Flavia, pensavo che dormire con i figli nel lettone fosse qualcosa di molto simile all’inferno in terra. Schiena a pezzi, sonno discontinuo, intimità coniugale azzerata, il mio bel materasso comodo minacciato da fluidi corporei e germi ostinati. E, complici certe opinioni più o meno professionali ancora diffuse, ero convinta che condividere il letto, o addirittura il guanciale, coi propri figli, potesse essere diseducativo, se non proprio dannoso per la crescita dei bambini. Che li rendesse deboli, dipendenti, insicuri. Il cosleeping, insomma, per me era il male supremo. Ne ero convinta al punto di trascorrere i primi mesi della vita di mio figlio senza dormire, pur di rimetterlo sul suo materasso di qualità dopo ogni poppata. E di convincerlo ogni volta a restarci.

Dormire con i figli nel lettone: non per tutti

Un bel giorno, dopo tanto rimuginare, documentarmi e patire, ho deciso che in fondo potevo ammorbidire la mia posizione (e poggiare la mia testa esausta su un bel materasso comodo). In poche parole, ho cambiato idea, per disperazione ma anche per scelta: ho compreso infatti che per mio figlio – il che, va da sé, non vuol dire che sia così per tutti – dormire accanto a sua madre e suo padre era davvero un’esigenza profonda. Un po’ come per me lo era riuscire a dormire almeno qualche ora, tutti d’accordo, dunque. Ho assecondato il suo bisogno, perché ho capito che in fondo non era incompatibile col mio. Ho capito che ero così refrattaria a condividere il letto con mio figlio non perché la prospettiva in sé mi risultasse sgradevole o insostenibile, ma perché mi sembrava “sbagliato”, perché mi sembrava una debolezza, un’indulgenza eccessiva, una cattiva abitudine cui cedere per stanchezza o mancanza di “polso”. Se Davide, e sua sorella dopo di lui, avessero dormito placidamente sui materassi comodi delle loro cullette, non avrei mai pensato di tenerli nel lettone. E, allo stesso modo, se il cosleeping mi avesse impedito di riposare, avrei trovato un’altra soluzione.

cuscino plaffy per bambini

Cosleeping: il materasso comodo è tutto

La verità è che per la mia famiglia – per le nostre abitudini, per le nostre caratteristiche fisiche e caratteriali e per la struttura della nostra casa – il cosleeping è una soluzione che funziona, ma questo non vuol dire che sia lo stesso per gli altri. Il segreto, per me e mio marito, è stato poter puntare sul materasso giusto. Non solo un materasso comodo, un materasso di qualità e sicuro, ma soprattutto un materasso grande, molto grande. Due materassi, per dirla tutta. Le dimensioni della nostra camera, infatti, ci hanno permesso di affiancare un letto singolo al nostro matrimoniale, in modo da avere più spazio e dormire tutti abbastanza bene. Dubito che, altrimenti, saremmo riusciti a gestire la situazione. È anche una questione di rischi: per evitare pericoli legati alla morte in culla, ma anche schiacciamenti e cadute, occorre dormire non solo su un materasso comodo, ma anche su un materasso relativamente rigido e abbastanza spazioso, che permetta di scongiurare il surriscaldamento e garantire una gestione sicura e salubre di cuscini e coperte (i bambini piccoli devono riposare supini, senza cuscino, senza coperte e in ambienti non troppo caldi).

Bambini nel lettone: pro e contro

Alle condizioni di cui sopra, per quella che è la mia personalissima esperienza, i lati positivi del cosleeping sono parecchi: intanto, una gestione dell’allattamento notturno più semplice, e quindi una maggiore qualità del sonno per la madre. Poi, una semplificazione delle operazioni di “messa a letto”: andando a dormire tutti insieme, è più semplice che i bimbi piccoli vivano l’addormentamento con serenità, specie se corrisponde con una poppata (no, un materasso comodo spesso non basta a convincerli!). A noi ha aiutato molto per impostare una routine del sonno stabile e serena. Gli aspetti negativi sono per lo più di natura pratica, e consistono per esempio nella prevenzione dei danni da pipì: noi, per esempio, avevamo risolto con un coprimaterasso impermeabile non solo sul letto “extra”, ma anche sul lettone.

E la privacy?

Per quanto riguarda infine l’intimità di mamma e babbo, direi che la questione è molto soggettiva. Se i bambini sono abituati ad andare a letto presto, e se la casa dispone di un altro ambiente in cui “intrattenersi”, direi, sempre in base alla mia esperienza, che il cosleeping non è incompatibile con una vita di coppia appagante e serena.

materasso made in italy bambini

Post in collaborazione con Plaffy, azienda italiana che produce materassi e cuscini di qualità, made in Italy e innovativi, concepiti per migliorare il benessere durante il sonno. Tre strati diversi che assicurano confort, longevità e regolazione termica. Plaffy offre anche una linea baby di materassi comodi (adatti per bambini dai 6 mesi ai 14 anni) e cuscini (indicati dai 3 ai 10 anni) di alta qualità, prodotti in Italia con amore e con un occhio di riguardo alla sostenibilità ambientale.

1 Ottobre 2018 0 Commenti
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essere madre

Il vizio dei vizi

by Silvana Santo - Una mamma green 26 Aprile 2018

Prima di avere figli, l’idea che un genitore dividesse il letto con la prole mi faceva davvero orrore. Il cosleeping (o più semplicemente “piazzare i figli nel lettone”) mi sembrava una scelta funesta, per le ragioni più disparate. Fine delle dormite comode. Morte dell’intimità di coppia. Inibizione totale della maturazione del bambino. La quintessenza della pigrizia materna, una specie di resa di fronte a quello che mi sembrava il caposaldo fondamentale dell’educazione di un bambino piccolo. Il vizio dei vizi. Come non esitavo a sottolineare alle povere mamme che mi capitavano a tiro. Ho dunque passato i primi mesi di vita del mio primo figlio a tentare di convincerlo, dopo ogni poppata, che il lettino fosse il posto migliore per lui. O perlomeno l’unico consentito. Lo facevo con una ostinazione sorda e cieca. Nonostante la stanchezza, il mal di schiena, il freddo delle notti invernali. Nonostante, soprattutto, l’evidenza del fatto che per mio figlio restare solo durante il sonno fosse una sofferenza evidente. Una specie di piccolo abbandono. È stato questo, alla fine, che mi ha fatto cambiare idea. Che ha vinto le mie resistenze in fatto di “vizi” e buona educazione. Non già la stanchezza, non già il mal di schiena, con buona pace di quello che avranno pensato gli altri. La disperazione con cui mio figlio cercava di comunicarmi quella che per lui, a pochi mesi di vita, era evidentemente una necessità primaria. Accettare mio figlio nel nostro letto è stato per me un gesto profondamente simbolico. Uno spartiacque tra la madre che pensavo di dover essere e quella che in realtà sentivo di essere. Un passo fondamentale nella direzione dell’accettazione di me, di mio figlio e del nostro diritto all’autodeterminazione. Condiviso naturalmente con suo padre che, piuttosto che essere sfrattato dal talamo nuziale (come spesso accade dopo la nascita dei figli) mi ha aiutato a sistemare, accanto al nostro matrimoniale, un letto singolo che ci permettesse di dormire tutti insieme, comodi e al sicuro. Il nostro super letto a tre piazze ha poi accolto la secondogenita (e il gatto di casa, che prima dei figli veniva confinato in cucina), che non ha mai dormito in una culla. A distanza di tanto tempo, posso dire che dormire accanto ai miei figli è una delle esperienze più dolci e più gratificanti che abbia fatto in tutta la mia vita. Risponde a un richiamo primitivo, ancestrale, che ho invano cercato di soffocare per tanto tempo. Rappresenta una piccola liturgia quotidiana che appartiene a noi 4 (anzi, 5!) e a nessun altro. Il momento di andare a letto come un appuntamento sereno e naturale. Senza stress, senza discussioni. Senza implorazioni. Davide che si addormenta dicendomi “Ti voglio benissimo”. Flavia che ci chiede di tenerle la mano mentre le raccontiamo una storia. I loro respiri, il loro odore, le loro espressioni nell’innocenza del sonno, sono la mia casa. Non esiste, forse, un altro momento in cui io senta più forte di appartenere a una famiglia. Non durerà a lungo, naturalmente. Ma il ricordo di aver dormito tante notti in quella tana calda e affollata che è il nostro letto mi accompagnerà per tutta la vita. Non ringrazierò mai abbastanza mio figlio per avermi convinto a cambiare idea. Per avermi avvicinato un po’ di più alla madre che sono e che voglio essere. (E, per la cronaca, la vita privata della coppia di cui faccio parte va benissimo. Forse, stando alle confessioni che spesso raccolgo mio malgrado, anche meglio di quella di tante persone che non dividono il letto coi figli, o che figli non ne hanno affatto).

26 Aprile 2018 5 Commenti
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essere madre

Tutti gli orrori del cosleeping

by Silvana Santo - Una mamma green 21 Novembre 2016

A casa nostra, l’ho raccontato diverse volte, dormiamo tutti insieme in un grande letto a tre piazze, composto dal nostro caro talamo matrimoniale e da un letto singolo ad esso affiancato. All’inizio il cosleeping è stata una scelta fatta con tante remore e solo per non soccombere alla disperata stanchezza, dopo mesi passati a gestire le poppate notturne e i risvegli continui del primogenito. Quando è nata sua sorella, poco più di un anno e mezzo dopo, semplicemente non c’era più spazio in camera per pensare di aggiungere una culla, per cui ci siamo ritrovati, senza farci troppe domande, a dormire tutti insieme appassionatamente. Ed è così che ci ritroviamo tuttora, dopo altri due anni. Con mio piacere, devo dire alla fine, perché nonostante le grandi preoccupazioni iniziali, adoro le notti passate tutti vicini a coccolarci. Mi piace sentire il respiro tranquillo dei miei figli accanto a noi, mi piace poter rimboccare loro il piumone quando mi sveglio e li trovo scoperti, mi piace svegliarci tutti insieme tra carezze e bacini. Quando loro stanno poco bene, inoltre, mi fa stare più tranquilla la possibilità di averli vicini, e poter capire al volo se respirano male, se hanno la febbre altissima e via dicendo.

Il “dormire nel lettone”, insomma, è una delle cose per cui ringrazio i figli di avermi fatto cambiare idea rispetto a quello che pensavo prima di diventare madre. Però ci sono delle circostanze in cui dividere il letto con la prole può essere davvero un’esperienza per stomaci forti. Se vi state chiedendo se dormire o meno tutti insieme è una scelta adatta alla vostra famiglia, ecco dunque per voi tutti gli orrori del cosleeping.

Il cosleeping e lo spannolinamento

Col primogenito ci è andata di lusso: una sola esondazione notturna, e tutta sul letto singolo (di incerata munito) in cui dorme Davide accanto al lettone. Ma ci sono un sacco di bambini che hanno bisogno di tempo per abituarsi a gestire la pipì durante la notte. E se il loro letto è lo stesso in cui dormono mamma e papà, posso immaginare che non sia davvero un’esperienza piacevole. Vedremo cosa accadrà se quando sarà il momento di spannolinare Flavia lei dividerà ancora il letto con noi. Male che vada, mi procuro una muta da sub, che magari mi snellisce pure.

Il cosleeping e la gastroenterite

Come ho scritto sui social, nei giorni scorsi la mia famiglia è stata fiaccata dalla solita epidemia novembrina di vomito e cagotto. In questa sede mi guarderò bene dall’entrare nei dettagli più splatter, limitandomi a raccontarvi che due notti fa ho passato circa un’ora a ripulire i letti da una notturna e violenta “eruzione gastrica” (non mangerò pennette al ragù per almeno due anni, credo), ma sappiate che se al momento del fattaccio mi fossi trovata nel mio letto, invece che sul divano a guardare un film su quanto forte si dopasse Lance Armstrong, forse a quest’ora sarei ancora ricoperta di vomito. E sarei in stato catatonico per lo shock e il ribrezzo.

Il cosleeping e lo zoo

Sì, perché quando si sceglie di dormire coi propri figli, non si pensa mai che in realtà ci si appresta a dividere il letto anche con un vasto e vario campionario di bestie di peluche (noi al momento abbiamo, a rotazione o tutti insieme, Johnny, Orsacchiotto e Sassolino), bambole più o meno morbide, macchinine, dinosauri appuntiti e quant’altro. Più che un cosleeping è un grosso casino, insomma.

Il cosleeping e le docce notturne

Non so se capiti solo ai miei figli, fatto sta che loro vogliono sempre bere di notte. Con conseguenze facilmente immaginabili sul tasso di umidità dei loro genitori. Fortuna che Artù dorme in fondo al letto, almeno lui rimane sempre all’asciutto.

21 Novembre 2016 17 Commenti
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una mamma per due

Cosa pensa una madre se entrambi i figli dormono tutta la notte

by Silvana Santo - Una mamma green 4 Marzo 2015

Ecco quello che pensa la madre media quando i suoi due figli sotto i due anni dormono tutta la notte.

L’ipotesi dr House
I bambini stanno male. Narcolessia, mosca tze-tze, ebola. Forse è colpa del vaccino. Fatto sta che sono talmente deboli che non riescono a piangere, a poppare, a rompere le scatole. Più che un sonno, un precoma.

Il complotto alieno
Una cellula di invasori venusiani li ha rapiti e sostituiti con androidi di ultima generazione (ricordarsi di concordare con gli alieni sequestri regolari a cadenza bisettimanale).

La profezia di San Giovanni
L’Apocalisse è vicina. I cerchi nel grano, il Vesuvio, la Faglia di San Andreas. L’asteroide Apophis. Moriremo tutti entro 48 ore, non c’è altra spiegazione. Ma almeno ci presenteremo a Belzebù senza troppe occhiaie.

La teoria erpetologica
I bambini hanno dormito perché non mangiano abbastanza. O forse hanno mangiato troppo e sono stati stroncati da una digestione da anaconda.

Attenti a quei due
In realtà hanno solo fatto finta di dormire. Si sono messi d’accordo per far fuori i genitori e progettano di colpire quando avranno ottenuto la completa fiducia di mamma e papà.

La mamma Valium
I bambini, probabilmente, hanno reclamato attenzione come tutte le altre notti, ma la mamma (e il papà) ha raggiunto l’Empireo della stanchezza, il Nirvana della sonnolenza, il Gran Premio della Montagna della prostrazione fisica. Loro erano svegli, ma lei non li ha sentiti.

Il  Zyklon B
Sono stati i vapori dell’aerosol, che ormai ristagnano in casa come la nebbia in un romanzo di Rosamunde Pilcher.

La fredda verità scientifica
È stato semplicemente un caso. Giusto per farti tornare le mestruazioni e poi ricominciare ad allattare tutta la notte, tutte le notti.

4 Marzo 2015 15 Commenti
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mamma greenuna mamma per due

Mucchio selvaggio

by Silvana Santo - Una mamma green 28 Novembre 2014

Da quando è nata Flavia, il nostro maxi letto a tre piazze ha assunto definitivamente le sembianze di un accampamento berbero (o del castello di Craster del Trono di Spade). Cuscini, trapunte, plaid e copertine delle fogge più disparate vestono il letto matrimoniale e quello singolo che vi abbiamo affiancato qualche mese fa.

In realtà, nonostante l’apparente anarchia, niente è lasciato al caso, e ogni cosa è stata studiata per garantire il massimo comfort e la totale sicurezza a tutti gli occupanti del super talamo: la disposizione, il tipo di coperte, la quantità di cuscini. Flavia ha il suo spazio protetto, tra la parete e il mio corpo, supina su un materasso rigido, ben lontana dal piumone e cinta dal suo cuscino allattamento ecologico. Davide non può rotolare  accidentalmente giù dal letto, Artù ha il suo plaid su cui impastare e fare le fusa, e noi adulti, per quanto dispiaciuti di non dormire (temporaneamente) l’uno accanto all’altra, abbiamo spazio a sufficienza per riposare comodamente. C’è finanche un piccolo angolo del cambio allestito per le esigenze notturne dell’ultima nata (che viene lavata sistematicamente durante il giorno, per cui nottetempo si accontenta senza conseguenze di qualche salviettina ecobio).

Solo un paio di anni fa avrei provato orrore alla prospettiva di una tale promiscuità (e so che i tanti detrattori del cosleeping staranno seriamente rischiando una sincope…), ma noi al momento siamo sereni e soddisfatti. Non solo perché dormire tutti insieme ci consente di riposare in modo decente, sfruttando al massimo le ore di sonno che ci vengono concesse, evitando di raffreddarci, fare rumore, accendere la luce, etc. Ma perchè di notte, in camera nostra, si respira un’aria buona. Un’aria di pace e di famiglia, di carezze e sicurezza. Di calore e di fiducia. Un’aria di tana. Come se fossimo i primi uomini al riparo nella loro caverna calda, o gli ultimi esemplari di Homo sapiens sulla Terra che si confortano al chiarore di un piccolo Led di cortesia.

So per esperienza che non è il sonno condiviso a minare l’affiatamento di una coppia di genitori (semmai può diventare un alibi per amanti in difficoltà che non hanno il coraggio di guardarsi in faccia e ammettere di avere dei problemi), so che la privacy e l’intimità possono sopravvivere con sorprendente vigore anche al di fuori di un letto nuziale, che non è un stanza vuota a far funzionare le cose tra un uomo e una donna.

Quindi mi godo il mio pacifico affollamento notturno, finché dura. Comprendendo benissimo che non è un’opzione valida per tutti, ma che per noi, al momento, funziona a meraviglia.

28 Novembre 2014 18 Commenti
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Cosleeping: scelta naturale o cattiva abitudine?

by Silvana Santo - Una mamma green 28 Gennaio 2014

Quando era piccola io, si diceva semplicemente “dormire nel lettone di mamma e papà”. Poi anche questo concetto è stato travolto dalla moda dilagante dell’anglofonia ed eccoci qui a parlare di cosleeping, o della sua più precisa variante cobedding (che si riferisce in modo più chiaro al condividere il letto con il proprio figlio, mentre la prima espressione può alludere anche semplicemente al dormire nella stessa stanza del bambino).

La pratica di far dormire la prole con sé è antica come il mondo, ed è ancora diffusa in tanti posti del Pianeta, dalla “moderna” Scandinavia al più tradizionalista Giappone, passando per la Gran Bretagna e per molte società africane e orientali. In Italia, o almeno dalle mie parti, è rimasta assai radicata fino a quando le famiglie che potevano permettersi più di un bilocale rappresentavano una sparuta minoranza. Adesso, la tendenza dominante mi sembra quella di attrezzare una cameretta in cui sistemare il nuovo inquilino il prima possibile.

Ma qual è la scelta “migliore”, ammesso che abbia senso farsi questa domanda? La mia sensazione è che il cosleeping sia uno dei classici temi su cui sia stato detto e scritto tutto e il contrario di tutto. E quando dico “contrario” non esagero.

cosleeping3

© Unamammagreen

Per le psicologhe del corso pre-parto che ho seguito durante la mia gravidanza, per dire, la maggioranza dei problemi comportamentali in bambini e preadolescenti dipende proprio da un tardivo sfratto dall’alcova dei genitori. Diversi manuali di puericultura, inoltre, avvertono dei pericoli fisici del lettone condiviso, che riguardano soprattutto i bambini più piccoli: schiacciamenti, cadute accidentali, soffocamenti e terrificanti strangolamenti da lenzuola impazzite.

Esiste però una scuola di pensiero completamente opposta, anch’essa molto accreditata tra psichiatri e neurologi infantili, secondo la quale dormire insieme a mamma e papà è invece la soluzione ideale per i bambini. Perché li aiuta a sentirsi sicuri, favorisce l’allattamento al seno e la gestione dei risvegli, permette di godere appieno, anche nottetempo, delle cure prossimali indispensabili per diventare adulti consapevoli e sicuri di sé. Quanto alle problematiche di sicurezza, basterebbe scegliere un materasso abbastanza rigido, evitare coperte e cuscini accanto al bambino e astenersi rigorosamente da fumo, alcol e droghe (anche i genitori obesi, in realtà, dovrebbero evitare di dormire insieme ai propri figli).

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28 Gennaio 2014 23 Commenti
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libri

Libro del mese: E se poi prende il vizio?, di Alessandra Bortolotti

by Silvana Santo - Una mamma green 20 Dicembre 2013

E-se-poi-prende-il-vizioAllora non sono completamente fuori di testa! È la prima cosa che ho pensato leggendo “E se poi prende il vizio?” di Alessandra Bortolotti (edizioni Il Leone Verde, collana Il Bambino Naturale, 232 pp, 2010). Il libro punta a sfatare quelli che l’autrice ritiene dei falsi miti in materia di educazione dei bambini, specie se molto piccoli, esortando le madri, in buona sostanza, a seguire il proprio istinto più che i consigli di parenti, amici e libri che propongono metodi infallibili per conciliare il sonno o per contrastare i cosiddetti capricci.

Alla base di “E se poi prende il vizio?” c’è la convinzione dell’autrice (psicologa perinatale, consulente e mamma) che l’ideale per i bambini piccoli siano le cure prossimali, quelle cioè basate sulla presenza costante e ravvicinata del genitore, sul contatto fisico, sull’esperienza di vita pelle a pelle. In quest’ottica, scelte come l’allattamento al seno prolungato, l’intervento tempestivo dinanzi al pianto, il babywearing e il cosleeping sono indicate come le più naturali, e soprattutto come le più efficaci nel rendere il bambino sicuro di sé e capace di fidarsi del prossimo.

Alessandra Bortolotti ritiene che quelli considerati tradizionalmente “vizi”, capricci o cattive abitudini cui non indulgere siano in realtà espressione di reali e radicati bisogni del bambino, che necessitano una risposta tempestiva e quotidiana. Perché solo rispondendo alle necessità naturali di un bimbo piccolo lo si può aiutare a diventare un adulto autonomo e indipendente.

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20 Dicembre 2013 6 Commenti
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essere madre

Sono tutte puericultrici con i figli degli altri. Anche io.

by Silvana Santo - Una mamma green 18 Ottobre 2013

Sottotitolo: solo gli idioti non cambiano mai idea

Prima di diventare madre ero convinta di sapere alla perfezione che madre sarei diventata. Una di quelle mamme tutte d’un pezzo, affettuose e presenti, ma granitiche nei loro principi educativi. Incrollabili come le Vele di Scampia. Magari non proprio inflessibile come Tata Lucia (e possibilmente manco frigida come la signorina Rottermeier), ma sempre capace di distinguere il bene dal male e di indicare alla prole la strada giusta, proprio come una torcia intermittente a risparmio energetico. Una specie di Mary Poppins stonata ma coi piedi dritti, insomma. Ma questo, per l’appunto, era prima. Mai cambiato tante opinioni come da quando mi hanno cavato mio figlio dal ventre.

Prendiamo l’allattamento. Sempre stata convinta di allattare, certo, ma anche di smetterla non appena lo avrei ritenuto “opportuno”. I bimbi grandicelli abbarbicati alla tetta mi facevano un po’ impressione, per dirla tutta (mai quanto le loro madri, comunque, che giudicavo morbose e lesive dell’autonomia dei propri figli) ed ero assolutamente sicura che “a noi non sarebbe mai accaduto”. Poi ho scoperto che l’OMS e la FAO – stiamo parlando delll’Organizzazione mondiale della sanità e l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, mica di Elisir e Medicina 33! – raccomandano di nutrire i bambini esclusivamente col latte di mamma per almeno 6 mesi, e di continuare ad allattarli, una volta introdotti gli alimenti solidi, anche fino ai 2 anni e oltre.

Stessa cosa per il cosleeping. Quando sentivo di genitori che dividevano il letto con la prole, mi partiva il sopracciglio, prima. Gli occhi roteavano spontaneamente, la bocca si storceva in modo incontrollabile. Intonavo un requiem alla loro vita sessuale, immaginavo scenari raccapriccianti di neonati soffocati da grovigli di coperte e pigiami a righe, compativo quei figli vittime di cotanto lassismo. Giudicavo male quelle madri e quei padri, in poche parole. E con la stessa presunzione emettevo la mia sentenza verso i bambini abituati a passare molto tempo in braccio, a essere portati in fascia o soccorsi tempestivamente quando piangevano: viziati e maleducati. Senza possibilità di appello.

Poi ho letto decine di pareri di pediatri e psicologi che sostengono con assoluta convinzione la necessità del contatto fisico costante tra neonati e genitori (la madre, in modo particolare), del cosiddetto “contenimento”. Convinti che soltanto rispondendo prontamente ai bisogni dei bambini molto piccoli – che si esprimono attraverso il pianto, inesorabilmente – li si possa aiutare a diventare degli adulti indipendenti e sicuri di sé, fiduciosi nel prossimo e capaci di esprimere i propri sentimenti e di gestire le proprie emozioni. Certi che ogni bimbo abbia i propri tempi per imparare a dormire da solo, come per mangiare, camminare, parlare, espletare le proprie funzioni corporali eccetera eccetera, e che rispettare questi tempi non significhi derogare al proprio dovere educativo di genitore, ma trattare i propri figli come delle persone. Sicuri che le richieste dei bambini, per lo meno quando sono molto piccoli, non siano “capricci”, ma bisogni reali, perché anche i nostri figli sono “competenti”, ovvero consapevoli, fin da subito, di ciò che vogliono e, cosa ancora più importante, di quello che va bene per loro.

Negli ultimi 8 mesi ho scoperto un altro mondo, fatto di cure prossimali, carezze, disponibilità e lentezza. Di ascolto e di istinto. Ma, prima di tutto, ho conosciuto mio figlio. Il bambino reale, diverso da quello immaginato. Un bambino che ho visto trasformarsi completamente nel giro di qualche mese, man mano che mutava il mio atteggiamento nei suoi confronti. Mio figlio che piangeva di continuo, disperatamente. Che detestava gli estranei, la folla, i luoghi sconosciuti. Che non dormiva mai più di 45 minuti di seguito e aveva difficoltà finanche a defecare, che guardava il mondo con un’aria sbalordita e corrucciata. Un essere umano nervoso e diffidente, spaventato, oserei dire. Fino a quando anche io, finalmente, sono diventata la madre che volevo essere davvero, molto distante dalla madre immaginata, con buona pace dei troppi benpensanti e della me stessa “di prima”. Fatta di viscere e pelle, di istinto e di narici. Una femmina di primate, figlia di figli di scimmie che portavano i propri cuccioli sulla schiena, per anni, che li allattavano finché erano cresciuti, che dormivano con loro nelle caverne, scaldandoli col calore del proprio fiato. Una madre che accorre subito se suo figlio piange, che gli offre il seno quando lui lo desidera (anche quando le costa una fatica indescrivibile), che lo addormenta accanto a sé, accarezzandolo e cullandolo. Che lo ascolta, lo aspetta e si fida di lui, che lo tiene nel mei tai quando non vuole più stare nel passeggino e lo lascia dormire appiccicato a lei. Che alla necessaria fermezza accompagna, sempre, una dose di pazienza che mai e poi mai avrebbe pensato di possedere.

Che sia stato davvero questo a trasformare Davide nel bambino sorridente e sveglio che è adesso, naturalmente nessuno potrà mai dimostrarlo. Ma io lo so che è così. E in ogni caso posso dire – con assoluta certezza, questo sì – che da quando ascolto anche la mia pancia, da quando ho lasciato andare il minuscolo grillo parlante che viveva nel mio cervello, io sono una madre più felice. E dormo anche tre ore di seguito, vi pare poco?

PS: Lettura consigliata: Alessandra Bortolotti, E se poi prende il vizio? Pregiudizi culturali e bisogni irrinunciabili dei nostri bambini, collana Il bambino naturale (2010)

18 Ottobre 2013 47 Commenti
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Chi sono

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Mi chiamo Silvana Santo e sono una giornalista, blogger e autrice, oltre che la mamma di Davide e Flavia.

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