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Categoria:

allattamento

prevenire le ragadi al seno
allattamentopost sponsorizzati

Come evitare le ragadi al seno

by Silvana Santo - Una mamma green 19 Giugno 2019

Come evitare le ragadi al seno? Se lo chiedono molte mamme in attesa, magari preoccupate (per non dire terrorizzate) dai racconti splatter generosamente elargiti da conoscenti più o meno fresche di allattamento al seno. Prima che nascesse il mio primogenito, per esempio, ricordo bene di essere stata spesso intrattenuta con storie più o meno cruente e di essere stata incoraggiata al grido di “tanto le ragadi, all’inizio, sono inevitabili”. La verità però è un’altra, ed è che è possibile allattare senza soffrire. Ed evitare le ragadi si può, seguendo qualche accorgimento.

Le ragadi sono delle lesioni della pelle che si possono manifestare nell’area del capezzolo e dell’areola (la parte scura attorno al capezzolo) durante l’allattamento. La loro gravità può variare, ma in ogni caso si rivelano molto dolorose per la mamma, tanto da rendere talvolta insostenibile il proseguimento dell’allattamento al seno. Premesso che non sono un’addetta ai lavori, ma ho allattato due figli per quasi 4 anni complessivi, ecco alcuni consigli utili per evitare la comparsa di ragadi al seno durante l’allattamento.

Trovare una posizione comoda

Prima della poppata, è importante sistemarsi in una posizione comoda, che consenta di restare a proprio agio per tutto il tempo necessario, senza stancarsi né provare tensione in alcuna parte del corpo. Per evitare le ragadi al seno, è importante, inoltre, che la madre non assuma una postura “chinata” per permettere l’attacco del bambino, ma che, al contrario, avvicini il piccolo al proprio corpo, sostenendolo nel modo migliore. Si può allattare comodamente da straiate, soprattutto di notte, oppure sfruttare il supporto di un cuscino da allattamento, che permetta di mantenere una posizione di comodità e di sicurezza per la mamma e per il bambino. Il mio consiglio è di scegliere un cuscino multifunzione, che possa essere utilizzato non solo per allattare, ma anche come supporto durante la gravidanza e, dopo i primi mesi di vita, come sostegno per il bambino durante il gioco.

evitare le ragadi al seno cuscino allattamento

Come evitare le ragadi al seno: l’attacco corretto

Un’altra cosa fondamentale per evitare le ragadi al seno durante l’allattamento è assicurarsi che il neonato si attacchi in modo corretto. Prima di tutto, il bimbo dovrebbe essere posizionato con la schiena, il collo e la testa allineati, con il mento verso l’alto e il naso che “punta” verso il seno materno. La bocca del poppante, inoltre, deve accogliere l’intera areola o gran parte di essa, in modo che l’attacco sia corretto e la suzione sia efficace. In caso contrario, non solo sarà difficile per lui succhiare la giusta quantità di latte, ma l’allattamento sarà doloroso, il seno potrebbe non essere svuotato a sufficienza (con il rischio di ingorghi e mastite) e potrebbero comparire, appunto, le fastidiose ragadi.

Chiedere aiuto, se necessario

Non sempre è così facile favorire il corretto attacco del bambino al seno, o verificare che effettivamente tutto stia andando per il meglio. Per evitare le ragadi al seno, è utile rivolgersi a una consulente o una ostetrica esperta in tema di allattamento al seno, che potrà appunto monitorare la situazione e verificare che la poppata avvenga nel modo corretto, correggendo l’attacco qualora ce ne fosse bisogno. Anche in assenza di lesioni, se la suzione risulta molto dolorosa è consigliabile rivolgersi a un’esperta, perché in condizioni normali allattare non dovrebbe risultare doloroso per la mamma (può invece essere fisiologico provare un certo fastidio o una specie di tensione nei primi secondi della poppata, specie nelle prime settimane di allattamento).

Allattare a richiesta

Allattare a richiesta permette al seno di tarare la produzione di latte sulle effettive necessità del lattante, che riuscirà di conseguenza a drenare il seno in maniera efficace. In questo modo, si potranno evitare tensioni e ingorghi che possono rendere l’attacco più complicato e favorire la comparsa delle ragadi al seno. Se il seno risulta troppo gonfio o teso al momento della poppata, è bene svuotarlo un poco manualmente prima di porgerlo al bimbo, in modo che possa attaccarsi correttamente.

Prendersi cura della propria pelle

Specialmente in una primipara, le prime settimane di allattamento possono risultare comunque “stressanti” per la pelle delicata del seno, anche quando l’attacco del neonato è corretto e le poppate si succedono senza inconvenienti. Per evitare le ragadi al seno, possono essere utili alcuni accorgimenti quotidiani nella cura del proprio corpo: non lavare il seno con detergenti aggressivi (basta un po’ di acqua tiepida); lasciare se possibile i capezzoli scoperti almeno per qualche minuto dopo ogni poppata; indossare biancheria intima di cotone, morbida e traspirante; applicare sui capezzoli qualche goccia del proprio latte (ha proprietà disinfettanti e cicatrizzanti); utilizzare coppette assorbilatte lavabili, in fibra naturale in silicone, o comunque sostituirle spesso per scongiurare infezioni e ristagno di umidità; indossare, tra una poppata e l’altra, dei paracapezzoli in argento, che vantano proprietà antibatteriche e favoriscono la cicatrizzazione, senza rilasciare sostanze pericolose per il bimbo né odori che possano infastidirlo.

prevenzione ragadi coppette d'argento

Occhio all’anatomia!

Se le poppate risultano frustranti e dolorose anche dopo aver adottato ogni accorgimento possibile, è bene controllare che non sussistano particolari condizioni anatomiche che possono complicare in qualche modo l’allattamento, come il capezzolo piatto o il frenulo linguale corto nel neonato. Anche in questo caso, il consiglio è di rivolgervi a una consulente in allattamento (le trovate sul sito IBCLC o su quello de La Leche League) o a una ostetrica di comprovata esperienza in materia.

Post in collaborazione con Koala Babycare, azienda che produce articoli di puericultura pensati per favorire l’allattamento al seno, come il cuscino da allattamento Koala Hugs (multifunzione, completamente sfoderabile, rivestito in 100% cotone) e i paracapezzoli d’argento, con proprietà antibatteriche e cicatrizzanti.

19 Giugno 2019 2 Commenti
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allattamento

In difesa di chi non allatta al seno

by Silvana Santo - Una mamma green 13 Luglio 2018

Ho allattato a lungo entrambi i miei figli, a richiesta e in modo esclusivo. Non era previsto, non era una posizione aprioristica, per me. Mai, fino alla nascita di Davide, avevo pensato che l’allattamento prolungato potesse essere la mia strada. È stata per me un’esperienza molto intensa, una delle più significative e istruttive della mia vita. E lo è stata nel bene, ma non solo. Nel posto in cui vivo, almeno fino a qualche anno fa, allattare a richiesta, per giunta ben più di qualche mese, era una scelta decisamente inusuale, per molti addirittura sconveniente. Negli anni ho dovuto abituarmi a una vastissima gamma di reazioni, che andavano dalla curiosità al compatimento, dal sarcasmo al biasimo esplicito. Senza dimenticare, va detto, le poche ma generose reazioni positive, di qualche rara mamma “allattona” incontrata sulla via, o di persone sufficientemente anziane da ricordare gli anni in cui l’allattamento prolungato non era una scelta freak o ecochic.

Mi sono sentita dire che viziavo i miei figli. Che li rendevo dipendenti da me, che sarebbero stati per sempre “mammoni”. Che non mangiavano a sufficienza perché si riempivano la pancia di un latte che ormai non serviva più a niente, che non dormivano bene perché abituati ad attaccarsi al seno. Che erano timidi perché troppo legati alla madre, che si sarebbero rovinati i denti, che il latte ormai era cattivo. Che lo facevo solo per me, per sentirmi ancora necessaria, per zittire il pianto dei miei figli o avere la vita più facile quando dovevo addormentarli. Che non avevo abbastanza polso o forza di volontà. Mi sono sentita chiedere se mi sembrasse ancora il caso di scoprirmi in pubblico, vista l’età dei miei figli.

Raramente sono stati commenti di aperto biasimo, e venivano per lo più (ma non solo!) dalla rete di amicizie superficiali e incontri estemporanei. Di solito erano critiche velate o sarcastiche. Battutine gettate lì per caso, con quella specie di ironia tutta partenopea che nasconde malamente la verità di ciò che uno pensa sul serio. Qualche volta, il parere non richiesto veniva indirizzato direttamente ai miei figli (“Dai che ora sei grande, che devi fare ancora con questa tetta?” oppure “Il latte di mamma non è più buono, basta!” o la peggiore di tutte “Lascia stare la mamma, non vedi che non ne può più?”), spesso si mescolava all’apprensione per me, che magari era pure genuina e motivata dai miei stessi, inevitabili, momenti di stanchezza (“Sarai esausta, dovresti proprio smettere”). E non mancavano le amiche e le conoscenti che non osavano commentare la mia scelta, ma ci tenevano a farmi sapere che loro non avrebbero mai potuto “resistere tanto”, o anche che “i loro figli col cavolo sarebbero stati assecondati fino a quel punto”. Sono certa che la maggior parte delle osservazioni giungesse in totale buona fede, e che nessuna delle mie conoscenze, salvo rare eccezioni, volesse davvero mortificarmi. E io stessa, come ho già scritto, non ho mai nascosto i momenti di effettivo esaurimento, di dubbio, di esitazione sul da farsi.

Ma il fatto è che, per circa 4 anni, mi sono sentita immersa in un clima che forse non era apertamente ostile rispetto alla mia scelta, ma che di certo era critico, o quantomeno scettico. Ho vissuto per anni sapendo che la maggior parte delle persone che conoscevo non approvava la mia condotta, e la riteneva in un modo o nell’altro negativa – se non proprio dannosa – per i miei figli, per me, per il mio matrimonio o per il mio lavoro. Non è stato facile, neanche per un giorno. Mi sono sentita diversa e sola, stramba, incompresa. Mi sono sentita, qualche volta, sbagliata.

Mi è mancata la certezza che le persone riuscissero ad accettare fino in fondo la mia scelta in fatto di allattamento prolungato, e addirittura ad approvarla, pur non condividendola, pur avendo intrapreso un altro percorso personale. Ed è proprio per questo che la mia voce oggi si leva in difesa di chi non allatta al seno. Perché conosco bene la sensazione di sentirsi non capite, quando non proprio giudicate oppure (e non so davvero cosa sia peggio) compatite. Perché conosco lo sforzo per non replicare al commento acido, alla battuta infelice, all’alzata di sopracciglia. Perché conosco il fastidio dell’invadenza, l’insicurezza che viene dal giudizio di chi neanche ti conosce, la mortificazione del confronto e dell’intromissione nella sfera più intima e privata che esista.

Che quella di non allattare sia una scelta di principio. Che sia una necessità dettata da problematiche di salute o particolari condizioni anatomiche. Che sia legata a esigenze lavorative o familiari. Che sia il risultato di informazioni superficiali, consigli sbagliati o ingerenze scoraggianti. Che giunga dopo tentativi più o meno prolungati e difficili, oppure dopo un inizio semplice e in discesa. Che sia mossa da ragioni fisiche, psicologiche, dalla speranza di dormire di più o dalla paura di rovinarsi il seno. La verità è nessuno deve permettersi di giudicare una donna per questo. Sia perché abbiamo il privilegio di vivere in un posto in cui i bambini crescono benissimo anche senza essere allattati al seno. Sia perché non vedo come una madre che allatta senza convinzione e senza piacere – e solo perché si sente obbligata a farlo – possa fare il bene di suo figlio.

È un dovere di tutti veicolare informazioni corrette in tema di allattamento – ci provo anche io, nel mio piccolo – e sostenere le madri che vogliono allattare (per un mese o per tre anni, saranno loro a deciderlo!), capire perché certi allattamenti falliscono, per cercare di prevenire altra sofferenza. Ma il biasimo, la commiserazione e i confronti servono solo a seminare dolore ed ergere muri. Da una parte e dall’altra.

Nessuno osi criticare una madre che allatta a lungo. Nessuno osi criticare una madre che non lo fa.

13 Luglio 2018 2 Commenti
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allattamento

Sull’allattamento prolungato, a un anno da quando ho smesso io

by Silvana Santo - Una mamma green 12 Gennaio 2018

Ho smesso di allattare la mia seconda figlia un anno fa, proprio in questi giorni. All’epoca, Flavia aveva due anni e due mesi, e io allattavo senza quasi interruzione da circa quattro anni, prima suo fratello e poi lei. È stato un momento molto delicato, un passaggio importante e a tratti difficile, a cui sono arrivata dopo tanti ripensamenti e con dubbi pesanti. Alla fine, il cambiamento in sé è stato molto più veloce e relativamente indolore rispetto a quanto temessi, come ho raccontato più volte da allora. Ma al di là dei primi giorni, come è stato il dopo?

L’esperienza di allattare, in sé, non mi è mai mancata davvero, per quanto mi causi un po’ di nostalgia pensare che non avrò mai più un bambino al seno in vita mia, e per quanto sia stato disarmante sentirsi dire, durante un’ecografia, che appena un mese fa avevo ancora un seno pieno di latte. Spesso mi sono sentita sollevata, perché libera da quelle situazioni che mi pesavano e che mi avevano spinto a interrompere l’allattamento (sguardi perplessi della gente, commenti, domande inopportune, discussioni in famiglia…).

Però devo riconoscere che ci sono stati tanti momenti in cui ho pensato di aver fatto uno sbaglio.

Mia figlia non ha più chiesto il seno da allora, per quanto se ne ricordi e ne parli ancora con grande tenerezza. E il suo rapporto con me non è cambiato di una virgola, in termini di fisicità, attaccamento e intensità. Anzi. Ma mentirei se negassi che il conforto della suzione, in quest’anno a cavallo tra i due e i tre anni, le è mancato molto spesso e profondamente. E che talvolta le manca ancora adesso. Che sono diminuiti drasticamente i risvegli notturni (non scomparsi, comunque), ma il momento di andare a dormire, prima così dolce e spesso invocato direttamente da lei, è diventato più difficoltoso. Che abbiamo dovuto imparare ad affrontare la stanchezza di Flavia, la frustrazione, il malessere e la paura senza lo strumento più naturale e potente che i bambini piccoli hanno da sempre dalla loro: la suzione.

Che sia di un seno, di un ciuccio o di un dito importa fino a un certo punto.

So bene che ci sono tanti bimbi non allattati che a due anni, se non prima, fanno a meno del ciuccio senza apparente difficoltà. Conteranno molto anche le abitudini, non lo metto in dubbio. Ma la mia esperienza, e solo questo sto riportando, dice questo: esistono bambini – e mia figlia è una di questi, come lo era stato suo fratello prima di lei – che almeno fino a tre anni trovano nella suzione un conforto insostituibile per affrontare lo stress e la stanchezza. Sopravvivono anche senza, ci mancherebbe, come ha fatto Flavia (e io con lei) tutto quest’anno. Ma può essere tutt’altro che facile. Mia figlia ha cercato spontaneamente tanti surrogati: i suoi stessi polpastrelli per sfiorarsi il labbro inferiore, le dita ficcate in bocca, pur senza succhiarle, quando va in crisi per qualche motivo, il comfort food richiesto a volte compulsivamente, anche in piena notte, per tentare di soddisfare un bisogno di oralità evidentemente rimasto disatteso. Noi facciamo ogni giorno del nostro meglio per seguirla e supportarla con ogni mezzo. E forse certi momenti difficili ci sarebbero stati anche con l’allattamento ancora in corso, chi può dirlo. Ma osservandola, e conoscendola, mi sento di riconoscere in serenità che lei aveva ancora bisogno di quel tipo di esperienza.

Io non mi sento in colpa per aver deciso anche per lei. So che la decisione di interrompere l’allattamento è stata ponderata a lungo e presa tutt’altro che a cuor leggero, e che in quel momento era per me la sola possibile, per quanto dettata non da una mia reale stanchezza (sono stata molto più esaurita nell’ultimo anno che quando allattavo ed ero anche incinta, per dire) ma dalla difficoltà di continuare a sostenere la mia scelta nel contesto familiare e sociale.

La donna che sono ora, la madre che sono diventata nel frattempo, continuerebbe ad allattare sua figlia senza esitazione. Ma un anno fa ero un’altra persona, e non posso odiarmi per le scelte che ho fatto, in coscienza e umanità, in circostanze diverse da quelle attuali.

Pero dico questo, a chi si trova a dover decidere se e quando porre fine a un allattamento “prolungato” e sa di non poter contare su un surrogato efficace (un ciuccio, un biberon, un pupazzino, una coperta di Linus o quel che è): non sottovalutate l’importanza della suzione per un bambino piccolo, perché potreste trovarvi di fronte a situazioni che non avevate preventivato. Anche se vostro figlio recepisce con serenità la vostra decisione di smettere di allattare.

12 Gennaio 2018 5 Commenti
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allattamento poppate notturne
allattamento

Allattare di notte: 7 consigli pratici

by Silvana Santo - Una mamma green 15 Dicembre 2017

L’allattamento notturno è una delle esperienze che possono costare molto impegno e tanta fatica a una mamma. Ecco qualche consiglio per allattare di notte con più semplicità (rivolgetevi sempre a una consulente o a un’ostetrica per qualsiasi problema legato all’allattamento al seno).

1. Allattare di notte? Meglio sdraiata

Non tutte si trovano subito a loro agio, ma per la mia esperienza pluriennale di allattamento notturno a richiesta di due figli, mi sento di dire che riuscire ad allattare in posizione sdraiata è il forse l’accorgimento che permette di stancarsi meno e riposare il più possibile. Con un po’ di esperienza, si può riuscire ad offrire entrambi i seni al bambino restando girate sullo stesso fianco (true story!). Evitando di tenere il neonato in grembo, inoltre, si annulla il rischio che il piccolo possa cadere se la mamma si dovesse addormentare senza accorgersene (può succedere a chiunque, non è una questione di volontà o disattenzione). Chi dovesse trovarsi in difficoltà con questa postura per allattare di notte, potrebbe rivolgersi a una consulente in allattamento o a un’ostetrica di esperienza per farsi aiutare a trovare la posizione più comoda ed efficace per mamma e bambino. Non è detto allattando da sdraiata si debba per forza prevedere il cobedding: il bimbo può essere preso dal suo lettino al momento della poppata e poi rimesso a dormire quando si stacca. Ovviamente il papà può dare il suo contributo in questa procedura! Se decidete di allattare di notte in posizione sdraiata è però fondamentale seguire una serie di accorgimenti solo apparentemente banali per evitare pericoli e problemi: per prima cosa, per evitare cadute accidentali, posizionate il bambino sempre dal lato interno del vostro letto, senza cuscino, e al di sopra delle coperte (un sacco nanna è di grande aiuto nelle stagioni fredde). Fate attenzione che nel letto non ci siano oggetti che possano ferirlo o soffocarlo (vestaglie, plaid, libri, borse dell’acqua calda etc). Valgono poi le solite raccomandazioni anti-sids: evitare eccessi di calore, non fumate. Quando il piccolo si stacca, mettetelo in posizione supina, sia che dorma nel side-bed, sia se lo rimettete nel lettino o nella culla.

2. Pit-stop ultrarapido

Quando un bambino ha pochi mesi, allattare di notte significa quasi sempre dover gestire diverse poppate, che per giunta possono avere una durata biblica o quasi. Per cercare di riposare il più possibile, il mio consiglio è di contenere al minimo i tempi accessori tra una poppata e l’altra, semplificando per esempio le procedure di cambio del pannolino. Personalmente, di giorno ho sempre cambiato i miei figli in bagno, lavandoli con acqua corrente e, se necessario, un po’ di sapone. Ma durante la notte, a meno che non andassero di corpo, mi limitavo a un rapido cambio direttamente in camera da letto. Eventualmente, potete equipaggiarvi con delle lavette inumidite o con delle salviettine biodegradabili.

3. Zitti zitti

Forse questo è scontato, tra i consigli per allattare di notte. Ma non fa male raccomandare di non accendere la luce e di parlare il meno possibile quando il bambino si sveglia per la poppata. Meno stimoli riceverà, e minore dovrebbe essere la fatica che farà (e che farete) per riaddormentarsi.

4. L’abbigliamento giusto per allattare di notte

Allattare di notte può significare, in inverno, trovarsi per ore seminude al freddo, e magari riaddormentarsi senza rendersene conto con il petto all’aria (gelida). Evitate, come già detto, di surriscaldare la stanza. Il mio consiglio è di usare pigiami o camicie da notte con bottoni, se li trovate comodi, reggiseni specifici da allattamento, o molto elastici e facili da abbassare, e canottiere con lo scollo a v. Personalmente, non trovo confortevoli gli indumenti notturni con i bottoni, quindi mi trovavo meglio tirando su la maglia del pigiama e abbassando la canottiera, che tenevo rigorosamente infilata nel pantalone. Se fa molto freddo, può essere di aiuto uno scaldacuore o uno scialle pesante da tenere sulle spalle, che restano scoperte durante la poppata. Se allattate da sdraiata, il bambino deve stare al di sopra le coperte. La soluzione migliore, anche per chi allatta da seduta, è un sacco nanna, oppure un sovrapigiama in pile, che terrà al caldo il neonato anche tra una poppata e l’altra.

5. Rifornimenti pronti

Se state allattando di notte, non dimenticate mai una scorta d’acqua sul comodino, per fronteggiare la sete che spesso si associa alle poppate.

6. Più valore al tempo

Questo suggerimento potrà sembrare folle, ma se, come me, siete tra quelle persone che nonostante la stanchezza più devastante non riescono a “stare senza far niente”, potreste approfittare delle poppate notturne per leggere un libro. Il mio consiglio è di usare un ebook reader retroilluminato o con una luce di lettura di qualità, che non affatica la vista e che non infastidisce il piccolo succhiatore seriale con una illuminazione eccessiva. So che scandalizzerò qualcuno, ma potreste anche approfittare delle lunghe poppate per usare lo smartphone per lavorare o navigare. Impostate sempre la luminosità dello schermo al minimo e fate in modo che non dia fastidio a vostro figlio.

7. Chiedere aiuto

Ricordate quello che resta uno dei consigli più preziosi per allattare di notte: vostro figlio, con ogni probabilità, ha un padre che è lì con voi ed è tenuto (e si spera anche disponibile) a darvi una mano, anche se avete deciso di allattare esclusivamente al seno. Può e deve alternarsi con voi nel cambiare il pannolino dopo la poppata, o nel riaddormentare il piccolo qualora fosse ancora sveglio quando si stacca dal seno.

15 Dicembre 2017 1 Commenti
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allattamento

Cosa è rimasto del mio lungo allattamento

by Silvana Santo - Una mamma green 6 Ottobre 2017

Negli ultimi 5 anni ho avuto due figli, e li ho allattati entrambi a lungo. Ho smesso definitivamente da qualche mese, e per il momento questo è quello che è rimasto del mio allattamento pluriennale.

Il ricordo di Flavia, che chiama il mio seno “le tette mie” e quando lo dice sorride ancora di un sorriso peculiare e suo. Lo stupore divertito di Davide, che non rammenta consapevolmente il suo lungo allattamento e mi guarda interdetto quando gliene parlo o gli mostro le foto.

La tenerezza di fronte a un bambino che ciuccia, che prima non avrei nemmeno notato.

La solidarietà verso le madri che vorrebbero allattare e non ci riescono, quelle che vorrebbero evitarlo ma si sentono costrette a provarci, quelle che non ci hanno neanche provato e sono state messe in croce, quelle che allattano da tanto tempo e vengono giudicate per questo.

Un seno meno tonico, ma di una taglia più grande.

Una maggiore confidenza con il mio corpo. E la consapevolezza che può fare delle cose su cui, prima, non avrei scommesso mezza lira.

La definitiva insofferenza verso i reggiseni preformati e quelli sintetici.

La difficoltà di calmare mia figlia, nelle notti difficili.

L’ignoranza completa in materia di formule, polveri, biberon e tettarelle. Una competenza nuova, che prima non avevo, in tema di allattamento al seno.

La nostalgia senza rimpianto per un periodo estremamente particolare della mia vita, che sono felice di aver vissuto e che non tornerà più.

La soddisfazione di aver superato molte difficoltà in nome di una cosa a cui tenevo davvero. La consapevolezza che non esistono, nella maternità come nella vita, solo il nero e il bianco, e tu puoi amare qualcosa con tutta te stessa, ma trovarla a tratti estenuante, o addirittura dolorosa (senza per questo smettere di amarla).

Una manciata di foto sgranate e un mucchio di pregiudizi polverizzati.

La gratitudine per aver vissuto una delle esperienze, nel bene e nel male, più intense della mia vita.

 

6 Ottobre 2017 5 Commenti
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latte materno
allattamento

Allattamento al seno: tre cose che nessuno dice mai

by Silvana Santo - Una mamma green 3 Marzo 2017

Ho allattato complessivamente per oltre 4 anni. Entrambi i miei figli e sempre in modo esclusivo. Ho allattato con gioia e convinzione, anche quando è stato faticoso, o quando sono stata bersaglio di commenti, pettegolezzi e critiche. Ho lottato contro pregiudizi e cattiva informazione, cercando di dare il mio contributo anche come blogger e giornalista. Per questo ho letto libri e siti in fatto di allattamento, sentito consulenti e parlato con tante altre madri che hanno vissuto la mia stessa esperienza. Questo per dire che la mia scelta personale è sempre stata cristallina. E che, premesso sempre e comunque il diritto di ogni donna di fare come crede, sono convinta che, volendolo, allattare sia alla portata della stragrande maggioranza delle madri, purché si parta dalle giuste informazioni e da un supporto adeguato. Vista la facilità di fraintendimento tipica del web, ci tenevo a precisare queste cose prima di raccontarvi quali sono, secondo me, le tre cose che nessuno dice mai in fatto di allattamento al seno (ad ogni modo, io non sono una consulente, e neanche un’ostetrica. Per qualsiasi dubbio o problema con l’allattamento, rivolgetevi subito a un’esperta).

1. Nelle prime settimane, allattare può fare UN PO’ male, anche se il bimbo succhia “bene”

Di solito si dice che se l’attacco è corretto, allattare non deve far alcun male, in alcun caso. Io penso che sarebbe più utile alle future madri precisare che un certo fastidio o dolore, nelle prime settimane e solo all’inizio della poppata, può essere invece un fatto “normale”, che non implica per forza un errato attacco o altri problemi. Può dipendere dalla forma del capezzolo, o da altri fattori, fatto sta che a volte può capitare. Senza che questo comprometta l’allattamento. Basta solo avere un pochino di pazienza e monitorare la situazione senza sottovalutarla. Parliamo però di un dolore che non deve essere lancinante o insopportabile, o comunque tale da impedire la poppata. E soprattutto, che scompare dopo una manciata di secondi, e smette proprio di esistere nel giro di qualche settimana. Parliamo di situazioni in cui è evidente, dal numero di pannolini bagnati nel corso della giornata, che il neonato riesce comunque a nutrirsi in modo adeguato. Se il seno continua a dolere nel tempo, se fa male per tutta la poppata, se fa talmente male da non riuscire ad allattare, se ci sono lacerazioni o sanguinamento, bisogna SEMPRE rivolgersi a una consulente. Il prima possibile.

2. Il ciuccio non interferisce sempre e comunque con l’allattamento al seno

O meglio. Tende a interferire quasi sempre con quello che in gergo si chiama “allattamento a termine”, ovvero ad anticipare la fine spontanea dell’allattamento stesso. I bambini abituati al ciuccio, infatti, finiscono di solito con l’abbandonare il seno prima di quanto avrebbero fatto se non lo avessero usato, e prima dei bambini che non lo usano. Ma un allattamento materno esclusivo nei primi sei mesi di vita è assolutamente possibile anche utilizzando il succhietto. La cosa fondamentale è non proporlo troppo presto, e non insistere quando il bambino non lo vuole o non si “accontenta”. Una volta che l’allattamento è avviato e che la mamma ha iniziato anche a conoscere meglio il suo bambino, i suoi ritmi, i suoi segnali, introdurre il ciuccio con un po’ di buon senso non impedisce affatto di arrivare allo svezzamento, e anche al primo compleanno, continuando ad allattare. Molto importante, invece, non somministrare altri liquidi (tisane o acqua, per esempio) al lattante, né col biberon né con altri mezzi.

3. Alcuni bambini “grandi” tendono a svegliarsi un po’ di più finché sono allattati al seno

Su questa rischio davvero il linciaggio, ma io penso che molte mamme potrebbero confermare quello che sto per dire, ovvero che ALCUNI bambini si svegliano più di frequente fintantoché vengono allattati al seno. Mi riferisco però ai bambini per così dire grandicelli, di due anni e oltre, per i quali talvolta il termine dell’allattamento coincide anche con la fine dei risvegli notturni. Vale la pena sottolineare però:
– che non esiste ovviamente una correlazione tra le due cose: ci sono bimbi allattati col biberon che si svegliano comunque di continuo, e per anni. E altri che pur poppando solo al seno si fanno da subito delle gran dormite.
– che questo discorso non ha senso per i neonati, perché nei primi mesi di vita la stragrande maggioranza dei bimbi si sveglia spesso a prescindere, il che è del tutto fisiologico e per certi versi anche “sano”.
– che non è possibile prevedere cosa accadrà dopo aver interrotto l’allattamento: i risvegli potrebbero continuare, e la mamma potrebbe trovarsi ad aver perso anche lo strumento più efficace e “pratico” per conciliare di nuovo il sonno.

Però sì. Capita, e non vedo che male possa fare dirlo senza mezzi termini, che negli allattamenti prolungati sia proprio l’addio alla tetta (spontaneo o incoraggiato dalla mamma) a decretare anche la fine dei risvegli notturni.

Ogni madre ha il diritto di scegliere in piena libertà e consapevolezza se allattare al seno o meno, se farlo in modo esclusivo e per quanto tempo farlo. E credo che che questa presa di coscienza debba includere anche quelle cose che nessuno dice mai.

3 Marzo 2017 6 Commenti
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allattamento

Allattamento prolungato, sfatiamo qualche mito

by Silvana Santo - Una mamma green 25 Gennaio 2017

Come ho raccontato in questo post, nei giorni scorsi ho smesso di allattare dopo quasi quattro anni (per due figli). Anni nei quali mi sono dovuta spesso confrontare con i pregiudizi altrui, legati forse al fatto che sono molto poche le mamme che continuano ad allattare ben oltre il primo anno di vita dei figli. Perlomeno in Italia.

Alla luce della mia esperienza, ecco alcuni falsi miti in fatto di allattamento prolungato che vorrei provare a sfatare.

Allattamento prolungato e lavoro della mamma

Allattare a lungo non è una possibilità riservata alle mamme che non lavorano. Il seno è in grado di adeguare perfettamente la produzione di latte sulla base della richiesta del poppante, basta qualche giorno e il meccanismo di domanda e offerta si tara in automatico. Una madre che deve rientrare al lavoro può tranquillamente continuare l’allattamento solo nelle ore in cui è a casa e nei giorni liberi, e suo figlio si abituerà senza problemi a fare a meno del seno nelle ore in cui sono separati. Le poppate mancanti possono essere sostituite con un pasto di latte, artificiale o tirato e conservato in modo opportuno, oppure, se il bimbo ha raggiunto l’età sufficiente, con una “pappa” vera e propria. Un accorgimento utile, ma non indispensabile, se si desidera continuare l’allattamento dopo il ritorno al lavoro, può essere quello di evitare il biberon, dando il latte al bambino con un bicchiere con beccuccio o con il cucchiaino. Anche una trasferta più o meno prolungata è di norma compatibile con il prosieguo dell’allattamento, perché il latte non “va via” da un giorno all’altro, e neanche da una settimana all’altra (e il fatto che sembri vuoto, o non sgoccioli, non significa che la produzione si sia arrestata). Basti dire che il mio continua tuttora ad essere attivo, a oltre due settimane dall’ultima poppata. La mamma potrà eventualmente usare un tiralatte mentre è lontana, per evitare ingorghi o stimolare il seno, ma una volta tornata a casa potrà attaccare di nuovo suo figlio, se entrambi lo desiderano.

Allattamento prolungato e alimentazione solida

Allattare, anche generosamente, un bambino di due anni o più non significa certo dargli da mangiare soltanto latte materno. Può succedere che nei piccoli allattati esclusivamente al seno lo svezzamento proceda un po’ a rilento rispetto agli schemini stereotipati che molti pediatri chiedono di applicare, ma l’allattamento prolungato non è in alcun modo incompatibile con l’introduzione di cibi solidi. Nella mia esperienza, per esempio, Flavia consumava gli stessi pasti del fratello (sia a casa che all’asilo), colazione inclusa, anche quando la allattavo ancora. Mangiava tra l’altro le stesse pietanze della famiglia, e, anzi, non ha mai voluto le pappe o i passati. Ha attraversato, come molti bambini, periodi più o meno lunghi di relativa inappetenza, specie in caso di malanni o denti in uscita, ma le sue abitudini alimentari non sono cambiate interrompendo le poppate. Suppongo che non sia così per tutti, ma di certo allattare a lungo non vuol dire automaticamente ritardare l’introduzione dei cibi solidi.

Allattamento prolungato e asilo nido

Anche un bambino ancora allattato al seno può essere inserito felicemente al nido o all’asilo. Imparerà senza problemi a fare a meno della mamma nelle ore in cui è separato da lei, mangiando e addormentandosi come tutti i compagni. Nel nostro caso, tanto per dire, l’inserimento all’asilo di Flavia è stato molto più rapido e “facile” di quello di suo fratello, anche se lui ha cominciato quando non prendeva più il seno da settimane.

Allattamento prolungato e fratellini

Chiariamo intanto che una donna che allatta può rimanere incinta, anche se non ha ancora avuto le mestruazioni. La prolattina non inibisce per forza l’ovulazione, per cui allattare non è una controindicazione per una gravidanza ravvicinata (né tantomeno un contraccettivo, ricordatevelo bene!). È inoltre possibile, salvo particolari complicazioni, allattare durante la nuova gravidanza, anche fino al parto. E chi se la sente può scegliere, dopo la nuova nascita, di allattare “in tandem” il neonato e il fratello maggiore. Il seno, come detto, adegua la produzione di latte in base alla richiesta, per cui non si corre il rischio di “sottrarre” nutrimento all’ultimo arrivato. Di certo si tratta di un impegno non indifferente, ma la scelta spetta solo alla mamma. Senza condizionamenti o pregiudizi.

Allattamento prolungato e altri tipi di latte

Allattare a lungo non preclude per forza l’introduzione di latte vaccino o altri tipi di latte o bevande vegetali (semmai non lo rende necessario, ma questo è un altro discorso). Si può fare un allattamento misto, con o senza biberon, anche oltre il primo compleanno, oppure decidere di introdurre a un certo punto latte di mucca o alternative di origine animale o vegetale. Mia figlia, per esempio, faceva colazione con yogurt e cereali o latte vaccino e biscotti (in tazza) già da molto prima che interrompessimo l’allattamento al seno. E ha mantenuto la stessa abitudine anche adesso che abbiamo smesso.

25 Gennaio 2017 6 Commenti
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Smettere di allattare (per sempre)

by Silvana Santo - Una mamma green 16 Gennaio 2017

Da qualche giorno ho smesso di allattare. Per sempre, direi, visto che non prevedo di avere altri figli. Ho smesso di allattare nonostante mia figlia non fosse d’accordo. Ho smesso di allattare nonostante temessi di farle del male, e di pagarne le conseguenze. Ho smesso di allattare, ma il mio corpo sembra non essersene accorto, e chissà per quanto si ostinerà a stillare questo latte denso e opalescente che adesso non serve più a nessuno.

Ho smesso di allattare perché mi è sembrata a un tratto una decisione non più rimandabile. Per la mia famiglia, più che per me stessa. Per cambiare certe dinamiche, riscrivere alcuni ruoli. Ero stanca, certo, e speravo di poter ricominciare a dormire. Ma non è stato quello a impormi di smettere. Se non mi fossi sentita così strana, così anormale, così stravagante; se non mi fossi sentita a tratti così sola e sbagliata; se non avessi dovuto continuamente spiegare, precisare, puntualizzare; se avessi avuto, almeno ogni tanto, la sensazione che la mia scelta fosse compresa di più e maggiormente accettata, forse avrei continuato fino al termine naturale di questa esperienza. Ma non è andata così, e quindi, alla fine, ho deciso di smettere nonostante sapessi che mia figlia avrebbe voluto continuare. Nonostante sapessi che avrebbe pianto e protestato. Che avrebbe, in qualche modo, sofferto. Nonostante covassi la paura irrazionale di perdere in qualche modo il suo amore. Il timore che lei vivesse il mio rifiuto come un abbandono, come una specie di tradimento. E che reagisse rifiutandomi e allontanandomi. Nonostante mi sembrasse molto contraddittorio con la scelta di allattare a richiesta e in modo esclusivo, che avevo fatto in modo del tutto consapevole e libero.

Quando ho allattato Flavia per l’ultima volta, non sapevo che non ci sarebbero state altre poppate. Per quanto pensassi da tempo di smettere, la decisione definitiva è stata improvvisa ed estemporanea. Click. Basta. Finito. Le vie di mezzo, con mi figlia, non avrebbero funzionato. Quando ci abbiamo provato è stata una tortura per entrambe. Un inutile e straziante stillicidio. E allora, stavolta, niente compromessi. Le ho spiegato che era il momento di smettere e lei, in un modo che ancora non mi spiego, per delle ragioni che non capirò mai fino in fondo, ha in qualche modo compreso. La sua reazione tutto sommato ragionevole, le proteste moderate, i lamenti contenuti (specie se paragonati ai tentativi precedenti, e alle reazioni che aveva sempre avuto quando mi ero trovata a dover semplicemente rispondere in ritardo alle sue richieste) mi hanno sorpreso e dato forza. Mi hanno assolto.

Non saprei dire con esattezza cosa sia accaduto. La chimica e l’elettricità hanno parlato in silenzio mentre io e Flavia ci guardavamo sconsolate e strette in un abbraccio senza più latte. Mia figlia mi ha guardato dentro e mi ha capito. Forse ha compreso le mie ragioni meglio di quanto io stessa fossi riuscita a fare. Ha legittimato la mia stanchezza, ha accolto la mia solitudine e l’ha sublimata. Ha attinto con avidità al coraggio che da qualche parte avevo scovato, come se il suo nuovo nutrimento venisse ancora dal mio petto, ma giù in fondo, direttamente dagli abissi che ha abitato prima di venire al mondo. Mia figlia mi ha perdonato, e mi ha autorizzato a perdonare me stessa.

Il sollievo per la sua capacità di gestire il cambiamento mi ha anestetizzato per giorni. Solo quando ho dovuto premermi il seno per alleviare il dolore e scongiurare l’ingorgo, ho realizzato davvero che il dado era tratto. Ho guardato quel latte che era destinato a lei e ho fatto una cosa completamente priva di senso: l’ho fotografato e poi l’ho buttato via. Quella che ho provato è stata una sensazione inedita, intensa e ambivalente. Un misto di soddisfazione per l’esperienza che ho condiviso coi miei figli, di ritrovata libertà, di sollevata sorpresa per la sofferenza contenuta di Flavia. Ma anche di struggente nostalgia. Per un tempo della mia vita che è finito e non tornerà. Per la tenerezza e l’immenso amore, che hanno certo altre lingue da parlare, ma hanno perso per sempre quella che era stata la loro manifestazione più fisica, più istintiva, più ancestrale. Per quel latte “sprecato”. Così prezioso, così denso di vita e di amore, che non sarebbe più finito a scaldare la pancia e il cuore di mia figlia, ma gettato via in uno scarico. Come una cosa che è stata indispensabile e adesso è inutile, superflua, superata.

Il mio corpo avrebbe continuato senza problemi. La testa e il cuore, a un certo punto, hanno smesso di stargli dietro. Ho allattato, complessivamente, per quasi 4 anni, con una interruzione di pochissimi mesi tra un figlio e l’altra. Se qualcuno, quando già aspettavo il mio primo figlio, mi avesse vaticinato un’esperienza del genere, avrei sorriso con sarcasmo. Ho odiato allattare. Mi ha fatto male fino a farmi piangere, perdere il sonno, stringere forte il cuscino tra i denti. Mi ha fatto sentire un oggetto, un animale, una schiava. Mi ha privato della libertà di dormire, di mangiare in pace, di andare in bagno, di uscire di sera da sola. Mi ha indotto a vergognarmi, a coprirmi, a nascondermi. Mi ha fatto sentire diversa e sbagliata. Ha ucciso per sempre il mio corpo da ragazza. Ma ho amato allattare, perdutamente. Come poche altre cose nella vita. Ha conferito pienezza al mio organismo di madre e di mammifero, ha esaltato la mia femminilità. Mi ha fatto sentire parte di un ciclo immortale e universale, mi ha permesso di comunicare coi miei figli quando nessuna parola, nessuna carezza, nessun abbraccio sembrava funzionare. Mi ha salvato dal peggiore dei baratri, quando il mio stesso amore sembrava vacillare sotto i colpi dei pianti indecifrabili, delle urla disperate, della stanchezza. Il mio seno, tantissime volte, è stato una madre migliore di quella che io riuscirò mai ad essere.

Adesso è finita, mia figlia sta bene e va bene così. La terrò sul mio petto per tutta la vita, anche quando lei sarà adulta e lontana, e il mio seno arido e stanco.

16 Gennaio 2017 46 Commenti
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Perché allatto ancora mia figlia di due anni

by Silvana Santo - Una mamma green 30 Novembre 2016

Mia figlia ha compiuto due anni da qualche settimana e la allatto ancora al seno, soprattutto di sera e durante la notte. Una scelta che ci rende parte di una sparuta minoranza di madri e figli che prolungano l’allattamento oltre i primi mesi e, addirittura, dopo il primo compleanno del bambino. Una minoranza che nella mia regione, dove si allatta poco e quasi mai in modo esclusivo e a richiesta, è addirittura “sparutissima”, se così si può dire. Una scelta non sempre facile, dal momento che mi rende ancora indispensabile per l’addormentamento serale di Flavia e la gestione dei risvegli notturni, che tra l’altro sono favoriti proprio dalla sua abitudine di attaccarsi al seno per conciliare il sonno. Una scelta che mi espone nella migliore delle ipotesi alla mera curiosità delle persone, davvero disabituate a vedere un bambino di due anni – che va all’asilo, parla speditamente, corre e recita filastrocche a memoria – chiedere espressamente il seno e attaccarsi per ciucciare (commentando anche le qualità organolettiche del latte, in qualche caso). E che spesso mi costa, purtroppo, critiche più o meno velate, battute sarcastiche, domande sconcertate e commenti di ogni genere. Da gente – madri, di solito – che evidentemente ignora che su scala mondiale la pratica dell’allattamento prolungato è senz’altro poco gettonata, ma non così stravagante.

Non è facile, in effetti. Allatto ancora mia figlia di due anni e per questa cosa mi sento in ultima analisi anormale, nel senso letterale del termine. Anormale perché io e Flavia, obiettivamente, non rappresentiamo la norma, non incarniamo la situazione “media” del contesto culturale e sociale in cui viviamo (perché in realtà in altre culture, anche diversissime tra loro, è molto meno inusuale vedere un cosiddetto toddler attaccato al petto di sua madre). E siccome da anormale a sbagliata il passo è breve, io quest’estate mi sono anche convinta che dovevo smettere di farlo, anche se mia figlia non era assolutamente dello stesso parere. Dopo alcune settimane di grande tensione per l’intera famiglia, di vere e proprie crisi d’astinenza da tentare di tamponare con surrogati di varia natura, alla fine ho desistito. Frustrata e confusa.

Poi ho scoperto per caso che una persona che conosco grazie ai social e al mio lavoro sul web, una donna che io ho sempre considerato moderna e vincente, una professionista affermata e popolare, allattava anche lei la sua duenne, e questo mi ha in qualche modo aiutato ad assolvermi. Se lei, così figa e brillante, aveva optato per l’allattamento prolungato, forse potevo smettere di considerarmi una sfigata e una pessima madre. E così, grazie alla testimonianza di questa collega tanto stimata (e visto che Flavia proprio non voleva saperne) ho continuato ad allattare fino a questo momento.

Ma perché allatto ancora mia figlia di due anni? Non certo perché è una cosa che mi diverte, o mi esalta. Diciamo che in generale non mi dispiace, anche perché di certo non sarei arrivata fin qui, altrimenti. E non è, al momento, una cosa che mi causa dolore o altri fastidi fisici (nella mia lunga storia di madre allattante ho avuto piccole ragadi, dolori localizzati, escoriazioni più o meno serie e ingorghi anche estremamente dolorosi, ma non succede da molto tempo, oramai). Ma spesso ne farei volentieri a meno, specie quando allattare significa restare sveglia per metà della notte, oppure dover continuamente spostare le manine di Flavia che vorrebbero “tormentarmi” l’altro seno come un antistress. È una cosa, inoltre, che ha cambiato profondamente l’aspetto del mio seno, tanto che adesso me ne vergogno abbastanza. È una cosa che, tra un figlio e l’altro, mi ha impedito per quasi 4 anni di lasciare i bambini col padre di sera o di notte. Costa fatica, costa notti insonni, costa presenza. È costato dolore. Eppure continuo, ma allora perché?

Perché Flavia ne ha, al momento, un bisogno ancora disperato. Perché se provo a negarle il seno la sua reazione diventa incontenibile: urla, lacrime, apnee e conati di vomito. Perché una volta ho provato a “resistere” per mezz’ora e ho temuto davvero che le venisse una sincope. Perché lei, che sa parlare piuttosto bene, argomenta la sua richiesta in modo articolato, mi implora, mi supplica. Allatto ancora mia figlia di due anni perché, a differenza di suo fratello, non si è mai convinta a prendere il ciuccio, né si è mai consolata da sola succhiandosi un dito. Eppure, evidentemente ha ancora la necessità della suzione per rilassarsi o addormentarsi (come tanti altri suoi coetanei, del resto. Solo che loro risolvono col succhietto, appunto).

Allatto ancora mia figlia di due anni perché per me la decisione iniziale è stata quella di un allattamento completamente a richiesta. E allattare a richiesta, di solito, non si riduce a una mera scelta nutrizionale, un modo come un altro – allattamento artificiale, o misto – per alimentare il proprio bambino. Allattare a richiesta è uno stile complessivo di gestione della maternità, in cui la suzione al seno diventa una possibile risposta, per quanto non l’unica, ovviamente, a esigenze che vanno ben oltre la fame. Diventa, se il bambino lo gradisce e lo richiede (non certo se la mamma lo trova comodo o piacevole, a mio parere) un modo per consolare dal dolore o dalla paura, per accompagnare nel sonno, per calmare dal disagio. Come, per molti bambini, accade appunto col ciuccio, o col pollice da succhiare. Flavia mangia qualsiasi cosa, e da molto tempo. Fa regolarmente colazione al mattino, mangia da sempre pietanze “da adulti” e ha gusti molto articolati, oltre che essere straordinariamente golosa. Ma questo non ha niente a che vedere con il mio latte. Che nel nostro caso non è mai stato, appunto, soltanto cibo.

Allatto ancora mia figlia di due anni perché per adesso non me la sento di negarmi, anche se per certi versi sarebbe un sollievo. Non mi sento, per questo, un’ipocrita, né una madre coraggio. È solo che visto che ho scelto liberamente questo stile di allattamento – esclusivo e a richiesta, appunto – che assecondava la sua personalità bisognosa da sempre di contatto e tanta suzione, non ho ancora avuto voglia di imporle un cambiamento che per lei, al momento, sarebbe in qualche modo doloroso. Se fossi riuscita a convincerla a usare il ciuccio, probabilmente la transizione sarebbe già avvenuta, come è stato a suo tempo per suo fratello. Ma tant’è, col senno di poi non si va da nessuna parte. Per Flavia niente ciuccio, e pedalare.

Questo significa che allatterò a termine, ovvero fino a quando non sarò mia figlia stessa a decidere di smettere? Non lo so, e onestamente non credo. La stanchezza è tanta, così come la voglia di ricominciare a dormire per più di tre ore di fila, di condividere la routine serale e notturna col padre dei miei figli o di gestire gli impegni di lavoro senza l’ansia della possibile reazione di mia figlia a una mia assenza più lunga di alcune ore.

Sono sicura che nei prossimi mesi troveremo una strada condivisa. La nostra strada. Fino ad allora, io mia figlia la continuo ad allattare. Anche se ha due anni, anche se a volte mi costa una fatica enorme. Anche se la gente ci guarda e, pure se non lo dice, pensa che sono anormale. Anche se anormale, in un certo senso, lo sono davvero. Mia figlia ha due anni e io la allatto ancora.

30 Novembre 2016 31 Commenti
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allattamentogravidanza e parto

Fare un figlio a Napoli, oggi

by Silvana Santo - Una mamma green 26 Settembre 2016

Fare un figlio a Napoli, oggi, è un po’ come fare un bel viaggio nel tempo. Come ficcarsi in una porta spazio-temporale e tornare indietro di una trentina d’anni almeno.

Comincia tutto quando scopri di essere incinta, e realizzi che il novantanove per cento delle tue amiche, parenti e conoscenti già madri, o a loro volta in attesa, ha, o ha avuto, un ginecologo. Privato. Se anche ti venisse voglia di farti seguire da un’ostetrica, dovresti riuscire a trovarne una in gamba (e se non sei brava con internet, potrebbe essere molto difficile, visto che tra le tue conoscenze sarà improbabile trovare chi ha un’esperienza diretta da raccontarti o un nome da consigliare) e sperare che non siate troppo distanti. Se non sei molto motivata, e sufficientemente informata, finirai come tutte, affidata semplicemente a un medico. Il quale programmerà per te almeno un’ecografia al mese, che tu farai senza battere ciglio perché tutte quelle che conosci hanno vissuto la gravidanza allo stesso modo, e poco importa che il Sistema sanitario nazionale indichi in tre il numero complessivo di ecografie necessarie nel corso di una gestazione fisiologica. Inizierai il corso di preparazione al parto relativamente tardi, magari dopo la trentesima settimana. È possibile che tu ti senta dire dall’ostetrica che dopo i primi venti giorni è meglio allattare a orario, e dalla psicologa che dormire insieme ai propri figli è estremamente dannoso per lil loro benessere mentale, tanto che la maggioranza degli adolescenti problematici lo è perché ha condiviso il letto con mamma e papà.

A un certo punto arriverà il momento di dare alla luce tuo figlio, e tu, quasi certamente, sceglierai di partorire nella clinica privata o convenzionata dove opera il tuo ginecologo. Opera, nel senso stretto del termine, perché non è improbabile, per usare un eufemismo, che tu venga sottoposta a un taglio cesareo. Più nel dettaglio, avrai il doppio delle probabilità di essere cesarizzata rispetto a una puerpera dell’Emilia Romagna, del Veneto o della Toscana, e il triplo rispetto a una mamma del Trentino Alto Adige. Ti diranno che tuo figlio è troppo grande o troppo piccolo, oppure che è posizionato male. Che hai il bacino stretto, che hai perso troppo liquido amniotico, che la gravidanza dura da troppi giorni o che il travaglio procede troppo lentamente. Ti spiegheranno che sei già stata tagliata una volta e quindi è meglio “non rischiare”, o che il cesareo è di per sé l’opzione più sicura per tutti. A prescindere. Più semplicemente, ti diranno in modo vago che tuo figlio rischia di stare male, che c’è qualcosa che non va col tracciato che rileva il suo battito cardiaco, e tu allora non avrai dubbi: acconsentirai all’intervento sapendo che la cosa più importante è che il tuo bambino nasca sano e forte.

A questo punto, o meglio dopo le lunghissime ore che avrete passato separati, ti ritroverai con tuo figlio tra le braccia e, se sei fortunata, incapperai in una puericultrice che sa fare il suo lavoro, che ti chiederà se vuoi allattare il tuo bambino e, se lo vorrai, ti aiuterà ad attaccarlo al seno in modo corretto. Ti incoraggerà se dovessero insorgere dei problemi, ti rassicurerà e ti inviterà alla pazienza. Se non hai fortuna, però, dovrai arrangiarti da sola, o sperare nel supporto di qualche parente che abbia un po’ di esperienza. È possibile che tuo figlio venga alimentato col biberon dagli operatori ospedalieri senza che tu neanche lo sappia. È possibile, addirittura, che tu venga espressamente scoraggiata dall’allattare esclusivamente al seno, o a richiesta. È possibile che ti mandino a casa con la raccomandazione di fare “una poppata ogni tre ore, non più di dieci minuti per lato”. È possibile, o per meglio dire addirittura probabile, che tu venga dimessa con la prescrizione di un’aggiunta di latte artificiale. Perché il latte non basta, perché il bimbo è piccolo e si stanca, perché ha l’ittero, perché è grande e ha troppa fame. Oppure perché tu hai i capezzoli piccoli, perché il cesareo ti ha prostrata, perché senti dolore quando tuo figlio si attacca.

Se non ci hanno pensato in ospedale, rimedierà presto il tuo pediatra, privato o della mutua. Che ti consiglierà di non allattare troppo spesso perché altrimenti tuo figlio rischia di avere le coliche, o di viziarsi, o di “scambiarti per un ciuccio”. Che ti raccomanderà il latte artificiale “così siamo sicuri di quanto mangia”, e soprattutto così non lo facciamo piangere di notte. Che, se tuo figlio è un po’ più piccino della media, ti inviterà a comprare una bella bilancia per fare la doppia pesata prima e dopo ogni poppata. E poi camomille e tisane: tisane per il mal di pancia, per saziarlo di notte, per farlo dormire più a lungo.

Se riuscirai ad allattare al seno in modo esclusivo, la gente intorno a te non farà che chiederti quando introdurrai finalmente il biberon. Qualcuno, candidamente, ti domanderà: “Ma come mai lo allatti tu?”. Quando tuo figlio avrà appena compiuto 4 mesi, in molti ti esorteranno a cominciare lo svezzamento, “almeno la frutta, per abituarlo al cucchiaino”. Sarà, molto probabilmente, lo stesso pediatra a indirizzarti allo stesso modo, a prescindere dai tuoi impegni di lavoro fuori casa. Frutta subito, brodino e pappa dopo un paio di settimane. Se ignorerai queste raccomandazioni, aspettando i sei mesi compiuti, qualcuno insinuerà con una battuta che stai affamando tuo figlio, o, per lo meno, che gli neghi il piacere di assaggiare qualcosa che non sia il solito latte. E se poi ti ostinerai ad allattarlo oltre il suo primo compleanno , ti sentirai chiedere da più parti: “Ma quando gliela levi, ‘sta zizza?”. Ti vergognerai, ti sentirai in colpa, diversa, forse sbagliata.

Fare un figlio a Napoli, oggi, vuol dire molto spesso dagli il nome del nonno paterno, anche se tu non ne avresti davvero alcuna voglia. Riportarlo a casa dall’ospedale vestito con un abito elegante, e avvolto in una coperta costosa, anche se hai il conto in rosso, e i soldi per quel minuscolo completo sarebbero più utili per i pannolini. Battezzarlo con una grande festa, anche se non entri in una chiesa dal giorno del tuo matrimonio. Tornare indietro nel tempo, di una trentina d’anni almeno. Fare un figlio a Napoli, oggi.

26 Settembre 2016 9 Commenti
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Mi chiamo Silvana Santo e sono una giornalista, blogger e autrice, oltre che la mamma di Davide e Flavia.

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