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allattamento

allattamento al seno
allattamentogravidanza e partopost sponsorizzati

#allattaserena anche mentre sei incinta: la mia esperienza di allattamento in gravidanza

by Silvana Santo - Una mamma green 27 Ottobre 2014

Quando ho scoperto di essere incinta per la seconda volta, il mio primogenito aveva circa 13 mesi e lo allattavo ancora. Si trattava di un allattamento per così dire residuale, soltanto notturno e associato a un’alimentazione ormai “da grande”, ma comunque ancora molto importante per BigD, non tanto per ragioni strettamente nutritive (anche se mio figlio non ha mai assunto altro latte a parte il mio), quanto per una questione di contatto fisico, relazione madre-figlio e rassicurazione.

Neanche per un attimo, quindi, ho pensato di pretendere che lui rinunciasse all’improvviso a questo rito così speciale, solo perché ero in attesa di un fratellino. La decisione di continuare ad allattarlo, aspettando che lui fosse naturalmente pronto per staccarsi dal seno (non me la sarei comunque sentita di continuare dopo il parto con un allattamento in tandem) è stata immediata e incontrovertibile. Personalmente, non ho sentito neanche l’esigenza di informare in dettaglio il ginecologo che mi sta seguendo durante la gravidanza. Tutto quello che ho fatto è stato continuare a fare esattamente come prima, assicurandomi con regolari controlli del sangue che il mio organismo reggesse senza problemi al doppio impegno simultaneo.

L’allattamento di Davide è proseguito per quasi cinque mesi dopo l’inizio della mia seconda gravidanza, senza che questo costituisse mai un problema per il mio corpo. La scelta di interromperlo è arrivata solo quando mio figlio sembrava effettivamente “pronto” (infatti è stata praticamente indolore), le poppate notturne si erano progressivamente ridotte e, soprattutto, si avvicinava il momento in cui lui avrebbe dovuto ammortizzare altre novità importanti, dall’inserimento al nido all’arrivo del fratello/sorella, per cui mi sembrava giusto proporgli un solo cambiamento per volta.

Eppure, la mia scelta di proseguire con l’allattamento al seno anche durante la gravidanza ha suscitato un certo stupore, se non proprio qualche preoccupazione, in alcune persone vicine. In effetti, l’erronea convinzione che una donna che si scopre incinta debba immediatamente smettere di allattare resiste ancora, nonostante le recenti evidenze scientifiche che escludono, in linea generale, rischi per la salute della gestante e del feto, oltre che del lattante.

A dirlo, ovviamente, non è solo e non è tanto la mia esperienza (e quella di molte altre madri), ma diversi documenti scientifici, tra cui un recente comunicato del Ministero della Salute che riporta le conclusioni del Gruppo di studio sull’allattamento al seno della Società italiana di medicina perinatale (SIMP) e del TAS (Tavolo tecnico operativo interdisciplinare per la promozione dell’allattamento al seno) dello stesso Ministero della Salute.

In pratica, secondo gli esperti «non è documentato in letteratura un aumentato rischio di aborto nelle madri che allattano durante la gravidanza, né che la suzione al seno collegata all’allattamento possa determinare parto pre-termine per attivazione delle contrazioni uterine». In un paese come l’Italia, in cui le donne gravide sono generalmente sane e ben nutrite, non esiste inoltre «un aumentato rischio di ritardo di crescita intrauterino né di malnutrizione materna». Gli studiosi ricordano che occorre comunque fare attenzione, soprattutto in situazioni particolari – donne adolescenti, condizioni di malassorbimento, presenza di patologie croniche, etc – e che è fondamentale monitorare lo stato di salute di mamma, bambino e lattante attraverso i normali controlli medici periodici.

Quanto a me, rammento con un senso di particolare “pienezza” quei mesi in cui il mio corpo di mammifera ha mostrato al massimo le proprie potenzialità, crescendo una piccola vita nel profondo di sé e contemporaneamente continuando a distillare nutrimento e amore liquido per il mio bambino già nato. Per la sottoscritta è stata una scelta istintiva e naturale, ma chi avesse dei dubbi può rivolgersi a una consulente professionale per l’allattamento, preparata a rispondere a tutte le domande del caso, fornire indicazioni e consigli aggiornati (ci si può rivolgere, ad esempio, ad esempio, alla Leche League o alle consulenti IBCLC). In qualche caso, potrebbe essere utile sostenere la lattazione con un integratore naturale a base di sostanze galattogoghe come la galega, il finocchio, il cardo mariano o il fieno greco.

L’importante, come sempre, è che ogni decisione sia presa nella totale autonomia e con la massima serenità, ricordando che si tratta di un fatto privato tra madre e bambino.
[Questo post partecipa alla campagna #allattaserena in collaborazione con LactogalPlus, integratore che favorisce la montata lattea e la secrezione di latte grazie alla presenza di Galega]

27 Ottobre 2014 3 Commenti
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allattamento

Latte versato

by Silvana Santo - Una mamma green 17 Gennaio 2014

Cosa vorrei dire a una madre che inizia ad allattare (e a quella che ha scelto di non farlo)

Questo post è stato pensato alle 4 di mattina, mentre ero sdraiata a letto accanto a mio figlio che poppava. Un letto vuoto, a parte noi due, in seguito a una discussione notturna con il genitore maschio sul tema latte, nanna e dintorni. Mentre inseguivo un sonno che non sarebbe più tornato, ho pensato a quello che avrei voluto sentirmi dire in questi lunghi mesi di allattamento al seno, emozionanti e atroci, distruttivi ed esaltanti. A quello che avrei voluto sentire ma in pochi mi hanno detto, e non sempre nel modo giusto. A quello che direi io alla mamma di un figlio appena nato.

Prima di tutto, non è colpa tua. Non è colpa tua se l’allattamento non va per il verso giusto, se tuo figlio cresce troppo o troppo poco. Se tuo figlio non dorme abbastanza o piange troppo. Non è tua la colpa se vuole stare sempre al seno, se rifiuta il ciuccio, se non vuole saperne del biberon. Non è colpa tua se si addormenta solo ciucciando, se passano i mesi e tuo figlio non vuole staccarsi dal seno. Non è una colpa, al contrario, decidere di non allattare, non è una colpa arrendersi al dolore, al sangue, al mal di schiena, alla frustrazione di una poppata che non funziona bene. Alla stanchezza mortifera. Non è una colpa decidere di non volerci neanche provare. Non è una colpa, semplicemente, stabilire che il latte artificiale è la soluzione migliore per te e per tuo figlio. Non è una colpa allattare per pochi mesi o per qualche anno. Non è colpa tua.

Documentati, leggi, informati. E poi decidi in autonomia. Non permettere che altri, neanche il padre di tuo figlio, ti dicano cosa fare. Ascolta il tuo corpo e il tuo cervello, segui il tuo istinto. Quello materno, ma anche (e forse soprattutto), quello di sopravvivenza. Non fare paragoni con le altre madri e con i loro figli. Cerca di comunicare con il tuo bambino e saprai cosa fare.

Passerà. Qualunque difficoltà tu stia vivendo o ti troverai ad affrontare, ricordati sempre che passerà. Le fredde notti insonni non dureranno per sempre. Il dolore al seno, per quanto lancinante, scomparirà tra poco senza lasciare traccia. Il letto matrimoniale ritornerà presto ad essere tale, la fame e la sete si spegneranno. Il tuo corpo tornerà ad essere normale. Normale e tuo. Il tuo bambino non sarà un poppante per sempre.

L’allattamento è una cosa naturale, ma questo non vuol dire che sia facile. Anche le pestilenze sono naturali, come lo sono le doglie e il mal di denti. Anche morire è una cosa naturale.

Il dolore fisico, in molti casi, può essere prevenuto informandosi bene. Chiedi aiuto a chi ha già esperienza, purché sia una persona che ti conosce bene e di cui ti fidi. La Lega del Latte è un ottimo supporto, ma non è la depositaria della verità assoluta (come nessun altro, del resto).

Qualunque sia la tua scelta – seno, formula, una via di mezzo tra le due, allattamento breve o prolungato, cosleeping – troverai chi ti dirà che l’hai compiuta per egoismo, che hai deciso di percorrere la strada più “comoda”. Fregatene. Tu sai, eccome se lo sai, che la verità è un’altra.

Tuo figlio starà bene. In ogni caso. Amalo, passa del tempo con lui, goditi il tempo insieme a lui. E lui starà bene.
allattamento1Per quanto mi riguarda, allattare al seno non è stata una vera e propria decisione, nel senso che non mi sono mai neanche chiesta se non fosse per caso preferibile rinunciarvi. Istintivamente, ho sentito che la mia strada era quella. Questo però non ha reso le cose sempre facili, soprattutto a causa di consigli non richiesti, interferenze, giudizi sommari. Espressi, tra l’altro, quasi sempre da donne che non hanno mai allattato (e magari che non sono neanche madri).

Prima che partorissi, ad esempio, la parola d’ordine era incoraggiamento. Al grido di frasi come “Spero che tu riesca ad allattare, io ho avuto due figli e non ci sono riuscita!” oppure “Le ragadi sono insopportabili, io sanguinavo come una fontana, allattavo e piangevo”. Quando è nato mio figlio, l’iniezione di fiducia e di ottimismo ha raggiunto picchi grotteschi. La mia compagna di stanza in ospedale, al terzo parto, si vantava ad alta voce di quanto fosse bravo suo figlio a poppare, di quanto le sue tette si prestassero anatomicamente ad allattare, di quanto latte avesse a sole 24 ore dal cesareo. Nel letto accanto, nel frattempo, io ero in lacrime perché Davide faticava ad attaccarsi e perché non c’erano segnali della montata lattea.

Poi, decollato l’allattamento, sono arrivate le cosiddette coliche. Estenuanti e interminabili. E lì le mie incoraggianti congeneri si sono davvero superate. Per qualcuna mio figlio piangeva perché non avevo abbastanza latte, per qualcun’altra invece ne avevo troppo, oppure era indigesto. In ogni caso, la causa di tanta disperazione era nelle mie tette, e nella mia caparbietà nel continuare ad offrirle al mio bambino. Passate le coliche, è stata la volta della nanna (“Se non dorme tutta la notte è solo colpa delle tette, dagli il biberon!”), e poi dello svezzamento: quando Davide ha compiuto 4 mesi è iniziato il coro dei “Non sarebbe ora di svezzarlo? Gli stai dando almeno la frutta? Se aspetti troppo avrà problemi con il cucchiaino! E poi arriverà l’estate, farà troppo caldo (!) per dargli da mangiare”. Avviato lo svezzamento, per altro con una facilità imbarazzante, le argomentazioni non si sono esaurite. Da qualche mese il leitmotiv ruota intorno al fatto che Davide-ormai-è-grande, se non gli levi il seno adesso non ci riuscirai più, così tuo figlio diventa un “mammone”, un imbranato, un maniaco sessuale. Come se allattare un bambino di un anno, tra l’altro soltanto di notte, e solo quando lui reclama il seno piangendo disperato (non sono mai io a offrirglielo) equivalesse a una castrazione chimica.

Posso solo immaginare cosa debba sopportare una madre che non allatta.

Fortuna che ho avuto accanto anche madri empatiche e rispettose. Discrete e compassionevoli. Peccato che in molti casi si trattasse di donne conosciute da poco, fisicamente lontane, a volte mai incontrate di persona. Le ringrazio con tutto il cuore: senza di voi non ce l’avrei fatta. O forse sì, ma mi sarei sentita ancora più sola.

17 Gennaio 2014 66 Commenti
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allattamentoessere madre

Ettolitri

by Silvana Santo - Una mamma green 13 Gennaio 2014

acqua1A volte mi sembra di poter misurare l’amore per mio figlio in multipli del litro.
Ettolitri di sangue pompato nel suo corpo trasparente mentre nuotava nel mio ventre, chiuso nella sua culla d’acqua (altri litri d’amore fluido). Ettolitri di latte prodotto solo per lui, distillando ora per ora le stagioni e gli umori di ogni giorno. Ettolitri di brodo caldo a sobbollire nei pentoloni, come una di quelle pozioni magiche a base di zampe di rana, ali di farfalla e fegato di strega. Ettolitri di acqua tiepida in cui sguazzare senza peso, urlando letteralmente di felicità. Cascate trasparenti di dedizione materna, una pioggia incessante di trasporto e calore.
Un amore liquido e primordiale. In grado di filtrare ovunque, di imbibire ogni cosa, di scivolare su qualsiasi superficie. Un amore che disseta e feconda, in continua trasformazione ma sempre uguale a se stesso. Caldo e naturale come l’elemento in cui siamo nati, come specie e come individui.
Ettolitri di me che ora sono pezzi di mio figlio. L’osmosi perfetta, la madre di tutte le osmosi.

13 Gennaio 2014 0 Commenti
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Omogeneizzati o pappe fatte in casa? Piccola guida alla scelta

by Silvana Santo - Una mamma green 20 Novembre 2013

Questo post è dedicato alla mia amica Maria, (baby)cuoca sopraffina e madre fantastica

Mio figlio è tanto mangione quanto pigro. Fosse stato per lui, sarebbe rimasto abbrancato alla tetta almeno per i prossimi 12 anni, e il suo interesse per i cibi “dei grandi” è minimo, anche adesso che ha nove mesi e mezzo (sarà che è ancora sdentato come la Befana?). È soprattutto per questo – ma anche, devo ammettere, per la mancanza di informazioni complete da parte mia – che ho scartato da subito l’idea dell’autosvezzamento, in favore di una introduzione più tradizionale degli alimenti solidi (ma di questo parleremo diffusamente in un altro post): pappe “dedicate” e fatte in casa, a partire dai sei mesi, con aggiunta progressiva dei vari ingredienti cotti al vapore o bolliti.

Quando è giunto il momento di iniziare a integrare il latte materno, su un’altra cosa non ho avuto dubbi: BigD avrebbe mangiato piatti preparati in casa, mentre gli omogeneizzati (rigorosamente privi di sale, zucchero e aromi, oltre che biologici) sarebbero stati riservati alle situazioni di emergenza come i viaggi all’estero. Non essendo io un’esperta di nutrizione pediatrica – per quanto sia convinta che l’alternativa industriale non offra una maggiore garanzia di qualità e sicurezza dei cibi e il nostro medico abbia avallato fin da subito la mia scelta in fatto di pappe – ho fondato questa decisione soprattutto su ragioni di natura diversa:

– La possibilità di variare: per quanto ampia, la scelta di omogeneizzati sul mercato rimane limitata. È impossibile gestire autonomamente gli abbinamenti, così come modulare il menu in base alla naturale disponibilità stagionale di frutta e verdura. A meno che non mi sia persa il marchio di baby food che propone ricotta e spinaci o zucca con tacchino.

– Educazione al gusto: forse è soltanto una mia impressione, ma gli omogeneizzati sembrano avere tutti lo stesso odore (e sapore, sic!). Una volta preparato il pasto, risulta difficile riconoscerne i singoli ingredienti, mentre le pappe fatte in casa conservano intatta la gamma di profumi e di gusti della nostra cucina. Tanto che a volte me ne sparerei volentieri qualche cucchiaiata anch’io.

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– La palestra delle consistenze: con gli strumenti casalinghi a disposizione (frullatore, cuocipappa al vapore) gli “omogeneizzati” fai da te non riescono mai ad avere quella texture liscia e perfettamente cremosa delle alternative industriali. Ma a me questo è sempre parso un bene: il piccolo gourmet, in questo modo, ha la possibilità di sperimentare da subito granulometrie diverse, imparando a “gestire” e ad apprezzare le differenti consistenze degli alimenti.

– Impatto ambientale: se nutrissi BigD con gli omogeneizzati industriali, ogni giorno mi troverei con almeno 6 vasetti di vetro da smaltire. Oltre ai relativi coperchi, alle etichette e all’imballaggio esterno di cartone. L’impossibilità di variare le porzioni, inoltre, rischierebbe di farmi lasciare dei vasi utilizzati a metà, che poi potrebbero finire sprecati. Preparandoli in casa, posso riciclare i contenitori e ridurre i rifiuti, oltre a modulare come voglio le quantità.

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20 Novembre 2013 19 Commenti
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allattamentosvezzamento

Pappa ecofriendly? Latte di mamma e alimenti bio

by Silvana Santo - Una mamma green 4 Settembre 2013

Tratto dalla mia rubrica Diario di ECOmamma su La Nuova Ecologia (numero di settembre 2013)

È pratico, gratuito, rinsalda il legame tra madre e figlio e risponde in modo ideale alle esigenze nutrizionali del neonato. I benefici dell’allattamento al seno si sprecano, e sono argomento comune nei corsi di preparazione al parto, nelle maternità e negli studi pediatrici, ma è raro che si sottolinei un’altra caratteristica fondamentale dell’alimento materno: è amico dell’ambiente. Si tratta infatti del prodotto “a chilometri zero” per eccellenza, che viene reso disponibile all’occorrenza e sempre nella giusta quantità. Zero rifiuti, inoltre, per il latte di mamma, che a differenza di quello formulato non richiede bottiglie, lattine, brick o altri contenitori monouso. Da non sottovalutare, infine, il risparmio, in termini di emissioni di CO2, rispetto al latte vaccino: se tutti i bambini del mondo venissero allattati con un prodotto di origine bovina, le conseguenze ambientali dell’allevamento delle vacche sarebbero molto pesanti. Il consiglio, dunque, è di rispettare, salvo diversa indicazione del pediatra, il suggerimento dell’Organizzazione mondiale della sanità, che consiglia di allattare esclusivamente al seno fino al sesto mese compiuto. A un certo punto, però, il piccolo va ovviamente svezzato, cominciando di solito col proporgli delle semplici puree di frutta. È importante, in questo caso, che i primi pasti del bambino siano quanto più naturali possibile, privi di additivi come zucchero o altri dolcificanti.

Quando è toccato a me cominciare lo svezzamento di Davide, ho optato per preparare in casa le sue pappe, attraverso il procedimento della cottura al vapore, che limita la perdita dei nutrienti e preserva i sapori. La frutta da servire al bambino, possibilmente biologica, va acquistata da un rivenditore fidato e lavata accuratamente prima della preparazione. Lo stesso vale, una volta introdotti i cibi “salati”, per le verdure e le carni, a cui in ogni caso non deve essere aggiunto sale extra (è sufficiente quello contenuto naturalmente nei cibi). Per proporre alimenti che contengono glutine e altri cibi allergenici è opportuno invece attendere l’ok del pediatra.

La scelta di auto-produrre i primi pasti consente di controllare meglio gli ingredienti, puntare su tecniche di preparazione più semplici e ridurre la quantità di rifiuti prodotti, ma chi volesse acquistare pappe già pronte può contare su diversi marchi di alimenti biologici per la prima infanzia, controllando sempre che siano privi di sale e di zucchero aggiunti, oltre che di pesticidi. Via libera, infine, anche allo svezzamento vegetariano, a patto che sia effettuato sotto controllo medico e con l’eventuale integrazione dei nutrienti che potrebbero risultare carenti (su questo tema, un approfondimento al più presto!).

4 Settembre 2013 10 Commenti
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allattamentoessere madregravidanza e parto

La verità, vi prego, sul diventare mamma

by Silvana Santo - Una mamma green 16 Maggio 2013

Questo post richiede un paio premesse, un po’ come i film zozzi che devono essere contrassegnati dal bollino rosso o le pubblicità dei Sofficini in cui una piccola scritta ci avverte che il sorriso di formaggio che si forma affondando la forchetta è frutto si una spudorata simulazione al computer (avvertimento che tra l’altro non mi ha mai impedito di tentare inutilmente di riprodurre il suddetto sorriso, ma questa è un’altra storia…). Prima precisazione: quanto leggerete si basa esclusivamente sulla mia esperienza, in quanto tale limitata e priva di qualunque rappresentatività statistica. Secondo: sono perfettamente consapevole che il fatto di avere avuto un figlio sano sia una benedizione straordinaria (o una fortuna sfacciata, scegliete voi la formula che preferite). Convivere quotidianamente con la disabilità, la malattia, l’invalidità è semplicemente eroico – io, evidentemente, non avrei questa forza. Terzo e ultimo: non sono depressa e amo con tutto il cuore mio figlio. È solo che mi sta a cuore raccontare alcune cose sulle quali di solito le madri, neofite e navigate, nicchiano. Forse perché il mondo le farebbe sentire inadeguate se solo osassero ammettere la verità.

Latte, amore e frustrazione
Dopo la sua nascita, avvenuta l’8 febbraio scorso dopo un inutile travaglio durato tutta una notte (inutile perché alla fine me l’hanno strappato dalle viscere con un cesareo), mio figlio ha pianto senza posa per tre mesi. Ovvio, direte: è un neonato, cosa vuoi che faccia? Solo che lui piangeva di dolore, per ore e ore, senza poter essere consolato in alcun modo legale o raccomandabile per un bambino di poche settimane. Urlava come un disperato, andando in apnea, diventando cianotico e sudando freddo. Si dimenava, scalciando come un cavallo in calore e serrando i pugni con tutta la forza che un duemesenne può avere. Si graffiava il viso a sangue. Spargeva lacrimoni, sbarrando gli occhi e guardandoti come se stesse bruciando vivo e tu ti limitassi a contemplarlo con aria annoiata. Nelle giornate buone, che grazie a Dio sono progressivamente aumentate di numero col passare dei mesi, questo horror show andava avanti al massimo per un’ora, ma le crisi peggiori sono durate anche mezza giornata, spesso sotto lo sguardo inquisitore di parenti e conoscenti in visita. Roba da far saltare i nervi anche a Madre Teresa di Calcutta.
Il motivo di tanta sonora sofferenza? Quelle che un buontempone sconosciuto ha battezzato “colichette gassose del neonato” (-ette ‘sti cavoli!). In altre parole: dell’aria nella pancia ha messo a dura prova il mio sistema nervoso (e l’udito già labile di mio marito) per settimane. Un disturbo benigno, per carità. Niente che il bambino non dimentichi nel momento stesso in cui termina lo spasmo. Ma, lasciatevelo dire, un autentico strazio. Vedere il tuo minuscolo figlio che si contorce dal dolore senza poterlo aiutare efficacemente, arrivare a sentirlo piangere “nella tua testa” anche quando dorme beato, doverti sorbire i consigli geniali di tutto il vicinato e gestire le domande ansiogene di amici e parenti non è esattamente il modo migliore per recuperare dal parto. L’unica cosa che posso dire a chi si trova ancora alle prese con l’inferno dei mal di pancia (e lo dico piano piano, perché non si sa mai): prima o poi passa, o per lo meno inizia ad andare ogni giorno un po’ meglio…

L’allattamento al seno è una gran cosa. Ma è anche una fatica altrettanto grande.
Ho la fortuna di avere molto latte. Talmente tanto che la Lola mi ha proposto di tenere a balia il suo ultimo vitello e che sono in trattativa con la Sperlari per aprire uno stabilimento delle Galatine nella mia camera da letto. Che gran c**o, penserà qualcuno, e in effetti è la verità. Molti soldi risparmiati, pappa sempre pronta e facile da servire, nutrienti perfettamente bilanciati per il manz… ehm, per il pupo, un legame affettivo con lui che si consolida ad ogni poppata. Ma anche la responsabilità di essere  a disposizione del bimbo accaventiquattro, come si dice adesso. Giorno e notte, sette giorni su sette, per mesi interi. Difficile “evadere” anche solo per un paio d’ore, visto che il richiamo della tetta può scatenarsi, senza preavviso, in qualsiasi momento. E poi: rinunce alimentari, tensione mammaria, crampi uterini, niente farmaci se hai la sfortuna di ammalarti. Insomma, non proprio una passeggiata. Mentre scrivo, mio figlio sfiora gli 8 kg di peso, che per un bimbo di poco più di tre mesi è quasi un record, e io ho intenzione di proseguire con l’allattamento esclusivo fino a quando lui starà bene e io ne avrò le energie (almeno fino ai sei mesi raccomandati dall’Organizzazione mondiale della sanità), però non giudicherei mai una mamma che dovesse scegliere di astenersi e ripiegare sul biberon. Non sentitevi una caccola se siete tra queste, anche se la prima domanda che le madri benpensanti vi fanno, di solito, è: «Gli dai il tuo latte?».

Il lavoro? Parliamo d’altro
Se avete avviato una brillante carriera lavorativa prima di restare incinte, se avete intenzione di farlo e vivete in Italia, aspettatevi di avere qualche difficoltà, per usare un eufemismo spinto. Per la maggioranza dei datori di lavoro nostrani, anche molti di quelli “progressisti” e “illuminati”, la collaboratrice-madre è il male supremo. Il nemico da annientare a suon di sensi di colpa e ricatti morali (anche materiali, perché no: mai porre limiti alla fantasia dei boss italiani). Dunque: consideratevi fortunate se siete tra quelle che hanno mantenuto il posto di lavoro anche dopo la Cicogna. Se poi avete goduto anche di diritti come la maternità e i permessi per l’allattamento, non lesinate in lacrime di commozione e novene di ringraziamento ad almeno una divinità a vostra scelta.

Una donna per amica
Rassegnatevi. Se si dice “senso di fratellanza” e non “di sorellanza”, un motivo ci sarà. La solidarietà non è roba per donne. Se avrete fortuna come la sottoscritta, troverete al vostro fianco qualche amica, cugina (o sorella) o addirittura madri e zie capaci davvero di non giudicarvi, e di sostenervi in modo sincero e costruttivo. Ma, per il resto, le donne che vi circondano cercheranno in tutti i modi, più o meno consapevolmente, di rallentare il più possibile la vostra ripresa e di spingervi a grandi falcate incontro alla più feroce delle depressioni post partum. Oltre a seppellirvi sotto una coltre pesantissima di consigli non richiesti, le già-madri riusciranno a sfoderare i peggiori sguardi di sufficienza e a criticare, di solito in modo subdolo, finanche il colore dei calzini che avrete scelto per vostro figlio. Le non-ancora-madri, dal canto loro, si abitueranno a guardarvi con un misto di commiserazione e disgusto, sottolineando con luciferina nonchalance i chili di troppo che vi sono rimasti sui fianchi o le rinunce alle quali, inevitabilmente, sarete costrette ora che è nato il bambino (Ma «Ifiglisonolagioiapiùgrande», come no…).

I figli so’ piezze ‘e core
Poi, naturalmente, c’è l’invidiabile routine delle neomamme: veglie notturne, rigurgiti nauseabondi, carillon deprimenti, visite sgradite, poco sesso e zero tempo per sé (roba che anche fare la pipì può diventare un lusso). E inoltre, chili di cacca liquida, e su questo aprirei un piccolo inciso: ripulire il proprio figlio neonato dalle sue deiezioni è una cosa che, in fondo, una madre media fa senza troppo sacrificio. Ma da qui a dire che “lacaccadeibambininonfaschifo”, perdonatemi, ce ne passa. La storia della “cacchina santa”, per me, è emblematica dell’ipocrisia che ancora alligna intorno alla questione della maternità. Che sarà anche la cosa più istintiva del mondo, ma, sarebbe ora di ammetterlo senza falsi pudori, rappresenta un’impresa molto faticosa, talvolta alienante, oltre che una limitazione permanente della propria libertà. Vivere ogni giorno della propria vita sapendo che si è scelto di mettere al mondo un essere umano: riuscite a pensare a una responsabilità più grande, a una sfida più impegnativa? Che poi ne valga la pena, questo è un altro discorso.

16 Maggio 2013 5 Commenti
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Mi chiamo Silvana Santo e sono una giornalista, blogger e autrice, oltre che la mamma di Davide e Flavia.

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