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mamme

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Cose da cui dovrei essere uscita indenne, anche senza vaccino.

by Silvana Santo - Una mamma green 4 Gennaio 2021

Non è dato sapere, visto anche il mio profilo di persona “a basso rischio” quando potrò avere accesso al vaccino per il Covid 19. Mi auguro di arrivarci presto e soprattutto indenne (scongiuri, scongiuri e ancora scongiuri!), ma intanto ho aperto l’anno riflettendo su una serie di cose per le quali il vaccino non esiste, eppure io dovrei essere ormai definitivamente al sicuro (scongiuri, scongiuri e ancora scongiuri!).

I pidocchi. Sui quali nella mia famiglia sono sempre circolate storie orripilanti che cominciano tutte con me che, alla verdissima età di 3 anni, rientro dalla materna con la testa brulicante di bestioline assetate di sangue. Per fortuna, non conservo alcun ricordo degli avvenimenti successivi, ma le cronache familiari raccontano di interminabili sedute manuali di spidocchiamento condotte da mia zia, che a quanto pare aveva conquistato sul campo il titolo di massima esperta sull’argomento. Dopo 6 anni complessivi di materna, spero, almeno su questo fronte, di averla sfangata in via definitiva.

I “Me contro te”. Che, per carità, saranno due bravissime persone (e senza dubbio alcuno sono due imprenditori geniali), ma mi è sempre parso che il loro ingresso nella vita quotidiana dei bambini tendesse facilmente a trasformarsi in una mezza dipendenza. Dò per scontato che presto finiremo anche noi invischiati alla grande nel tunnel di qualche youtuber, ma per ora, almeno, ci siamo salvati. Scansando anche l’infinito corollario di gadget e regali a tema (il film al cinema, però, siamo andati a vederlo per il compleanno di un’amica!).

Le domande sul terzo figlio. Ho quasi 40 anni, un figlio e una figlia. E un ovaio in meno. Un cocktail fenomenale di caratteristiche che dovrebbe ormai mettermi al riparo dalle domande indiscrete su eventuali altri figli.

Le palline e le sorpresine dei distributori. Con due figli di 8 e 6 anni, penso di poterlo dire ormai in via ufficiale: siamo usciti indenni dalla palude delle palle rimbalzine, delle macchinette mangiasoldi, dei regalini a sorpresa. Ai quali avremo concesso non più di pochi euro complessivamente.

Il parchetto. Che, pandemia permettendo, continuiamo ogni tanto a frequentare, ma con un’ottica ormai diversa rispetto a qualche anno fa: è un luogo ideale per incontrare gli amici e passare un po’ di tempo “in natura”, ma le classiche giostrine, dopo anni di parchi meravigliosi frequentati generosamente durante i nostri viaggi in mezza Europa e non solo, hanno perso decisamente l’attrattiva di un tempo.

Le cianfrusaglie dell’edicola. Ai quali raramente, in realtà, abbiamo fatto delle concessioni.

Scarta la carta. Riconosco che la pandemia ha dato il suo contributo decisivo, da questo punto di vista (forse è vero che anche le tragedie più grandi nascondono un piccolo seme di speranza), ma dopo anni nei quali ci capitava, per mesi e mesi, di frequentare sale feste e ludoteche più della nostra camera da letto, sembriamo ormai fuori dal tunnel di scarta la carta, dei festeggiati sul trono e dei palloncini a forma di fallo. Presto, presumo, entreremo in quello dei compleanni al pub e in pizzeria, ma se non altro vorrà dire che saremo finalmente liberi dal Covid.

I cartoni da piccolissimi. Peppa Pig, Masha, i Teletubbies e tutto il resto. Anche se, devo dire, alcuni capolavori struggenti come Puffin Rock ogni tanto mi mancano ancora.

Confido che presto verremo fuori dal rosa confetto e dagli ovetti di cioccolato, per tuffarci a capofitto, con rinnovato entusiasmo, nelle future manie. Perché essere genitori, si sa, è anche una lunga sequela di tunnel nei quali mettere le tende assieme ai figli. Il che, per inciso, può essere una cosa divertente assai!

4 Gennaio 2021 1 Commenti
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chat di classe, come evitare il bruciore di stomaco
life

Chat “delle mamme”: come evitare il bruciore di stomaco

by Silvana Santo - Una mamma green 5 Ottobre 2020

Pensi alla chat whatsapp della classe (ma anche a quella della piscina, del catechismo, del laboratorio di teatro), quella che di solito, senza alcuna ragione effettiva, viene chiamata “chat delle mamme”, ed è subito bruciore di stomaco. Centosettanta notifiche al giorno, critiche distruttive, polemiche infinite e circoli viziosi di bufale e falsi allarmi: soprattutto nel mezzo di una pandemia mortifera, in tempi di didattica a distanza e di restrizioni straordinarie, i gruppi online non fanno che ribollire. Rischiando di far venire l’ulcera anche al più zen e serafico dei genitori.

Per evitare di ritrovarsi a scagliare il proprio smartphone contro la parete in un moto di definitiva insofferenza, e soprattutto per tutelare la propria salute già messa a rischio dal morbo pandemico, ecco qualche consiglio semiserio per evitare l’acidità di stomaco causata dalle famigerate “chat di mamme”.

Prima cosa: pare che non sia mai stata promulgata alcuna legge che stabilisca che nelle chat “delle mamme” non ci possano stare i papà. Anzi, visto il vuoto normativo, la proposta di legge provvedo a formularla io stessa! Dato che difficilmente gli oneri legati alla gestione familiare e domestica vengono spartiti alla pari tra i genitori, propongo che almeno sul terreno delle chat whatsapp si raggiunga, in ogni coppia con figli, un salomonico fifty-fifty: a te le medie del primogenito e a me le elementari del fratello minore; a te la ginnastica artistica e a me il karate. A te il corso di fumetto e a me il catechismo (anzi, magari su questa si fa a cambio…). Se bruciore di stomaco deve essere, ebbene, che sia un male condiviso. Del resto, i patti erano chiari: in salute ed in malattia!

Secondo: mantenere sempre un basso profilo. Per sopravvivere alle chat delle mamme è davvero fondamentale mantenere un profilo basso e, soprattutto, scegliere con estrema accuratezza le proprie battaglie! Siete davvero sicuri che valga la pena seguire una discussione di 297 messaggi sul regalo di Pasqua per le maestre e farsi venire l’ulcera per distogliere la classe dall’acquisto di un orripilante soprammobile in coccio a forma di putto michelangiolesco? Nell’economia della vostra complessa e faticosa esistenza di madri e padri del terzo millennio, la scelta del ristorante per la “pizzata natalizia” della squadra di basket occupa tutto sommato un ruolo così prioritario? La qualità del vostro sonno migliorerà sensibilmente dopo che avrete finalmente convinto il resto della chat che quella sulle “scie chimiche che causano il reflusso gastroesofageo nei gatti” non è altro che una fake news? In cinque semplici parole: a voi che vi frega? Lasciate correre. Defilatevi. Disinteressatevi. Mimetizzatevi. A meno che non sia a rischio la sopravvivenza della vostra progenie. Credetemi, la vostra gastrite ne gioverà all’istante.

Terzo: il più scontato dei suggerimenti, talmente ovvio che rischia troppo spesso di venire trascurato. Se proprio la situazione si fa grigia, potreste disattivare le notifiche della chat, e limitarvi a chiedere le informazioni indispensabili di volta in volta. Certo, questo vi renderà corresponsabili dell’ulteriore aumento di entropia del gruppo, e forse finirà con l’irritare qualche altro malcapitato sopraffatto dalle notifiche a grappolo, ma almeno vi preserverà dalla colite ulcerosa. Com’è che si dice, d’altra parte? In guerra, e nelle chat di classe, non si guarda in faccia a nessuno.

Quarto: la mossa che non ti aspetti! Il paradosso del gruppo Whatsapp, la trovata a cui non avreste mai pensato e per la quale mi sarete grati vita natural durante. La chiave definitiva per disinnescare la terribile chat delle mamme e salvarsi miracolosamente dal mal di stomaco consiste nientemeno che… nell’apertura di una seconda chat, purché abbia rigorosamente i commenti bloccati. Supplicate il/la rappresentante di classe/società sportiva/scuola di teatro etc di aprire un altro gruppo, di destinarlo alle sole comunicazioni ufficiali, agli avvisi, alle raccolte fondi, e di tenere i commenti rigorosamente chiusi. In questo modo, potrete semplicemente ignorare la chat “chiacchiericcia” (o magari, in un moto sovversivo e liberatorio, uscirne una volta per tutte) e limitarvi a monitorare il suo istituzionale, sobrio e silenzioso duplicato, senza la preoccupazione di perdervi delle comunicazioni di importanza cruciale. Credetemi, se vi dico che questo espediente mi ha su serio salvato le giornate nei mesi più oscuri della quarantena e della didattica a distanza, quando, tra messaggi e notifiche, seguire la chat di classe era diventato un lavoro a tempo pieno, e il rischio di “mancare” degli avvisi realmente utili era concreto. Certo, vi occorre un/a rappresentante dotato di molta dedizione, ma fare un tentativo non costa niente!

Last but not least: il meno disinteressato, e probabilmente il più inutile, dei miei consigli per tentare di salvarvi dal bruciore di stomaco. Fate girare nel gruppo il mio post con le istruzioni d’uso per la chat Whatsapp della classe. Il che, in effetti, contraddice apertamente il contenuto stesso del post, ma magari farà fare quattro risate agli altri compagni di sventura.

5 Ottobre 2020 2 Commenti
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life

La versione migliore di me stessa. Che a volte fa schifo.

by Silvana Santo - Una mamma green 10 Settembre 2020

A volte vorrei poter rivivere il passato, ma vorrei poterlo affrontare con la consapevolezza che ho adesso. Un ragionamento ridicolo, lo so. L’insensata e patetica logica del senno di poi.
Il fatto è che la maternità si è rivelata per me una specie di paradosso temporale: ora conosco delle cose di me stessa che prima non avrei nemmeno saputo immaginare, e sulla base delle quali vorrei poter cambiare una serie di scelte del passato. Ma è proprio il passato che ho vissuto – esattamente così com’è stato – che mi ha rivelato queste cose, e se tornassi indietro mi ritroverei di fatto a ignorarle ancora (e a prendere di conseguenza le stesse decisioni discutibili).

Non si scappa dalle scelte che ci hanno condotto dove ci troviamo oggi. Ogni passo che abbiamo compiuto, ogni bivio inforcato, ogni cambiamento di direzione che abbiamo stabilito, hanno contribuito, giorno dopo giorno, a fare della nostra vita esattamente ciò che è oggi. Nel bene e nel male. E per quanto si possa cambiare rotta fino all’ultimo istante, anche cento volte in una sola esistenza, riavvolgere il nastro, semplicemente, non è possibile.

Ma la nostra vita – e quanto è difficile per me fare pace con questa verità – dipende anche da una lunga sequenza di decisioni altrui, da incontri più o meno fortunati, da casualità ineluttabili, da esperienze che ci hanno plasmato come tronchi sferzati dal vento. Quello che siamo, dentro e fuori, non dipende soltanto dalla nostra volontà e dalle decisioni che abbiamo preso giorno dopo giorno.

Vorrei che questa certezza fosse per me una liberazione. Una iniezione di leggerezza, un’assoluzione. Perché quella che “possiamo essere tutto quello che vogliamo”, in fondo, è una balla buona per le caption di Instagram e per le frasi motivazionali dei life coach. Siamo – anche – quello che la genetica, l’ambiente, la famiglia e la sorte hanno scelto per noi (andate a dirlo a un migrante che affronta il Mediterraneo, che può essere “tutto ciò che vuole”, o a un bambino qualsiasi nato e cresciuto nella parte sfortunata del mondo).

Possiamo essere il meglio di ciò che siamo, questo sì. Il meglio di quello che ci è concesso essere sfruttando appieno le possibilità, il materiale e gli strumenti che ci sono stati affidati, le esperienze che ci sono capitate, il bagaglio metaforico che è stato affidato alle nostre spalle fin da quando eravamo ancora incapaci di controllare i nostri sfinteri. Il meglio di ciò che siamo, che cambia di continuo in base a come ci sentiamo ogni giorno, a quello che la vita ci toglie o ci regala, a come ci trattano gli altri e a quello che ci capita.

Non sarò mai una persona diversa da quella che sono, ma posso cercare di essere ogni giorno il meglio di quel che sono, come madre, come figlia, come donna. Posso cercare di essere ogni giorno la versione migliore di me stessa, che certi giorni fa schifo, e allora c’è poco da fare. Questo, alla fine, dovrebbe riuscire a bastarmi. E spero che magari, prima o poi, sentirmi la versione migliore di me stessa (anche quando questo significa fare abbastanza pena) basterà a convincermi che anche il mio passato, semplicemente, è stato il migliore dei passati possibili.

10 Settembre 2020 2 Commenti
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essere madre

Nessuna di noi ha la verità in tasca

by Silvana Santo - Una mamma green 8 Luglio 2020
Ho allattato i miei figli per una media di un paio di anni a testa, ma non mi sento, per niente al mondo, una “mamma pancina”. Ho una laurea in scienze, non credo nell’omeopatia, non ho mai dubitato dell’assoluta utilità dei vaccini (che aggiorno regolarmente anche per me stessa, per inciso).
 
Ho viaggiato coi miei figli fin da quando avevano pochi mesi. Attualmente, Davide e Flavia sono già stati in 4 diversi continenti, e hanno all’attivo viaggi dal Circolo Polare Artico al deserto dell’Oman. Eppure, per anni ho trovato semplicemente devastante uscire a cena con loro. E quando ho la necessità di mettere piede in un centro commerciale assieme ai miei figli, prego tutte le divinità che conosco.
 
Non credo, in linea generale, nei premi e nelle punizioni. Sono, per certi versi, un genitore molto permissivo, e sono assolutamente convinta che l’educazione sia un processo orizzontale e biunivoco, fondato non già sull’autorità, quanto sull’empatia, sul dialogo e sulla condivisione. Eppure, non conosco di persona altre famiglie in cui siano in vigore regole altrettanto “rigide” delle nostre in tema di orari, tecnologia, televisione, pasti: niente videogiochi (per il momento), niente TV quando si mangia (né cellulare al ristorante), nanna alle 21.30, salvo motivate eccezioni, anche in estate e in pandemia.
 
Sono fissata con gli orecchini, con le collane d’argento, con gli anelli. Ho 6 fori alle orecchie, un piercing fallito e un tatuaggio, cui conto di aggiungerne altri ben presto. Eppure, mi trucco pochissimo, non sono mai stata dall’estetista (salvo una volta a 15 anni, per una fallimentare pulizia del viso) e il mio concetto di “cura dei capelli” consiste nel lavarli, mettere una spuma e lasciarli asciugare all’aria.
 
La mia playlist è un coacervo improbabile di generi e lingue. Adoro i cantautori italiani, ma anche il rock melodico e certo folk di ispirazione irlandese. Eppure, senza vergogna, non disdegno le colonne sonore di alcuni cartoni animati, certi brani latini o delle hit strappalacrime che canto a occhi chiusi e voce piena.
 
Tengo tantissimo al mio lavoro, a vivere una dimensione professionale, a guadagnare, a formarmi di continuo, a relazionarmi con dei colleghi e collaboratori. Eppure mi è capitato di rifiutare opportunità importanti per non essere fagocitata dal lavoro, per non ritrovarmi a passare coi miei figli una manciata di quarti d’ora al giorno, per non dover rinunciare al tempo prezioso che trascorro facendo le cose che, oltre al mio lavoro, mi appassionano.
 
Io e mio marito stiamo assieme da quasi 20 anni. Passiamo tutte le serate in beata solitudine, mentre i nostri figli dormono, guardando serie TV, mangiando sushi, stando assieme. A volte ci ritroviamo in pausa pranzo al ristorante da soli. Eppure, non sentiamo l’esigenza di viaggiare senza Davide e Flavia, o di addormentarci senza di loro, neanche per un breve weekend.
 
Non esiste un modo giusto per essere madri, genitori, donne, persone. Non esistono etichette che possano definirci, catalogarci, ridurre la nostra complessità ad una semplice parola. A un titolo, a una definizione. Siamo, tutti noi, esseri complicati e poliedrici, unici e speciali. Che viviamo la genitorialità con i nostri strumenti e le nostre personalissime attitudini. Che agiamo, sentiamo e sbagliamo in un modo che è esclusivamente nostro.
 
Nessuna di noi ha la verità in tasca. Nessuna di noi è più equilibrata, più libera o più sana delle altre. Siamo tutte madri, tutte donne, tutte a posto. Nessuna con la verità in tasca, nessuna con la formula magica universale a disposizione. Ognuna di noi ha il proprio vissuto, il proprio credo, i propri mostri e i propri superpoteri, e francamente va benissimo così.
 
L’unica cosa che conta, secondo me, è restare fedeli a se stesse. Tutto il resto, scusatemi, ma sono tutte stron**te.
8 Luglio 2020 2 Commenti
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5 cose che devi sapere se hai un figlio piccolissimo (e sei esausta)

by Silvana Santo - Una mamma green 28 Gennaio 2020

Quando hai a che fare con un figlio neonato, o comunque molto piccolo – magari appena inserito al nido, o che cammina a stento – è difficile ragionare in prospettiva. L’esperienza che stai vivendo è così intensa, nel bene e nel male, che sembra destinata a durare in eterno. In un certo senso, sembra quasi che la tua vita sia sempre stata fatta di notti a singhiozzo, pannolini nauseabondi e raffreddori del venerdì sera. E che debba, di conseguenza, restare per sempre così. E invece non è così che va, e quelle cose che ora ti sembrano aver reso la tua vita una prigione, semplicemente passeranno, così come sono iniziate.

Qualche esempio pratico? Eccoti servita:

1. Farai la doccia da sola

Con calma, senza fretta, senza nessun piccolo intruso a reclamare la tua attenzione, a piangere spalmato all’esterno del box doccia. Potrai depilarti con lentezza, ascoltare la musica e aspettare che il balsamo faccia effetto per tutto il tempo che serve.

2. Ricomincerai a dormire

Anzi, verrà presto il giorno in cui avrai di nuovo bisogno di una sveglia e in cui il “problema” sarà quello si alzarti in orario al mattino. E ti dirò: non è neanche scontato che “la qualità del tuo sonno non sarà mai più quella di prima”. Personalmente, da quando i miei figli non sono più piccolissimi ho ricominciato a dormire come un sasso, come se il mio corpo avesse all’improvviso disattivato il radar che si era acceso quando è nato il mio primogenito, e che per anni mi ha consentito di reagire al minimo vagito o richiamo notturno.

3. Tuo figlio smetterà di ammalarsi di continuo

Tuo figlio imparerà a soffiarsi il naso in modo efficace e, soprattutto, il suo sistema immunitario smetterà di andare in crisi nelle imminenze del weekend. Anche se ora non ti sembra possibile, credimi: passeranno mesi e anni senza dover tirare fuori il termometro, l’aerosol e la Tachipirina.

4. Il lettone si svuoterà

Fidati, se te lo dico io che sono stata una campionessa mondiale di quadruplo cosleeping: verrà il giorno in cui per i tuoi figli sarà del tutto ovvio andare a dormire nel proprio letto, e restarci fino al mattino. E, almeno sulla base della mia personale e duplice esperienza, non dovrai affatto aspettare “la loro maggiore età”, come magari ti ha detto qualcuno provandoti a sentire in colpa. Il tuo letto resterà un rifugio agognato dopo gli incubi dell’alba e nelle notti di temporale, e il teatro perfetto per alti, letture e capriole. Ma smetterai presto, e senza sforzi, di condividerlo con tuo figlio (e magari proverai anche una momentanea nostalgia, ma questo è un altro discorso).

5. Sarà tuo figlio ad aiutare te

Succederà, e forse non ci farai nemmeno troppo caso: all’improvviso, in un futuro niente affatto remoto, in un certo senso si invertiranno i vostri ruoli e sarà tuo figlio a darti una mano: darà il suo contributo nelle faccende di casa, ti aiuterà a caricare la spesa in auto, ti ricorderà un appuntamento o una scadenza di lavoro. Risponderà al telefono per te mentre ti lavi i denti. E allora capirai che lui sta crescendo molto in fretta.

Non voglio mentire: quando tuo figlio crescerà, avrai altri problemi con cui fare i conti. E, in un certo senso, essere sua madre non diventerà mai una condizione “normale” (o almeno è così per me, che davvero non sono capace di farci l’abitudine), ma ti assicuro che molte cose che oggi sembrano ingabbiarti e toglierti il respiro passeranno presto, e la tua vita tornerà a somigliare a quella che facevi prima, e che magari a volte sembra mancarti tanto.

Abbi pazienza, abbi fiducia. Tutto passa, anche quello che ora ti sembra destinato a non cambiare mai.

28 Gennaio 2020 6 Commenti
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essere madre

Vi darò quello che sono

by Silvana Santo - Una mamma green 11 Dicembre 2019
Vi darò le mie mani. Per accarezzarvi, per lavarvi, per medicarvi. Per riscaldarvi quando avrete freddo e darvi sollievo quando la febbre vi farà delirare. Le mie mani tese per sostenervi sui declivi più impervi e per rialzarvi dopo le cadute più rovinose. E vi darò le mie mani per costruire, per dipingere, per impastare. Per colorare il mondo e cuocere biscotti e realizzare invenzioni sempre nuove. Vi darò le mie mani, inutile negarlo, anche per strattonarvi e spingervi, assediata dalla fretta, dall’ansia, dalla solitudine. E vi darò le mie mani per allontanarvi nelle ore buie, quando l’amore sembra non essere sufficiente e le radici condivise di certo non bastano più.
 
Vi darò la mia voce. Per leggere, per cantare, per raccontare. Per domandare e rispondere, una, dieci, cento volte in un’ora. Vi darò la mia voce quando vorrete sentirla e, molte volte, anche quando vi risulterà odiosa e insopportabile. Per dirvi che avete ragione e che state sbagliando, per acconsentire e per dirvi di no. Vi darò la mia voce per dirvi la verità e anche qualche pietosa bugia. Per chiedervi perdono. Per confessarvi i miei limiti, per affidarvi i miei sbagli e le mie fragilità. Vi darò la mia voce per dirvi che ci ho provato sempre, anche quando sapevo fin da subito che non avrei potuto che fallire. E vi darò la mia voce, non di rado, per urlare più del necessario. Per rimproverarvi a torto o a ragione, per vomitarvi addosso parole che non meritate e per le quali poi continuerò a punirmi per tutta la vita.
 
Vi darò il mio corpo. Come ho fatto quando crescevate invisibili nelle pieghe in fondo al mio ombelico, come ho fatto quando dal mio corpo stillava il vostro unico alimento, quando vi reggevo per ore e giorni, senza stancarmi del vostro peso inerte sulle mie ossa stanche. Vi darò il mio corpo per nascondervi quando avrete paura, per appoggiarvi quando sarete stanchi, per riscaldarvi e riposare quando avrete freddo e vi sentirete soli. E vi darò il mio corpo per ballare e per correre, per saltare e per nuotare. Per scivolare sulla neve, affondare nella sabbia e riposare sull’erba. Per abbracciarci forte, e pazienza se il mondo, per un attimo, dovrà restare chiuso fuori.
 
Vi darò il mio tempo. Giorni interi e notti ininterrotte. Il tempo sottratto a tutto il resto, sottratto agli altri, sottratto a me stessa. Il tempo trascorso insieme a voi e quello passato ad aspettarvi e a lasciarvi andare. A interrogarmi su quale sia il da farsi, o su quale sarebbe stato. Il tempo trascorso insieme a ridere e a piangere, a rincorrersi e a schivarsi, ad amarsi e a farsi del male. A vivere o a restare immobili e sgomenti nell’attesa di qualcosa.
 
Vi darò troppo, o troppo poco.
 
Vi darò quello che volete e quello di cui pensate di non aver bisogno.
 
Vi darò quello che sono, quello che posso e quello che riesco a inventarmi anche se proprio non ce l’ho.
 
Sperando che basti perlomeno a voi due (visto che a me stessa non basterà mai).
11 Dicembre 2019 0 Commenti
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non sono una madre perfetta
essere madre

Non sono una madre perfetta

by Silvana Santo - Una mamma green 8 Ottobre 2019

Non sono una madre perfetta. Non lo ero quando vi stringevo smarrita al mio seno turgido di latte e di vene azzurre, non lo ero quando tenevo forte le vostre minuscole mani, aggrappate alle mie nell’urgenza traballante dei primi passi, non lo ero quando camminavo attonita nella luce del primo mattino, spingendo il passeggino, tenendovi in fascia, portando su di me il peso delle vostre esistenze in ogni possibile accezione, letterale e metaforica.
Non sono una madre perfetta, e mai lo sono stata, ad eccezione forse di qualche momento in cui la purezza dell’amore e la pienezza della verità ci hanno investito di meraviglia, regalandoci attimi da consacrare all’eternità della memoria. Alla profondità delle radici.

Non sono una madre perfetta. Non lo sono quando mi scopro perplessa perché vi scopro diversi da quello che credo di volere per voi. Non abbastanza forti, non abbastanza liberi, non abbastanza sicuri e felici. Non sono una madre perfetta quando agisco come credo di dover fare, e non come sento che sia giusto fare. Quando non riesco a trovare abbastanza energia per risalire la corrente, una volta e un’altra ancora, e così mi abbandono alla risacca, arresa al veleno lento del conformismo e dell’omologazione. Non sono una madre perfetta quando non sono me stessa. Quando non riesco a dire di no, quando permetto ai sensi di colpa di decidere al posto mio. Quando spingo i miei bisogni in fondo alla fila delle priorità. Non sono una madre perfetta quando vi offro lo spettacolo patetico e l’esempio nefasto di una madre incapace di scegliere in nome del proprio bene, incapace di perseguire la propria felicità.

Non sono una madre perfetta quando proietto su di voi quelle che sono ferite soltanto mie. Quando credo di dovervi proteggere dai miei stessi fantasmi, quando ingaggio per voi una lotta che invece sono io a dover combattere. Soltanto per me stessa.

Non sono una madre perfetta quando perdo la pazienza. Quando strillo, quando minaccio, quando strattono. Quando finisco col farvi paura. Non sono una madre perfetta quando lascio che si esauriscano le estreme risorse di pazienza, di immedesimazione e di ascolto. E allora strillo, minaccio, strattono. E vi faccio paura.

Non sono una madre perfetta quando, per stanchezza o fragilità, concedo cose che vi dovrei negare, e quando, per pregiudizio e chiusura mentale, nego cose che fare bene a concedervi. Non sono una madre perfetta quando dimentico che prima di essere stata madre sono stata figlia, che figlia lo sono ancora e lo resterò per il resto dei miei giorni, anche quando sarò ormai soltanto una madre.

Non sono una madre perfetta, né lo diventerò man mano che vi guarderò crescere dinanzi al mio sguardo. Non lo diventerò quando avremo disseminato il nostro giardino comune di reciproche delusioni, di cicatrici sbiadite, di ferite più o meno inconsapevoli. Quando la vostra fiducia incondizionata di bambini avrà lasciato spazio all’orgoglio e all’autonomia della gioventù. E quando l’insicurezza della mia gioventù si sarà forse arresa – ma speriamo di no – all’arroganza della maturità. Quando il terreno rassicurante delle abitudini condivise avrà ceduto il posto alle sabbie mobili della distanza e dell’assenza.

Non sono una madre perfetta, e mai lo sarò. Sono talmente lontana dalla perfezione da aver pensato centinaia di volte di aver osato troppo, nel diventare madre di figli. Di essermi concessa un lusso che non mi spettava, di essermi arrogata un diritto che non era mio.

Non sono una madre perfetta. Ma sono, se non altro, una madre che non si accontenta di fare meramente “del suo meglio”. Che ogni giorno si impone un esame di coscienza – che a volte è travaglio e tormento – per cercare dentro di sé un essere umano sempre migliore, o perlomeno una versione più accettabile di se stessa. E magari questo non basterà a salvarvi dagli errori che riceverete in eredità da vostra madre, ma è ragionevole che salvi vostra madre, un giorno, dal morso del rimpianto (che pure lei conosce così bene).

Non sono una madre perfetta. Ma nemmeno voi, in fondo, siete figli perfetti. Eppure questo non mi impedisce di amarvi con la forza della testa, della pancia, delle mani e del cuore. Speriamo che sia vero anche il contrario, e che possiate amare questa madre che combatte da una vita contro la sua perfetta imperfezione.

8 Ottobre 2019 2 Commenti
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avere figli aumenta l'autostima
essere madre

5 motivi per cui avere figli ha fatto impennare la mia autostima

by Silvana Santo - Una mamma green 3 Ottobre 2019

Lo avrete capito, dopo sei anni di blog e diverse centinaia di post: non sono mai stata una campionessa di autostima, e, visto il carattere che mi ritrovo, l’esperienza della maternità è stata spesso occasione di ulteriori dubbi, insicurezze e sensi di colpa. È altrettanto vero, però, che avere figli ha fatto impennare la mia autostima, almeno da certi punti di vista. Che sono ben lieta di condividere con voi!

1. Mi scambiano tutti per un’adolescente

Se già prima non ero avvezza a “mettermi in tiro”, e non ero certo un’appassionata di trucco e parrucco, da quando sono nati i bambini vado in giro quasi sempre in jeans, abiti da fricchettona o tenuta da Potterhead un po’ emo. La gamma delle mie calzature comprende solo sneakers, Birkenstock e stivali flat, e i miei capelli vengono sistematicamente acconciati con frontini, fasce colorate o code di cavallo. Va da sé che la gente tenda a scambiarmi per una teenager, con grandi benefici per la mia traballante autostima.

2. Leggo più e meglio di prima

Perché ai miei tanto amati romanzi (meglio se americani) si sono aggiunte centinaia di letture di ogni tipo condivise con Davide e Flavia. Non solo i classici, che è stato bellissimo riscoprire, ma una quantità di testi di autori contemporanei di straordinaria qualità, che ancora non conoscevo e che non avrei mai avuto occasione di leggere se non fossero nati i miei figli. Da Roald Dahl a Julia Donaldson, da Bruno Tognolini a Nicoletta Costa, il panorama delle mie letture si è arricchito immensamente da quando sono madre.

3. Sono diventata il mito del vicinato

Davide e Flavia sono tra i bambini più piccoli del vicinato. Io, di conseguenza, per quanto non sia certo di primo pelo, sono tra le mamme più giovani in circolazione. Al di là dell’anagrafe, sospetto inoltre di essere una di quei pochi adulti che, per citare nonno Saint-Exupéry, ricordano di essere stati bambini. Fatto sta che ogni volta che posso mi ritrovo in giardino a: tracciare schemi di “campana” coi gessetti; preparare miscele improbabili per le bolle di sapone; somministrare pasti alla colonia di gatti randagi; dirigere il traffico di biciclette e monopattini; raccogliere fiori e soffioni. Il tutto con uno stuolo di bambini al seguito, per i quali naturalmente sono una specie di essere mitologico mezzo mamma e mezzo Peter Pan.

4. Mio figlio di 7 anni conosce le canzoni degli Imagine Dragons

E le balla senza ritegno, con uno stile che nei primi anni Novanta avrebbe fatto semplicemente faville.

5. Ho il congelatore pieno di sughi fatti in casa

Io. Proprio io. Me stessa. Quella che negli anni di vita da fuori sede andava avanti col riso cantonese da asporto, le penne all’olio (giusto perché la pasta al tonno e le uova sode mi hanno traumatizzato da bambina, e ora davvero faccio fatica a mandarle giù) e la pietà delle coinquiline. Adesso ho un congelatore straripante di vaschette per il ghiaccio piene di sughi al pomodoro, alle zucchine, al basilico e alla ricotta. Una specie di miracolo della gastronomia, alimentato dalla consapevolezza di quanto costi sfamare una famiglia di quattro persone e da una discreta propensione al senso del dovere (eredità materna, suppongo). Un bel doping per la mia autostima. Peccato solo che ora la sopravvivenza di tutti noi dipenda in tutto e per tutto dal funzionamento del nostro congelatore. Che Elsa e Siberius veglino sulla mia casa per sempre.

3 Ottobre 2019 3 Commenti
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Sono Peppiniello, non sono una mamma

by Silvana Santo - Una mamma green 4 Luglio 2019

Non può succedere solo a casa mia. Ditemi che non è così.

Prima i miei figli erano talmente piccoli da essere scarsissimamente autonomi. Il che era per certi versi una gran rottura, ma mi permetteva, stanchezza a parte, di fare quello che andava fatto per loro coi miei criteri e coi miei ritmi. Più o meno, diciamo. Ora che Davide e Flavia sono più grandi e hanno rapidamente acquisito importanti margini di autonomia (sul piano pratico, perlomeno), non devo più cambiare pannolini, lavare manine, riempire cucchiai, pulire bocche, mettere abiti, scarpine e soprattutto allacciare quei dannatissimi body. Fantastico, direte. Già. Peccato però che, essendo le attività quotidiane dei miei figli divenute appannaggio esclusivo o quasi dei diretti interessati, io ora passi il tempo a incoraggiare, catalizzare, scuotere, risvegliare dall’oblio. A fracassare le scatole a loro e a me, in buona sostanza.

Sono diventata un caspio di motivatore per bambini con tempi di reazione da bradipo avvinazzato. Il principe azzurro che risveglia la bella imbambolata, la Jill Cooper dei compiti a casa, la profetessa dell’Imperativo presente. L’enzima antropomorfo della masticazione (e deglutizione/vestizione/lavaggio/evacuazione). Un Peppiniello di Capua senza megafono né tutina di neoprene. E senza i bicipiti dei fratelli Abbagnale.

In pratica, passo metà delle mie giornate a pronunciare il nome di uno a caso dei miei figli – spesso quello sbagliato – seguito dal modo Imperativo, tempo Presente, seconda persona singolare (o plurale, all’occorrenza) dell’azione che loro stanno svolgendo con lentezza esasperante. O stanno del tutto trascurando di svolgere, nonostante l’impietoso scorrere del tempo.

“Davide, finisci i compiti”. “Flavia, fai la pipì”. “Davide, rimetti a posto i giocattoli”. “Flavia, smetti di andare in giro a piedi nudi”. “Flavide, vai a lavarti i denti”. “Davia, mangia quello che hai nel piatto!”. “Davide, Flavia, infilatevi il pigiama!”.

La mia principale mansione materna sembra essere diventata quella di scuotere i miei figli dalle conversazioni silenziose che intrattengono col proprio mondo interiore, nel tentativo di ricordare loro che devono fare una serie di cose imprescindibili, in tempi compatibili con la sopravvivenza umana. Avrei dovuto chiamarli Ugo e Ida, come suggeriva il buon Troisi. Forse sarebbero stati più solleciti, o almeno mi sarei risparmiata un po’ di fiato.

Poche cose, finora, mi hanno dato altrettanta consapevolezza del tempo che è passato da quando ero “solo” una figlia. E della diversa prospettiva dalla quale adesso mi trovo a vivere la mia quotidianità. Sono diventata, senza davvero rendermi conto che stava accadendo, quella che ripete istruzioni dalla mattina alla sera, sperando che qualcuno abbia la decenza di starla a sentire. O di fingere, perlomeno. Ditemi che non è successo solo a me, per favore. Mentite pure, nel caso, ma voi ditemelo.

Secondo me l’Imperativo Presente lo ha inventato una madre.

4 Luglio 2019 10 Commenti
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6 cose (ciniche) che vorrei dire alle mamme in estate

by Silvana Santo - Una mamma green 25 Giugno 2019

1. Essere promossi in quarta elementare è una gran bella cosa, sul serio. E se un bambino conclude l’anno con un giudizio positivo e voti alti fa un gran piacere. Ma decisamente non è niente di così eccezionale da autorizzare un genitore a vantarsi su Facebook. È il caso di spammare la pagella sui social solo se vostro figlio si chiama Sheldon Cooper e a 11 anni sta per cominciare il suo primo anno al college.

2. Anche io mi emoziono tutte le volte alle recite scolastiche dei miei figli. Piango, finanche. E giuro che mi commuovo per tutti i “diplomati della materna”, anche quando non sono figli miei (soprattutto se fanno partire “A modo tuo” di Elisa). Capisco, dunque, l’emozione che vi assedia dinanzi a vostra figlia che esegue – naturalmente in maniera impeccabile – il suo primo “Lago dei Cigni”col tutù di tulle rosa confetto. Ma mi permetto di darvi un consiglio: se decidete di condividere il vostro orgoglio con il mondo, scegliete perlomeno una didascalia originale. “La mia piccola ballerina” è un tantino inflazionato. Sì, anche se ci aggiungete un cuoricino rosso alla fine o l’emoji della danzatrice classica in equilibrio su una gamba sola.

3. La diretta Facebook delle vostre vacanze in Calabria, solo se provvedete a inviare una fornitura annuale di ‘nduja a tutti i vostri contatti.

4. Le seguenti conquiste della prole, che per voi rappresentano una legittima ragione di lacrima facile, orgoglio incontenibile e pelvica soddisfazione, generano mera indifferenza nel prossimo, anche se vi vuole molto bene: nuotare senza braccioli, andare in bici senza rotelline, recitare in “Pierino e il lupo”, fare le capriole sott’acqua, finire il libro dei compiti delle vacanze, vincere la medaglia di pattinaggio, ottenere una cintura di qualsiasi colore in qualsiasi arte marziale esistente, aggiudicarsi il torneo di ping pong del campo estivo dell’oratorio, prendere una qualsivoglia certificazione di inglese.

5. Lasciate che sia vostro figlio, eventualmente, a dedicare una storia Instagram al proprio tema della Maturità.

6. I selfie sulla spiaggia con commenti di aperto affronto ad amici e parenti rimasti a casa a lavorare sono vietati dalla Convenzione di Ginevra (e punibili con il medesimo trattamento, in dose raddoppiata, da parte di quegli stessi amici, che, prima o poi, andranno a loro volta in ferie mentre voi sarete mestamente rientrati dietro la scrivania).

25 Giugno 2019 3 Commenti
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Mi chiamo Silvana Santo e sono una giornalista, blogger e autrice, oltre che la mamma di Davide e Flavia.

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