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coliche

rimedi naturali

Coliche del neonato: rimedi naturali e altre amenità – parte seconda

by Silvana Santo - Una mamma green 8 Ottobre 2013

Storia di un bambino con le coliche e dei tre mesi più lunghi della mia vita

Leggi la prima parte del post

Al di là di cosa mangia il piccolo urlatore, comunque, pare che sia importante anche il “come” si alimenta: se il neonato è particolarmente “avido” durante la poppata – e manco a dirlo, è sempre stato il caso di BigD – è più facile che ingerisca molta aria. In questi casi, allora, si può tentare di metterlo al seno prima che sia troppo affamato, oppure interrompere ogni tanto la poppata per fargli fare il ruttino. Sempre che lui lo permetta, ovviamente. Se si usa il biberon, invece, si dovrebbe correggere la posizione del bimbo e l’inclinazione della bottiglia, sempre per scongiurare l’ingestione delle famigerate bolle d’aria. Per quanto riguarda i veri e propri rimedi naturali, sono un po’ controverse le tisane al finocchio, a lungo considerate un toccasana per i problemi digestivi dei poppanti ma più di recente finite sotto accusa per la presenza di estragolo, una sostanza contenuta appunto nei semi e di conseguenza nell’infuso di finocchio e riconosciuta da anni come cancerogena e genotossica. In realtà, vista la concentrazione di estragolo nelle tisane e le quantità che normalmente può assumerne un neonato, il rischio di intossicarsi rimane trascurabile, soprattutto se l’uso è limitato nel tempo mentre è invece possibile – ed è questo, forse, il vero aspetto da tenere in considerazione – che l’assunzione di liquidi diversi dal latte possa interferire con l’allattamento al seno. Un discorso che vale anche per altri infusi consigliati in caso di coliche gassose, come quelli di anice o camomilla, e che per questa ragione dovrebbero essere somministrati con estrema parsimonia, e comunque sempre dietro consiglio medico.

Molte madri giurano che il sistema migliore per alleviare i fastidi delle coliche è rappresentato dai massaggi, da effettuare, meglio se con l’ausilio di oli specifici a base di camomilla, maggiorana e altre erbe officinali, in senso circolare sul pancino del bebè, tracciando una specie di C intorno all’ombelico e cercando si seguire il profilo del colon. Per favorire l’espulsione dei gas intestinali si può anche far sdraiare il bambino sulla schiena e portargli delicatamente le ginocchia al petto, oppure muovergli le gambe in modo da simulare una “pedalata”. Molti, semplicemente, consigliano di tenere il piccolo a pancia in giù, magari sul petto della madre o del padre, per rassicurarlo e calmare i dolori. Con BigD abbiamo provato tutto tranne il massaggio tantrico e lo shiatsu, ma – devo ancora dirvelo? – senza troppi esiti. Funzionava un po’ di più, in effetti, spalmarmelo sul petto e accarezzarlo di continuo. Molte notti le abbiamo passate così, davanti alle repliche di improbabili trasmissioni di Real Time (quando il rimedio è peggio del male). A proposito, lo sapevate che c’è gente che mangia divani e pelo di gatto e non fa neanche una scoreggia? E poi mio figlio deve soffrire di coliche?! Comunque.

Direi che in generale il contatto prolungato con vostro figlio rappresenta la cura più efficace che possiate somministrargli (Davide si calmava un po’ ciucciando il mio mignolo, per esempio). Coccole, carezze, paroline sussurrate e, naturalmente, il seno. Anche piangere insieme a lui può servire, perché no. Infine, lunghe camminate, nel passeggino o meglio ancora in fascia, sono un altro sistema efficace per favorire l’espulsione del malefico gas e per aiutare il bambino a distrarsi e, se siete fortunati, prendere sonno. Forse l’unico mezzo, a parte la tecnica divano-koala-realtime, che ci ha permesso di far passare quei giorni sempre uguali, che sembravano destinati a non finire mai. Sembravano, appunto. Perché la buona notizia (ve l’avevo promessa!) è che prima o poi, come sono arrivate, queste crisi maledette vi lasceranno, restituendovi un bambino sorridente, rilassato e, forse forse, silenzioso. E se i soliti bene informati vi dicono di aspettare che il piccolo di scimmia urlatrice che avete generato compia tre mesi, voi credeteci! Neanche Paolo Brosio dopo l’ennesimo pellegrinaggio a Medjugorje sarebbe in grado di spiegare la ragione di questa guarigione improvvisa, ma l’importante è sapere che è solo questione di tempo. E, cosa ancora più importante, sappiate che di norma si tratta di un disturbo del tutto benigno, senza implicazioni sulla salute generale del piccolo malcapitato, che in capo a qualche mese se ne dimenticherà completamente.

Voi, invece, non ve ne scorderete mai, ma anche questo fa parte del gioco, no?

8 Ottobre 2013 4 Commenti
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rimedi naturali

Coliche del neonato: rimedi naturali e altre amenità – parte prima

by Silvana Santo - Una mamma green 7 Ottobre 2013

Storia di un bambino con le coliche e dei tre mesi più lunghi della mia vita

Immaginate una sirena assordante che ulula senza sosta giorno e notte. Uaaaaaaaaaa. Uaaaaaa. Per settimane. Dentro casa vostra. Uaaaaaa. Uaaaaaaaaaaaaaaa. Immaginate che tutti si aspettino che siate voi a zittire quel suono incessante, ma che in realtà non possiate fare assolutamente nulla per metterlo a tacere. Uaaaaaaaaaaaaaaa. Uaaaaaaaa. Immaginate che quella sirena sia in realtà un disperato grido di dolore proveniente da vostro figlio appena nato, che provochi conati di vomito, raucedine, sudori freddi e un’ernia ombelicale grande quanto un ovetto di cioccolata. Uaaaaaaaaaa. E che voi siate una puerpera di fresco cesarizzata (o episiotomizzata, cambia poco), con i seni dolenti e gli ormoni fuori controllo, e che ogni volta che vostro figlio piange l’ossitocina che avete in corpo vi faccia contrarre dolorosamente l’utero e le mammelle, inondando la vostra biancheria intima di umori imbarazzanti di varia natura. Immaginate che il vostro cervello, già a corto di sonno e di zuccheri da ossidare, finisca col sentire quel pianto insopportabile anche quando gli dei dell’Olimpo concedono a vostro figlio – e a voi – un’ora di requie. Immaginate. Fatto? Bene.

Ora immaginate una situazione dieci volte più angosciante di quella che avete appena immaginato: inizierete a capire vagamente cosa significhi avere a che fare con un bambino affetto dal disturbo che qualche buontempone evidentemente senza figli ha classificato come “colichette gassose del neonato”. Nessuno si sognerebbe di dire «Ho le emorroidine a grappoletti», o di raccontare che sua zia soffre di «fuocherello di Sant’Antonino», allora non vedo perché una roba così straziante vada chiamata “colichette”. E poi, a parte il Napalm e il Zyklon B, dubito che un gas possa realmente provocare tanta sofferenza. Neanche Al Gore quando pensa all’anidride carbonica si sente afflitto in modo così irrimediabile. Per dirla tutta, io non sono neanche convinta che lo psicodramma che abbiamo vissuto nei primi tre mesi di vita di BigD sia legato davvero a un qualche feroce mal di pancia. Secondo me i pianti e la disperazione c’entrano maggiormente con la fatica di adattarsi a una vita extrauterina cui si arriva sempre impreparati, oltre che alla tremenda ingiustizia della difficoltà di comunicazione che si instaura quasi inevitabilmente tra una donna e il bambino che fino a poco fa abitava nel suo ventre.

Ma tant’è. Le chiameremo coliche gassose perché così la maggioranza dei pediatri le definisce, pur ammettendo che le cause del “fenomeno” restano sostanzialmente sconosciute. Come fare a capire se siete tra i fortunati che dovranno affrontare il problema? Di solito iniziate a sospettarlo perché il vostro fagottino, che – a parte lo sguardo vacuo, la peluria sulle orecchie e una vaga somiglianza con la prozia Mariuccia – sembrava normale fino al giorno prima, a qualche settimana dalla nascita inizia a dilettarvi con crisi improvvise di pianto, forte e prolungato, che possono durare anche diverse ore. Oltre a urlare a più non posso, in genere la povera creatura stringe i pugni, porta le gambe al petto, serra gli occhi e spinge la punta della lingua verso l’alto, come una lucertola cui un ragazzino sadico sta staccando la coda. Mio figlio, come ho anticipato, si ricopriva di sudore ghiacciato, tentava di cavarsi gli occhi con le unghie che non sapevo ancora tagliargli (non che ora sia esperta in manicure neonatale, eh…) e attraversava vere e proprie crisi di apnea. In teoria, gli attacchi sono più frequenti nelle ore serali, ma – esperienza personale – possono presentarsi in qualunque momento della giornata, senza alcun preavviso.

La cattiva notizia (perché ce ne sono anche di buone, ma ve le dico alla fine) è che una cura vera e propria non esiste. Anzi, nel caso di BigD i farmaci si sono rivelati del tutto inefficaci, nonostante si trattasse di sostanze che sulla carta avrebbero potuto stroncare un toro (gocce a base di bromuro, per dire). Esiste però una certa “letteratura” di rimedi naturali per le coliche del neonato. Che magari sugli altri bambini possono sortire qualche effetto degno di questo nome. Per prima cosa, si può tentare di intervenire sull’alimentazione del bambino. Ai bambini nutriti col latte artificiale si possono somministrare dei tipi di latte formulati appositamente per ridurre la formazione di gas intestinali. Sull’efficacia di questi latti speciali ne so davvero poco, perché BigD è sempre stato allattato esclusivamente al seno. Ragione per cui ho eliminato dalla mia dieta un numero sempre maggiore di alimenti, dai latticini ai legumi, dal cioccolato alle verdure a foglia larga. Davide ha continuato a disperarsi (perché in realtà non ci sono evidenze scientifiche del legame tra dieta materna e mal di pancia del bebè), ma almeno io ho perso i chili della gravidanza.

Continua qui.

7 Ottobre 2013 4 Commenti
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allattamentoessere madregravidanza e parto

La verità, vi prego, sul diventare mamma

by Silvana Santo - Una mamma green 16 Maggio 2013

Questo post richiede un paio premesse, un po’ come i film zozzi che devono essere contrassegnati dal bollino rosso o le pubblicità dei Sofficini in cui una piccola scritta ci avverte che il sorriso di formaggio che si forma affondando la forchetta è frutto si una spudorata simulazione al computer (avvertimento che tra l’altro non mi ha mai impedito di tentare inutilmente di riprodurre il suddetto sorriso, ma questa è un’altra storia…). Prima precisazione: quanto leggerete si basa esclusivamente sulla mia esperienza, in quanto tale limitata e priva di qualunque rappresentatività statistica. Secondo: sono perfettamente consapevole che il fatto di avere avuto un figlio sano sia una benedizione straordinaria (o una fortuna sfacciata, scegliete voi la formula che preferite). Convivere quotidianamente con la disabilità, la malattia, l’invalidità è semplicemente eroico – io, evidentemente, non avrei questa forza. Terzo e ultimo: non sono depressa e amo con tutto il cuore mio figlio. È solo che mi sta a cuore raccontare alcune cose sulle quali di solito le madri, neofite e navigate, nicchiano. Forse perché il mondo le farebbe sentire inadeguate se solo osassero ammettere la verità.

Latte, amore e frustrazione
Dopo la sua nascita, avvenuta l’8 febbraio scorso dopo un inutile travaglio durato tutta una notte (inutile perché alla fine me l’hanno strappato dalle viscere con un cesareo), mio figlio ha pianto senza posa per tre mesi. Ovvio, direte: è un neonato, cosa vuoi che faccia? Solo che lui piangeva di dolore, per ore e ore, senza poter essere consolato in alcun modo legale o raccomandabile per un bambino di poche settimane. Urlava come un disperato, andando in apnea, diventando cianotico e sudando freddo. Si dimenava, scalciando come un cavallo in calore e serrando i pugni con tutta la forza che un duemesenne può avere. Si graffiava il viso a sangue. Spargeva lacrimoni, sbarrando gli occhi e guardandoti come se stesse bruciando vivo e tu ti limitassi a contemplarlo con aria annoiata. Nelle giornate buone, che grazie a Dio sono progressivamente aumentate di numero col passare dei mesi, questo horror show andava avanti al massimo per un’ora, ma le crisi peggiori sono durate anche mezza giornata, spesso sotto lo sguardo inquisitore di parenti e conoscenti in visita. Roba da far saltare i nervi anche a Madre Teresa di Calcutta.
Il motivo di tanta sonora sofferenza? Quelle che un buontempone sconosciuto ha battezzato “colichette gassose del neonato” (-ette ‘sti cavoli!). In altre parole: dell’aria nella pancia ha messo a dura prova il mio sistema nervoso (e l’udito già labile di mio marito) per settimane. Un disturbo benigno, per carità. Niente che il bambino non dimentichi nel momento stesso in cui termina lo spasmo. Ma, lasciatevelo dire, un autentico strazio. Vedere il tuo minuscolo figlio che si contorce dal dolore senza poterlo aiutare efficacemente, arrivare a sentirlo piangere “nella tua testa” anche quando dorme beato, doverti sorbire i consigli geniali di tutto il vicinato e gestire le domande ansiogene di amici e parenti non è esattamente il modo migliore per recuperare dal parto. L’unica cosa che posso dire a chi si trova ancora alle prese con l’inferno dei mal di pancia (e lo dico piano piano, perché non si sa mai): prima o poi passa, o per lo meno inizia ad andare ogni giorno un po’ meglio…

L’allattamento al seno è una gran cosa. Ma è anche una fatica altrettanto grande.
Ho la fortuna di avere molto latte. Talmente tanto che la Lola mi ha proposto di tenere a balia il suo ultimo vitello e che sono in trattativa con la Sperlari per aprire uno stabilimento delle Galatine nella mia camera da letto. Che gran c**o, penserà qualcuno, e in effetti è la verità. Molti soldi risparmiati, pappa sempre pronta e facile da servire, nutrienti perfettamente bilanciati per il manz… ehm, per il pupo, un legame affettivo con lui che si consolida ad ogni poppata. Ma anche la responsabilità di essere  a disposizione del bimbo accaventiquattro, come si dice adesso. Giorno e notte, sette giorni su sette, per mesi interi. Difficile “evadere” anche solo per un paio d’ore, visto che il richiamo della tetta può scatenarsi, senza preavviso, in qualsiasi momento. E poi: rinunce alimentari, tensione mammaria, crampi uterini, niente farmaci se hai la sfortuna di ammalarti. Insomma, non proprio una passeggiata. Mentre scrivo, mio figlio sfiora gli 8 kg di peso, che per un bimbo di poco più di tre mesi è quasi un record, e io ho intenzione di proseguire con l’allattamento esclusivo fino a quando lui starà bene e io ne avrò le energie (almeno fino ai sei mesi raccomandati dall’Organizzazione mondiale della sanità), però non giudicherei mai una mamma che dovesse scegliere di astenersi e ripiegare sul biberon. Non sentitevi una caccola se siete tra queste, anche se la prima domanda che le madri benpensanti vi fanno, di solito, è: «Gli dai il tuo latte?».

Il lavoro? Parliamo d’altro
Se avete avviato una brillante carriera lavorativa prima di restare incinte, se avete intenzione di farlo e vivete in Italia, aspettatevi di avere qualche difficoltà, per usare un eufemismo spinto. Per la maggioranza dei datori di lavoro nostrani, anche molti di quelli “progressisti” e “illuminati”, la collaboratrice-madre è il male supremo. Il nemico da annientare a suon di sensi di colpa e ricatti morali (anche materiali, perché no: mai porre limiti alla fantasia dei boss italiani). Dunque: consideratevi fortunate se siete tra quelle che hanno mantenuto il posto di lavoro anche dopo la Cicogna. Se poi avete goduto anche di diritti come la maternità e i permessi per l’allattamento, non lesinate in lacrime di commozione e novene di ringraziamento ad almeno una divinità a vostra scelta.

Una donna per amica
Rassegnatevi. Se si dice “senso di fratellanza” e non “di sorellanza”, un motivo ci sarà. La solidarietà non è roba per donne. Se avrete fortuna come la sottoscritta, troverete al vostro fianco qualche amica, cugina (o sorella) o addirittura madri e zie capaci davvero di non giudicarvi, e di sostenervi in modo sincero e costruttivo. Ma, per il resto, le donne che vi circondano cercheranno in tutti i modi, più o meno consapevolmente, di rallentare il più possibile la vostra ripresa e di spingervi a grandi falcate incontro alla più feroce delle depressioni post partum. Oltre a seppellirvi sotto una coltre pesantissima di consigli non richiesti, le già-madri riusciranno a sfoderare i peggiori sguardi di sufficienza e a criticare, di solito in modo subdolo, finanche il colore dei calzini che avrete scelto per vostro figlio. Le non-ancora-madri, dal canto loro, si abitueranno a guardarvi con un misto di commiserazione e disgusto, sottolineando con luciferina nonchalance i chili di troppo che vi sono rimasti sui fianchi o le rinunce alle quali, inevitabilmente, sarete costrette ora che è nato il bambino (Ma «Ifiglisonolagioiapiùgrande», come no…).

I figli so’ piezze ‘e core
Poi, naturalmente, c’è l’invidiabile routine delle neomamme: veglie notturne, rigurgiti nauseabondi, carillon deprimenti, visite sgradite, poco sesso e zero tempo per sé (roba che anche fare la pipì può diventare un lusso). E inoltre, chili di cacca liquida, e su questo aprirei un piccolo inciso: ripulire il proprio figlio neonato dalle sue deiezioni è una cosa che, in fondo, una madre media fa senza troppo sacrificio. Ma da qui a dire che “lacaccadeibambininonfaschifo”, perdonatemi, ce ne passa. La storia della “cacchina santa”, per me, è emblematica dell’ipocrisia che ancora alligna intorno alla questione della maternità. Che sarà anche la cosa più istintiva del mondo, ma, sarebbe ora di ammetterlo senza falsi pudori, rappresenta un’impresa molto faticosa, talvolta alienante, oltre che una limitazione permanente della propria libertà. Vivere ogni giorno della propria vita sapendo che si è scelto di mettere al mondo un essere umano: riuscite a pensare a una responsabilità più grande, a una sfida più impegnativa? Che poi ne valga la pena, questo è un altro discorso.

16 Maggio 2013 5 Commenti
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Mi chiamo Silvana Santo e sono una giornalista, blogger e autrice, oltre che la mamma di Davide e Flavia.

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