I neonati sono davvero più “faticosi”?

by Silvana Santo - Una mamma green

Ho avuto due bambini in 21 mesi. Li ho allattati entrambi al seno, esclusivamente, per molto tempo. Ed entrambi hanno dormito sempre poco, sia di giorno che di notte (non ho riposato per almeno cinque ore consecutive per circa quattro anni e mezzo). Ricordo bene la fatica estenuante che accompagna i primi mesi e anni di vita di un bambino. Le notti insonni, la schiena a pezzi quando tuo figlio impara a camminare, la fase in cui lui sembra non volere fare altro che salire e scendere le scale, entrare e uscire da una stanza, e via dicendo. Non ho dimenticato le ore di pianto inconsolabile, le poppate a oltranza, le pappine e soprattutto le migliaia di pannolini cambiati (e lavati, nel mio caso), di body infilati e sfilati, di bagnetti e di ruttini. Il passeggino trascinato su per le scale, aperto e richiuso con una mano sola, strizzato in qualche modo nel portabagagli. Non ho dimenticato le vaccinazioni relativamente frequenti e i bilanci dal pediatra. Un neonato è una esperienza faticosa come poche altre cose nella vita.

Eppure mi viene da sorridere, ogni volta che qualche conoscente mi dice “Beh, dai, adesso sono grandi, ora ti puoi riposare”.

Sul piano pratico, è innegabile che ora dormiamo la notte (salvo imprevisti), che Davide sia del tutto autonomo nel vestirsi, nel mangiare, nel lavarsi, e che sua sorella sia prossima allo stesso traguardo. Che Davide dia quasi sempre una mano a rigovernare la cameretta e non solo, a rimettere in ordine i giocattoli, e che sua sorella sia prossim… no, questo no. Ad ogni modo, da questo punto di vista il “lavoro quotidiano” è di certo diminuito.

Però sono tantissime le nuove incombenze subentrate a quelle precedenti, e sono spesso più “vincolanti” delle vecchie, perché legate a orari o a luoghi precisi. C’è il pranzo quotidiano di Davide, che ora va in prima elementare (e no, qui da noi non c’è il tempo pieno). C’è la sua logopedia (frequenza bisettimanale ed esercizi quotidiani). C’è la vita sociale di entrambi (sette-inviti-sette ad altrettante feste di compleanno solo dall’inizio di settembre a oggi, non so se mi spiego) e ci sono i rapporti con le rispettive scuole: riunioni, acquisti, libri e materiali da procurare. Ci sono naturalmente le esperienze del tempo libero, nonché il gioco a casa. Che, per quanto trovi sacrosanto che i bambini imparino a intrattenersi in autonomia, mi sembra che giusto condividere almeno in parte con loro, perlomeno finché sono piccoli.

Non ci sono ancora, ma subentreranno presto, i compiti a casa e le attività sportive pomeridiane, che abbiamo volutamente scelto di tenere ancora in stand-by almeno per qualche mese. A questo si aggiungono, naturalmente, le cose che si fanno per neonati svezzati, ma allo stesso modo per bambini più grandi: cene, colazioni, lavatrici, acquisti, visite mediche e via discorrendo. Incombenze che, nelle famiglie organizzate come la mia, con un genitore impiegato fuori casa a tempo pieno e l’altro – la sottoscritta – che lavora a partita Iva e a mezzo tempo, finiscono in modo inesorabile (ma oserei dire anche comprensibile) col gravare in modo maggiore sul genitore che lavora “di meno”. Finisci, di fatto, col mettere a disposizione dei tuoi figli la gran parte del tuo tempo e della tua vita. Cosa che ovviamente facevi anche finché erano neonati, con la non trascurabile differenza che un bambini di pochi mesi sei tu a decidere se e dove portarlo, a che ora e in quali circostanze.

A tutto questo si aggiunge il non trascurabile carico dell’impegno per così dire educativo, che se con un neonato è del tutto marginale, quando i figli crescono diventa fondamentale e pressante. E non mi riferisco solo al già difficile compito di trasmettere regole, divieti e norme di comportamento. Alla gestione dei capricci, dei litigi, delle paure, delle gelosie e delle crisi di scoramemento o sfiducia. Ma anche e soprattutto alla responsabilità di dare stimoli intellettivi, di aiutare i bambini a sviluppare intelligenza emotiva, sensibilità, empatia e fiducia in se stessi. Di accompagnarli nel cammino quotidiano della crescita.

Considerato tutto questo, forse non c’è da stupirsi se, personalmente, mi senta molto più “in prima linea” adesso rispetto a quando Davide e Flavia erano appena nati. Questo non vuol dire che le neomamme e i neopapà vadano scoraggiati e avviliti con mantra tipo “figli piccoli, problemi piccoli”, ma è importante che un neogenitore sia consapevole che negli anni cambierà solo la natura dell’impegno, ma non certo la sua intensità. Chiedetelo a certi genitori di figli adulti che sono ancora impegnati ogni giorno per aiutare i loro ex bambini, che abbiano o meno a loro volta dei figli.

Non esiste una gerarchia della fatica, né un momento in cui ci si possa sentire in qualche modo “liberati” dalla stanchezza e dall’abnegazione. Un figlio è per sempre, mettiamocelo bene in testa.

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