Genitori migliori degli altri

by Silvana Santo - Una mamma green

Ho visto bambini cresciuti “ad alto contatto” – portati in fascia, tenuti a dormire nel lettone, coccolati e consolati ogni volta che piangevano – diventare presto autonomi, socievoli e sicuri di sé. Ne ho visti altri, cresciuti esattamente allo stesso modo, mostrare un’indole timida, diffidente, insicura. Avere a lungo un bisogno disperato dei propri genitori, o di uno di essi. Ho visto bambini lasciati piangere nel lettino finché non si addormentavano, tenuti nel passeggino contro la loro volontà, abituati fin da neonati a stare “soli”, che a tre anni sono indipendenti, affettuosi e risolti. E altrettanti che crescendo hanno mostrato una quantità di insicurezze e fragilità.

Ho visto bambini allattati al seno ammalarsi puntualmente ogni fine settimana per interi anni scolastici. E ne ho visti altri, a cominciare da me stessa, che non hanno mai succhiato un capezzolo ma hanno attraversato l’infanzia praticamente incolumi. Ho visto bambini, come i miei figli, crescere a latte materno e godere (concedetemi tutti gli scongiuri del caso) di una resistenza invidiabile alle malattie. E bimbi allevati con il biberon afflitti da una salute particolarmente cagionevole.

Ho visto bambini piccoli passare senza problemi dagli omogeneizzati industriali a una dieta varia ed equilibrata. Altri, invece, rivelare una diffidenza enorme nei confronti dei sapori e delle consistenze nuove. Ho visto bambini, come mia figlia, crescere “autosvezzati” e poi attraversare lunghi periodi di rifiuto per il cibo decente. Bambini svezzati a carote e riso biologico sviluppare una predilezione smodata per la crema alle nocciole, e altri pasciuti a Mc Donald’s assaggiare con entusiasmo gli asparagi di montagna.

Ho visto bambini affidati ai nonne e alle tate fin da quando erano ancora lattanti, piangere fino alle soglie dell’adolescenza a ogni separazione dai genitori, e ne ho visti altri cresciuti da mamme “a tempo pieno”, riuscire ad affontare i distacchi con la massima calma. E viceversa, naturalmente. Ho visto bambini maneschi cresciuti da genitori violenti e altri che invece erano nati in seno a coppie che non li sfiorerebbero mai con un dito.

Perché i figli sono quello che sono, per quanto noi genitori possiamo contribuire a determinare, o a cambiare, la loro natura. Perché ci sono caratteristiche innate che si ereditano geneticamente e che magari ci accompagnano per tutta la vita. Altre che si acquisiscono a causa dell’ambiente in cui si cresce, che non è fatto solo di una mamma e di un papà (o di due mamme o di due papà, ci siamo intesi).

Questo non deve illuderci che le nostre responsabilità di madri e padri siano trascurabili, mi pare ovvio. So bene quanto pesino le scelte dei genitori sul destino dei figli. Quanto la loro condotta, più o meno consapevole e più o meno voluta, ne possa condizionare lo sviluppo della personalità. E lo so, banalmente, perché sono una figlia e una nipote. Perché il padre dei miei figli è a sua volta un figlio, perché lo sono tutte le persone che conosco, quelle che amo e quelle che detesto. E ciascuno di noi paga un prezzo più o meno alto per l’operato dei propri genitori, e ne riceve una dote più o meno preziosa da spendere sulle strade del mondo. Lo so bene.

Ma sono anche sicura che a volte attribuiamo un valore esagerato a determinate scelte, e questo ci fa sentire autorizzati a sentirci genitori migliori di altri, più informati, più competenti, più attenti. Il nostro ruolo è cruciale: tanto di quello che oggi indoviniamo e sbagliamo finirà col segnare, nel bene e nel male, il modo in cui i nostri figli staranno al mondo domani. Eppure, molte delle decisioni che oggi ci tolgono il sonno, o che ce lo hanno tolto in passato, finiranno col non contare affatto nell’economia complessiva dell’esistenza dei nostri figli.

E se questo dovrebbe, da una parte, imporci di non giudicare determinate scelte altrui, dall’altra dovrebbe aiutare i puoi autocritici di noi ad assolverci almeno un pochino. Ad alleggerire la zavorra del senso di colpa e della preoccupazione per i danni che faremo ai nostri figli. A essere un pizzico più fatalisti. O almeno, è quello che spero per me stessa.

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