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Autore

Silvana Santo - Una mamma green

Silvana Santo - Una mamma green

viaggiare nostalgia
viaggi

Mi manca viaggiare

by Silvana Santo - Una mamma green 19 Novembre 2020

Mi manca viaggiare. E non me ne vergogno, anche se qualcuno penserà che proprio dovrei.

Mi mancano Firenze e Venezia. Mi manca Capri. Mi manca Milano. Mi manca la possibilità teorica di prendere un treno e di andarci, anche se magari, “prima”, lasciavo ogni volta passare anni prima di farlo davvero. Mi mancano, disperatamente, Roma e le sue piazze. Le chiese barocche, i ponti sul Tevere, i sampietrini divelti, i nasoni sgocciolanti. Mi manca Roma anche se non ci andavo da un secolo, anche se quando ci ho ho vissuto mi ha regalato la solitudine più bruciante, e non sono mai riuscita a farla diventare casa mia.

Mi manca il grande nord, ché da quando l’ho conosciuto esercita su di me un magnetismo a cui non posso sottrarmi. Come se fosse la mia casa ancestrale, tanto quanto il profondo sud al quale appartengo da generazioni.

Mi manca il Mediterraneo, che sempre sarà la mia famiglia. Mi mancano l’energia delle metropoli e la lentezza dei villaggi di pescatori. Il fascino dei ruderi millenari e lo squallore dei casermoni sovietici. La poesia dell’architettura classica e le vibrazioni di quella contemporanea. La familiarità dei campanili e l’esotismo dei minareti. I cimiteri ebraici e i templi indù. Le luci fredde degli aeroporti e il calore di un tramonto incorniciato dalle palme.

Mi manca viaggiare, e anche sognare di farlo. Studiare la prossima destinazione, immaginare me stessa in un luogo nuovo e sconosciuto. Pregustare le farfalle nello stomaco, l’emozione che mi serra la gola e spinge dentro i miei occhi un fiotto di lacrime buone. L’eccitazione fisica della conoscenza, della scoperta e dell’incontro.

Mi manca viaggiare perché è la cosa che da sempre mi rende più felice. Perché mi rende una persona migliore. Perché è amore, è vita, è libertà. Perché è senso.

Mi manca viaggiare, e non mi sento in colpa. Anche se qualcuno, sedotto dalla tentazione irresistibile del benaltrismo, penserà che sarebbe conveniente e appropriato. “Perché sono in salute e al sicuro, perché ho una casa, un lavoro e l’abbonamento a Netflix. Perché i miei avi hanno fatto la guerra e hanno patito la fame e sofferto la Spagnola. Perché dopo il terremoto dell’Irpinia e del Friuli e del Belice e dell’Armenia le famiglie hanno dormito in auto per mesi senza lamentarsi. Perché in Africa si muore di fame e di sete e perché piccole anime innocenti affogano ogni giorno tra le onde del Mediterraneo dove io ho il privilegio di fare snorkeling d’estate”.

Mi manca viaggiare, anche se questo non vuol dire che io non sia consapevole di quanto sono fortunata. Di quanto la mia vita è comoda, facile, privilegiata e sicura anche in questo momento che per molti vuol dire lutto e miseria e incertezza. Anche se questo non vuol dire che io non sia grata ogni momento per ciò che ho, senza averlo meritato più di tanti che invece non ce l’hanno. Che io non sia costernata e sgomenta per il dolore che mi circonda, e che ogni giorno mi si avvicina più minaccioso. Mi manca viaggiare perché all’amore non si comanda, e non c’è colpa nell’amore, quando non nuoce agli altri o a se stessi. Mi manca viaggiare, e tacerlo sarebbe solo ipocrisia.

19 Novembre 2020 1 Commenti
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promosso o bocciato il telelavoro
lavoropost sponsorizzati

Smart working: promosso o bocciato?

by Silvana Santo - Una mamma green 18 Novembre 2020

Come vi è andata, nei mesi passati, con lo smart working? E come sta andando ora? Siete tra quelli che lavorano da casa, dopo lo scoppio della pandemia? Questo telelavoro è promosso o bocciato, secondo voi? E soprattutto, è davvero smart?

Uno smart working… poco smart

In quest’anno pazzo e ineffabile, non tutti hanno avuto la possibilità di sperimentare un vero e proprio “smart working”. Molti si sono trovati a dover fare per la prima volta esperienza di un telelavoro improvvisato, imbastito “in qualche modo” a emergenza ormai in corso, senza gli strumenti, la formazione e la flessibilità necessari. Molti hanno continuato pedissequamente a fare quello che facevano sul posto di lavoro, con gli stessi orari, le stesse riunioni, le medesime scadenze. E hanno dovuto utilizzare, magari, piattaforme, programmi e tecnologie messi a punto in fretta e furia, oppure mutuati da altre esperienze e da altre professioni. Una realtà, in effetti, che di smart non ha poi così tanto.

smart working pareri

La mia (positiva) esperienza

Ma per fortuna non è stato così per tutti. Non è stato così per me, ad esempio. Che avevo già una lunga esperienza di telelavoro e che da due anni collaboro con un’agenzia digitale estremamente “smart”, appunto, concepita proprio per lavorare da remoto e con grande flessibilità, con dipendenti e collaboratori delocalizzati in luoghi diversi e avvezzi a lavorare per obiettivi, utilizzando piattaforme ad hoc. Tutte le fasi del mio lavoro avvengono senza problemi online: l’assegnazione delle consegne con le relative scadenze, le comunicazioni con colleghi e responsabili, la verifica di quanto effettuato, le riunioni etc. Per il resto, potrei fare il mio lavoro a qualsiasi orario e in qualsiasi luogo dotato di connessione a internet. Condizioni che non sono applicabili ad ogni attività o professione, certo, ma che secondo me potrebbero essere estese a tante categorie.

Wildling Shoes: virtuosi dello smart working

È il caso, per esempio, di Wildling Shoes, un’azienda tedesca di scarpe sostenibili ed etiche (ve l’ho presentata qualche giorno fa in questo post) che già da anni lavora in modo decentralizzato e offre a quasi tutti i suoi 160 dipendenti la possibilità di lavorare in modo agile, nei luoghi e negli orari che preferiscono. Nata appena nel 2015 da una coppia di genitori, l’azienda Wildling Shoes, che nel frattempo è molto cresciuta, si fonda proprio su un sistema di lavoro flessibile e intelligente, con dipendenti che si incontrano dal vivo solo di tanto in tanto e, sulla base di un progetto condiviso, portano avanti i propri compiti in autonomia. Una formula incentrata sulla fiducia reciproca, ma anche su competenze specifiche e strumenti adeguati – dal cloud per la condivisione dei documenti alle chat aziendali, passando per software che consentono la suddivisione e il controllo dei processi di lavoro – e che ha permesso un migliore adattamento in questo periodo di crisi globale.

Il futuro è smart?

Che ne direste, dunque, dello smart working, se questo significasse poter contare su tecnologie ad hoc, dispositivi adeguati e una flessibilità maggiore? Se voi, i vostri colleghi e i vostri superiori veniste formati al lavoro agile e messi in condizione di portare avanti i vostri compiti con una certa flessibilità oraria? Per me il lavoro agile, a prescindere dal Coronavirus, è il futuro. E anche se purtroppo penalizza fortemente alcune categorie economiche – penso a bar, ristoranti, gastronomie etc – credo che possa dare un contributo significativo anche in termini di sostenibilità ambientale e di conciliazione con la famiglia. Purché, però, sia davvero smart.

telelavoro opinioni

Voi cosa ne pensate? Quanto è stato faticoso riconvertire la vostra routine lavorativa, ammesso che abbiate potuto farlo? Vi piacerebbe lavorare da casa in pianta stabile? Lo smart working è promosso o bocciato?

Post in cooperazione con Wildling Shoes

18 Novembre 2020 3 Commenti
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adottare un gatto per il lockdown
animali

Adottare un gatto: cose su cui riflettere

by Silvana Santo - Una mamma green 16 Novembre 2020

Sono in tanti, in questo strano anno che stiamo trascorrendo in prevalenza dentro casa, a pensare di adottare un gatto (o un altro animale). Le ragioni per fare questa scelta, in effetti, sono molteplici: un gatto trasforma un’abitazione in una casa, dice un vecchio adagio inglese, e a mio parere è proprio così. Vivere con un micio garantisce una quota giornaliera di benessere psicofisico, compagnia e coccole, e occuparsi nel quotidiano di un animale è una esperienza impagabile per tutti i bambini. Prima di abbandonarsi a decisioni impulsive e “di pancia”, però, credo che si debba pensare con attenzione a tutte le possibili implicazioni, soprattutto a quelle che potrebbero rivelarsi un po’ “spinose”. Ecco, allora, sulla base della mia personale e opinabile esperienza, quali sono le cose importanti su cui riflettere prima di adottare un gatto.

Adottare un gatto: i costi

Il primo aspetto da considerare, che in realtà è molto relativo, consiste nel dispendio economico inevitabilmente necessario per la gestione di un gatto (o di qualsiasi animale domestico). Per un micio, in particolare, all’inizio dovrete acquistare come minimo ciotole, cassetta igienica, tiragraffi, qualche giochino. Una cuccia vera e propria, invece, non è strettamente indispensabile: possono bastare anche un cuscino o un tappeto “peloso”, ma ci penserà il gatto stesso a colonizzare divani, letti e ogni superficie a suo giudizio atta a riposare.

Oltre a queste spese da affrontare una tantum, se state pensando di adottare un gatto, tra i pro e contro considerate anche il costo che dovrete sostenere periodicamente per le pappe e i croccantini, nonché per i sassolini della lettiera. La spesa mensile può variare in modo considerevole sulla base delle vostre scelte di consumo e delle esigenze specifiche che potrebbe manifestare il vostro felino. A casa nostra, per esempio, il budget risente della tendenza di Artù ai calcoli di struvite, che gli impone un’alimentazione specifica che prevenga l’insorgenza di dolorose e pericolose cistiti.

perché adottare un gatto

Oltre alle spese per alimentazione e igiene del gatto, c’è da tener conto di quelle veterinarie, che includono costi prevedibili e preventivabili – come l’intervento di sterilizzazione, le vaccinazioni periodiche, la sverminazione, gli eventuali antiparassitari etc – e ovviamente quelli imprevedibili. Che, per il bene di micio, speriamo sempre siano ridotti ai minimi termini. A noi, per esempio, in una occasione è successo di dover tenere Artù ricoverato per una notte, il che ha fatto impennare necessariamente il conto della clinica.

In definitiva, la spesa per il mantenimento di un gatto domestico può variare in modo considerevole, ma una media plausibile, per farsi un’idea molto vaga, si aggira secondo me attorno ai 40/50 euro al mese. Si può spendere anche meno, ma il mio consiglio è di non lesinare troppo sulla qualità degli alimenti, nell’interesse dell’animale e anche del vostro stesso portafogli (se un micio si ammala, avrà bisogno di cure e medicine).

Adottare un gatto: le abitudini notturne

Farà sorridere, ma io credo che prima di decidere di adottare un gatto dobbiate anche chiedervi quanto vi peserebbe, eventualmente, essere svegliati all’alba ogni santa mattina. Non tutti i gatti mantengono delle spiccate abitudini crepuscolari, e se abitate in una casa molto grande potreste riuscire a mettere distanza tra voi e il vostro piccolo predatore. Ma non è escluso, soprattutto se vorrete (o dovrete!) condividere il sonno con il gatto, che finisca col tirarvi giù dal letto a orari improbabili. Artù, manco a dirlo, ha esattamente questa abitudine, ma il mio proverbiale sonno pesantissimo mi preserva dai risvegli notturni. Che quindi toccano al povero “papà”!

Adottare un gatto: le vacanze

Il vero tasto dolente da prendere in considerazione se volete adottare un gatto, secondo me, consiste nella gestione del vostro animale in occasione delle vacanze. Molto dipende dalle vostre abitudini di viaggio e anche dal temperamento del gatto stesso, ma è probabile che, se deciderete di accogliere un micio in casa vostra, vi ritroverete presto o tardi a dover affidare le sue cure a qualcuno.

adottare un gatto lati negativi

Se siete abituati a viaggiare in auto o in camper, potreste in effetti portare il gatto sempre con voi, ma dovrete individuare strutture ricettive adeguate e, cosa non scontata, fare in modo che l’animale si abitui fin da subito a spostarsi a seguito della famiglia (Artù, per esempio, non gradisce essere allontanato dalla nostra casa, e non è raro che un gatto si comporti così). Se, come me, non siete disposti a rinunciare a viaggi itineranti e vacanze in aereo, portarsi dietro un quadrupede diventa una faccenda ancora più complicata, per quanto comunque non tecnicamente impossibile.

Vi servirà, piuttosto, qualcuno di fidato che periodicamente vada a controllare le condizioni del gatto, pulire la sua lettiera, dargli acqua fresca, cibo e magari qualche coccola. Noi possiamo contare sulla generosa disponibilità di nonni e zia, ma non è sempre scontato che esista questa possibilità. Io vi consiglio di pensare a delle soluzioni già prima di procedere con l’adozione, chiedendovi fin da subito come potreste fare a organizzare le “ferie” di micio: aiuto di amici, parenti o vicini di casa, un cat-sitter a pagamento, pensioni specializzate?

In definitiva, ricordate sempre: la pandemia e il lockdown, vivaddio, passeranno nel giro di alcune settimane o mesi, ma il vostro adorato gattone resterà a farvi compagnia, se tutto va bene, per diversi lustri. Ponderate bene la vostra decisione, e credetemi: adottare un gatto sarà stata la decisione migliore della vostra esistenza!

16 Novembre 2020 0 Commenti
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regali di natale online senza amazon
abbigliamento sostenibilelife

Guida green ai regali di Natale online (senza Amazon)

by Silvana Santo - Una mamma green 11 Novembre 2020

Quest’anno, ci scommetto, anche molti irriducibili dovranno ripiegare sui regali di Natale online. Niente code e lunghe attese, niente assembramenti, niente mascherine, autocertificazioni o problemi di sorta (io confesso di essermi convertita già da molti anni!). Ma se non volete fare i vostri acquisti natalizi su Amazon o altri colossi del mercato online, e preferite invece premiare attività di respiro artigianale, vi consiglio 8 siti tutti al femminile, perfetti per i vostri regali di Natale online “Amazon free”. Tra giocattoli, abbigliamento, grafica, candele e accessori, troverete davvero spunti perfetti per tutti. Ricordatevi solo di ordinare le vostre strenne con un congruo anticipo, perché le creazioni artigianali, ovviamente, richiedono tempi diversi e consentono volumi produttivi inferiori rispetto alle filiere industriali.

Ecco, allora, i miei suggerimenti per i vostri regali di Natale online, ma senza Amazon.

1. Un ritratto o un disegno personalizzato di Minoma

regali di natale online

Elisabetta può trasformare una vostra foto in un ritratto, in un disegno o una caricatura, con il suo stile inconfondibile, contemporaneo e graffiante. Opere da incorniciare, da regalare, da condividere o semplicemente appendere alle pareti di casa. Ma può anche realizzare bomboniere personalizzate, lavori di grafica e mille altre piccole grandi meraviglie.

Per vedere i suoi lavori e farvi catturare dal suo talento, seguite il suo profilo Instagram.

2. Candele artigianali ed essenze naturali di Ceraunabolla

regali di natale online senza amazon

Quelle realizzate a mano da Sara e Marika non sono delle semplici “candele profumate”. Sono delle vere e proprie esperienze sensoriali, viaggi olfattivi che rimandano a luoghi speciali ed evocativi. E sono super green, realizzate con cera di soia biologica ed essenze completamente naturali. Oltre alle candele, proposte in diverse collezioni e taglie, sul loro shop trovate, per i vostri regali di Natale online, profumatori per ambienti e tessuti, incensi, saponi e tarte per i bruciatori.

Questo è il loro shop, ma cercatele anche su Instagram, hanno un profilo semplicemente pazzesco.

3. Una borraccia personalizzata di Elegrafica

regali di natale online green

Sono ecosostenibili, sono pratiche e sono soprattutto bellissime. Le borracce personalizzate da Elena di Elegrafica sono perfetti regali di Natale online. Potete scegliere il vostro design preferito, richiedere l’aggiunta del nome, oppure optare per il modello termico, perfetto per le calde bevande invernali, ma anche per le scampagnate estive che, si spera, potremo fare finalmente in libertà nei prossimi mesi.

Per scegliere la vostra borraccia, date un’occhiata al profilo Etsy di Elena. E seguitela anche su Instagram!

4. Un gioiello sostenibile di Vivere a piedi nudi

regali online alternative ad amazon

Materiali di recupero, carte coloratissime, ispirazioni esotiche e una sensibilità artistica davvero unica. Ho conosciuto virtualmente Laura di Vivere a Piedi Nudi durante il lockdown di primavera, quando ho acquistato una sua creazione nell’ambito di un progetto di solidarietà a sostegno della Protezione Civile. Sono rimasta completamente conquistata dal suo gusto, dal suo talento e dalla filosofia alle spalle dei suoi piccoli capolavori.

La trovate (anche) su Etsy.

5. Regali di Natale online: calendario di Burabacio

regali di natale alternativi online

Scommetto che tutti siamo ansiosi di gettarci alle spalle questo 2020 infernale. Un calendario del prossimo anno, oppure una fantastica agenda 2021, mi sembra un ottimo regalo di Natale da acquistare online, di buon auspicio per chi lo fa e per chi lo riceve. Se poi è una delle coloratissime creazioni di Sabrina, in arte Burabacio, il successo è garantito, speriamo anche in senso apotropaico! Nel suo shop online, che molti di voi conosceranno già, trovate anche irresistibili quaderni attività per grandi e piccini, e molto altro ancora.

Ecco il link alla Burabottega.

6. Un giocattolo green di Atomic Baby

regali online per natale

Non è un’artigiana, ma di giocattoli sostenibili e altri articoli di qualità è una vera autorità! Per i più piccini, il perfetto regalo di Natale online lo trovate da Atomic Baby, l’atomico e-commerce di Sara, che sceglie personalmente giochi green educativi, stimolanti e originali, realizzati con criteri etici e artigianali da tante aziende diverse. Sul suo sito trovate anche abbigliamento organico, cosmesi bio e tante idee innovative e di sicuro successo per i vostri regali online (natalizi e non solo).

Qui trovate il link ad Atomic Baby, ma vi consiglio di seguire Sara anche su Instagram! 

7. Una borsa in gomma riciclata fatta a mano da Manufabrika

regali di natale online ecologici

Il regalo di Natale perfetto, secondo me, è green e allo stesso tempo fichissimo! Manufabrika non è una semplice artigiana, ma un’artista che recupera camere d’aria usate e altri materiali di recupero trasformandoli in borse, sacche e pochette di un gusto contemporaneo che personalmente trovo irresistibile. Sul suo profilo trovate anche gioielli e altri accessori realizzati con il stesso approccio green e non convenzionale: regali di Natale online di sicuro successo.

Seguitela su Instagram! 

8. Un abito artigianale di La Bottega Blu

regali di natale acquistati online

Non si resiste alle creazioni di Daniela. Semplicemente. Tessuti di qualità, una sapiente lavorazione artigianale, la ricerca del dettaglio e uno stile delicato e di carattere, senza tempo. Tra maglie e camicie, gonne, abiti e accessori delle diverse collezioni, troverete il perfetto regalo di Natale online per amiche, mamme, sorelle etc. O magari per voi stesse!

Questo è il sito di La Bottega Blu, rifatevi gli occhi! 

 

Foto di copertina © Monika Stawowy

11 Novembre 2020 3 Commenti
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come non impazzire covid
life

Covid 19: promemoria per non impazzire nella seconda ondata

by Silvana Santo - Una mamma green 9 Novembre 2020

Nella mia terra, per certi versi, questa “seconda ondata” della pandemia di Covid 19 è di fatto la prima. Nella passata, funesta, primavera – grazie al caso prima e al prolungato lockdown dopo – il virus non era arrivato a circolare in modo significativo nel territorio in cui abito, né in gran parte del sud Italia. Adesso, purtroppo, sta andando diversamente. Tutti noi conosciamo di persona qualcuno che è stato contagiato, quasi tutti abbiamo già dovuto sottoporci a un qualche tipo di test, e il “virus” è da settimane il principale, se non l’unico, argomento di conversazione. Mi sono resa conto di trovarmi in grande difficoltà emotiva e psicologica, più ancora che ad aprile. Allora ho provato a stilare un piccolo promemoria che spero possa aiutarmi a non “impazzire” in questa seconda ondata. E che condivido volentieri con voi (sperando di essere in grado di prestarvi fede!).

Primo: contagiarsi non è una colpa

O perlomeno, di solito non lo è. Conosco persone che rispettavano pedissequamente e con zelo le norme di distanziamento, protezione e igiene personale. Eppure, purtroppo, sono state infettate comunque. Il Covid 19 è molto contagioso, a volte non sono sufficienti nemmeno le precauzioni più accorte. Ovviamente, ciò non toglie che in qualche caso la propagazione del virus avvenga a causa di comportamenti irresponsabili, e che dobbiamo sempre cercare di proteggere noi stessi e gli altri nel modo migliore possibile, ed evitare atteggiamenti incauti.

Corollario: se contagi qualcuno, non sei un mostro

Il senso di colpa e l’ansia possono lacerarti se ti succede di contagiare qualcuno, oppure se hai timore di averlo fatto, magari senza alcun elemento concreto per pensarlo davvero. Ma la verità è che, se hai utilizzato ogni precauzione possibile, se sei stato attento e prudente, non puoi tormentarti per aver involontariamente veicolato l’infezione ad altri.

Secondo: il vero “nemico” è il virus

Le istituzioni avrebbero potuto fare di più per limitare la diffusione dell’epidemia? Alcune persone si comportano in modo troppo superficiale? I negazionisti contribuiscono a peggiorare la situazione? Il governo cinese avrebbe potuto diffondere informazioni più precise e tempestive? Forse sì. Probabilmente sì. Ma la colpa di quello che succedendo, ammesso che di “colpa” si possa parlare, resta del virus (che poi anch’esso, a ben vedere, non ha una volontà di infierire né una intrinseca perfidia, ma si comporta semplicemente come è programmato per fare). Cercare colpevoli aiuta forse a incanalare la rabbia,

Corollario: gli altri esseri umani non sono un pericolo

Qualche tempo fa mi trovavo con i miei figli in un parco cittadino. Era un orario poco affollato, e passeggiavamo nella zona più “naturale” e isolata del parco, per cui eravamo di fatto completamente soli. A un certo punto si sono avvicinati dei ragazzini (peraltro tutti provvisti di regolare mascherina) e Flavia mi ha detto allarmata: “Guarda, mamma: delle persone!”. Ho capito che esiste il rischio concreto che finiamo inconsciamente col ritenere i nostri simili un potenziale pericolo, dei “nemici” dai quali guardarsi. È una prospettiva davvero angosciante, per quanto mi riguarda. Proviamo a sorridere con lo sguardo al passante che incrociamo, a salutare chi ci precede nella fila alle casse, a non indagare gli altri con lo sguardo, per vedere se indossano correttamente la mascherina o se si toccano i capelli senza pensarci.

Terzo: non dobbiamo guardarci, purtroppo, solo dal Covid

Qualche giorno fa sono andata a correre in una zona isolata e periferica, in un orario “deserto”. Ho pensato che fosse la soluzione più sensata dal punto di vista della prevenzione del contagio, e probabilmente avevo ragione. Ma non avevo messo in conto quello che poi è accaduto: mi sono sentita insicura per la presenza di personaggi un po’ “loschi”, per il degrado attorno a me e per la totale solitudine, tanto da cambiare itinerario e rientrare a casa in anticipo. Si tratta solo di un esempio, forse neanche tanto calzante, per dire che l’attenzione nei confronti del Covid 19 non deve farci abbassare la guardia rispetto ad altri pericoli. Qualche esempio?? Palpiamoci il seno regolarmente, cerchiamo di mantenerci “in forma”, di non fumare o bere troppo (sigh!), di non mangiare troppo male.

Quarto: non parliamo sempre della stessa cosa

Questo 2020 è l’anno del Covid, certo. Ma la vita scorre più forte dell’epidemia. Ci sono bambini che nascono, amori che sbocciano, figli che crescono. Esperienze che meriterebbero la nostra attenzione ma a cui spesso non riusciamo più a dare importanza, travolti e angosciati dalla convivenza con il virus (io, per esempio, ho comprato la lavastoviglie: vi pare poco?).

Corollario: non dimentichiamoci di vivere

Lo avevo già scritto, a primavera. Anche se non sempre sono riuscita a mantenere la parola. Questi mesi ineffabili non ci verranno scontati dal computo complessivo di quelli “andati”. Nessun arbitro sancirà un lungo recupero per compensare il tempo che la pandemia ci ha preso senza chiedere il permesso. Ci tocca vivere a fondo ogni giorno, anche se non possiamo viaggiare, uscire, mangiare fuori o incontrare gli amici. Perché la vita che non viviamo oggi, sarà perduta per sempre.

9 Novembre 2020 2 Commenti
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carico mentale
life

Sopraffatte dal carico mentale

by Silvana Santo - Una mamma green 5 Novembre 2020

Se vi chiedessi quanto condividete coi vostri compagni la fatica quotidiana di badare alla casa e di accudire i figli, cosa mi rispondereste? Molte di voi, in assoluta buona fede, direbbero che nella propria famiglia tutto viene diviso “al 50 e 50”, e che anche i propri compagni si occupano di cucinare, pulire la casa, fare la spesa, cambiare pannolini e mettere a letto i bimbi. Benissimo. Ma se vi chiedessi quanto sono coinvolti i padri nell’organizzazione del quotidiano, quanto sopportano con voi il carico mentale estenuante che c’è dietro la gestione di una famiglia, allora che cosa mi rispondereste? Chi tiene i rapporti con il pediatra, chi si ricorda di prenotare le vaccinazioni e poi tiene a mente gli appuntamenti? Chi dialoga “quotidianamente” con insegnanti e rappresentanti di classe, chi tiene i rapporti con gli amichetti e i loro genitori? Chi si occupa di comprare i regali quando si viene invitati a un compleanno, chi fa caso al corredo scolastico mancante, chi è che si rende conto che è quasi ora di fare il cambio di stagione, e di integrare eventualmente il guardaroba dei bambini? Se la risposta è “entrambi allo stesso modo”, fidatevi: siete parte – per merito, per caso o per fortuna, poco importa – di quella sparuta minoranza di famiglie in cui non solo il lavoro “materiale”, ma anche quello “gestionale” e logistico viene ripartito equamente tra padre e madre.

Lo chiamano “carico mentale”, appunto, e a volte è così pesante da diventare una zavorra insostenibile, che ti schiaccia fino a toglierti il fiato e la lucidità. Per me, più che altro, è come una folla di voci che mi si accavallano dentro la testa, una quantità di informazioni sovrapposte su cui il mio cervello non riesce a mantenere il controllo o a stabilire delle gerarchie di priorità. E che sembrano fuggire nel vento come post-it attaccati malamente a una bacheca troppo affollata. È una sensazione fisica, proprio. La sensazione di una mole di dati che trabocca incontenibile dal mio cranio, che frana verso il basso e minaccia in ogni istante di seppellirmi.

Per anni, anche a casa nostra, il carico mentale era decisamente sbilanciato a mio sfavore. Lo schema, di solito, era sempre lo stesso: cominciavo una qualsiasi attività – un articolo da consegnare, una lavatrice, la lista della spesa, la fattura per un cliente – e mi ricordavo all’improvviso di altre scadenze, responsabilità, incombenze improcrastinabili in attesa da troppo tempo. E così, magari, lasciavo in sospeso ciò che stavo facendo per dedicarmi a quella che, nel caos, mi pareva in quel momento la questione più urgente (per esempio: scrivere al pediatra per programmare finalmente il controllo), ma nel frattempo pensavo già agli zaini per la palestra da preparare, al bollo auto scaduto la settimana precedente, ai quaderni nuovi che andavano tassativamente comprati entro sera, alle pappe per il gatto da ordinare con urgenza. Alla fine, spesso e volentieri, mi ritrovavo sfinita. Sopraffatta dalla mole insostenibile di responsabilità, di scadenze da tenere a mente, di imprevisti da fronteggiare. E non riuscivo a fare al meglio nessuna delle cose tra le quali mi sarei dovuta barcamenare.

Non è solo una questione di organizzazione o di metodo. Più semplicemente, a volte quello che ci viene richiesto (magari anche da noi stesse) è davvero troppo. “I pensieri”, li chiamava mia nonna – a volte vorrei avere un pensatoio come Albus Silente, per alleggerire il peso che grava sulla mia testa. In realtà si chiama carico mentale, ma è lo stesso. E quello che accade è che spesso e volentieri questo carico non sia distribuito in modo equo nella coppia genitoriale, ma finisca col ricadere principalmente sulle madri (e sulle donne in genere, perché vale anche per esempio per chi ha genitori anziani da accudire).

Ma non esiste alcuna ragione biologica per cui debba spettare alle donne il compito di tenere le fila di “quel che c’è da fare”. I padri, e i maschi in generale, non sono al mondo per fare “il braccio armato”, gli esecutori materiali di istruzioni impartite dalle proprie compagne. Quello che ci condanna a questa iniqua spartizione della fatica e dello stress è solo un pregiudizio. Un retaggio culturale che poteva funzionare, forse, quando le donne lavoravano “soltanto” dentro casa, ma che adesso è un modello obsoleto, inefficace e totalmente ingiusto.

La coppia di cui faccio parte, dopo un periodo davvero critico per la sottoscritta, sta tentando da tempo di imparare a dividersi il carico mentale più alla pari. È un processo lungo e complesso, che ha comportato (e ancora causerà) discussioni, contrasti e incomprensioni. Notti trascorse a parlare, accessi di rabbia, fatica. Sofferenza. Perché anche se chi sta “dall’altra parte”ha tutta la buona fede del mondo, non è facile e non è immediato cambiare visione e abitudini nel profondo. Rendersi conto di quello che bisogna provare a modificare. Ma per quanto tempo ed energie richiederà, riuscire nell’impresa di redistribuire il carico mentale è una sfida irrinunciabile, una conquista cruciale per il benessere della nostra famiglia. E sono certa che sia così anche nelle case di molti di voi.

*La bellissima illustrazione è della mia amica Elisabetta Bronzino “Minoma”, che ringrazio per aver tradotto in arte, con talento e grande efficacia, quello che le mie parole volevano esprimere.

5 Novembre 2020 7 Commenti
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tenere i bambini all'aperto quando fa freddo
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Perché è sano tenere i bambini all’aperto anche quando fa freddo

by Silvana Santo - Una mamma green 3 Novembre 2020

Tenere i bambini all’aperto anche quando fa freddo: sì o no? È il classico dibattito autunnale che si ripete tra i genitori (e non solo) italiani, forse perché avvezzi a climi particolarmente miti e poco in confidenza con condizioni meteo più “nordiche”. Nei paesi più freddi, infatti, il problema non si pone nemmeno: i bambini giocano all’aperto, frequentano boschi e parchi, vanno a scuola a piedi, escono normalmente anche se le temperature esterne sono rigide. E lo fanno equipaggiati al meglio, con abiti adeguati e scarpe adatte.

Non so di quale avviso siate voi, ma io sono convinta che tenere i bambini all’aperto anche quando fa freddo sia un’abitudine salutare, ancora di più in questo momento di apprensione generale per la pandemia di Coronavirus. Ovviamente, e lo scrivo a chiare lettere, nel rispetto del distanziamento fisico e dei vari decreti, limitazioni e restrizioni del caso.

all'aperto quando fa freddo

Il freddo non fa ammalare

La prima e fondamentale cosa che giustifica la scelta di tenere i bambini all’aperto anche quando fa freddo: raffreddori, mal di gola, influenze e simili sono causate da virus e batteri, non dalle basse temperature ambientali. Se non si viene a contatto con un agente patogeno non ci si ammala, anche se fuori ci sono due gradi sotto zero o se soffia un vento forte e gelido. È vero che la parola stessa (“raffreddore”) lascerebbe intendere il contrario, come è vero che a volte ci cola il naso quando fa molto freddo – ma quello è un fenomeno temporaneo legato alla differenza di temperatura tra l’aria che inaliamo e l’interno caldo e umido delle nostre narici – ma sono specifici microrganismi a causare i tanto temuti mali di stagione. Il fatto, per esempio, di aver “preso freddo” ed essersi ritrovati, ventiquattr’ore dopo, con un bel raffreddore, dovrebbe essere considerato come una mera coincidenza, anche perché raffreddori e influenze hanno comunque un tempo di incubazione che di norma supera le poche ore.

Una concausa relativa e superabile

Quello che gli studiosi sospettano da tempo, invece, è che il freddo potrebbe in qualche modo abbassare le difese immunitarie dell’organismo, favorendo di conseguenza le infezioni. Ma non esistono ancora studi definitivi e verificati sull’argomento, e comunque anche in questo caso un equipaggiamento adeguato (abbigliamento, scarpe e accessori) può contribuire in modo sostanziale a risolvere il problema. Senza dubbio, determinati virus temono il caldo, o comunque circolano per lo più nei mesi più freddi, e questo spiega in parte la stagionalità di influenze e altre affezioni, ma è soprattutto la persistenza in ambienti chiusi a favorire il contagio. E qui veniamo difatti al punto successivo, che rende ancora più valido il consiglio di tenere i bambini all’aperto anche quando fa freddo.

Stare al chiuso è il vero rischio

In autunno e in inverno, specie alle nostre latitudini, si tende a trascorrere molto tempo in ambienti chiusi, magari anche con le finestre serrate e quindi con ricambio d’aria limitato. In realtà, le precauzioni di “restare al caldo”, o di “evitare gli spifferi” possono paradossalmente aumentare la concentrazione di virus e batteri in una stanza e favorire la diffusione dei vari malanni. Non a caso, nei mesi invernali il pediatra dei miei figli si ostina con grande pazienza a spalancare le finestre della sala d’attesa tra una visita e l’altra, sapendo che puntualmente arriverà tutte le volte a richiuderle qualche mamma o nonna solerte – e in ottima fede – preoccupata per il freddo. I luoghi con scarso ricambio d’aria e magari molto affollati (penso per esempio a mezzi di trasporto, centri commerciali, piccole ludoteche e simili), per quanto “caldi e asciutti” rappresentano di fatto quelli in cui è forse più facile beccarsi un virus invernale. Sarebbe invece più salubre tenere i bambini all’aperto, e farli camminare a piedi, anche quando fa freddo, specie se si ha la possibilità di portarli in luoghi relativamente incontaminati e con poco inquinamento. Servono, questo è ovvio, indumenti termici, comodi e impermeabili, cappelli e guanti adeguati e anche delle scarpe che tengano il piede al caldo e all’asciutto, oltre a essere confortevoli e rispettose della fisiologia dei piccoli piedi in crescita. E pure, perché no, di quelli già cresciuti.

bambini all'aperto d'inverno

Attenzione agli sbalzi termici

Più che il freddo in sé, quello a cui fare attenzione sono in realtà i repentini sbalzi termici, che rendono difficile l’adattamento da parte dell’organismo (senza contare che, spesso, nei filtri dell’aria condizionata si annidano muffe, germi e altre schifezze). Quello che va evitato, dunque, non è uscire con i bambini anche quando fa freddo, ma surriscaldare gli ambienti nei mesi autunnali e invernali.

Tenere i bambini all’aperto anche quando fa freddo: ma come?

Il fatto che non sia il freddo a farci venire l’influenza non vuol dire però che i climi rigidi possano essere sottovalutati. Se non si è attrezzati, le temperature molto basse sono difficili da tollerare, specie per i bambini molto piccoli, e causare addirittura dolore o problemi anche permanenti, soprattutto a carico delle estremità del corpo. Per questo i nordici dicono che “non esiste il cattivo tempo, ma solo il cattivo equipaggiamento”. Per tenere i bambini all’aperto anche quando fa freddo occorre che indossino abiti caldi ma pratici, meglio se idrorepellenti e antivento (vestirli a strati può essere una buona strategia per migliorare il confort). La massima attenzione va sempre dedicata alla testa, alle mani e ai piedi, che sono le parti del corpo che risentono maggiormente delle temperature rigide. Le scarpe, in particolare, dovrebbero essere calde ma comode e flessibili, rispettose della fisiologia del piede. Per le giornate non troppo rigide io vi consiglio le calzature Wildling Shoes, realizzate con materiali naturali e concepite in modo da lasciare il più possibile liberi i piedi di bambini e adulti. “Come se si camminasse scalzi”, ma con il confort e l’isolamento extra di specifiche solette aggiuntive. La collezione autunno/inverno include modelli più o meno pesanti, con o senza membrana impermeabile. La soluzione perfetta per non rinunciare a uscire e giocare all’aperto anche con un clima fresco e umido (mentre sono consigliabili stivaletti in gomma o sovrascarpe impermeabili quando piove forte).

uscire coi bambini quando fa freddo

Post realizzato con l’assistenza di Widling Shoes

3 Novembre 2020 0 Commenti
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bomboniere solidali battesimo
life

Una cura per tutti, con le bomboniere solidali di Medici Senza Frontiere

by Silvana Santo - Una mamma green 29 Ottobre 2020

La pandemia ce lo ha ricordato una volta di più, in modo prepotente e drammatico: dal punto di vista dell’accesso a cure mediche, farmaci, ospedali e diagnosi, non siamo tutti uguali, non tutti abbiamo le stesse possibilità. E, soprattutto, l’emergenza che sta tornando a mordere in modo sempre più feroce ci sta facendo in qualche modo capire cosa significhi vivere senza la certezza di terapie adeguate e disponibili per tutti. Quello che nella parte di mondo meno “fortunata” è di fatto la norma, anche per malattie che a noi, per fortuna, fanno molta meno paura del Covid 19. Non è una colpa, naturalmente, essere nati nati nel posto “giusto” e godere del diritto alla salute e alla cura, ma non è neanche un merito. E possiamo fare tanto per dare una mano a chi, altrettanto incolpevole, non ha avuto questo privilegio.

Fa tanto, per esempio, Medici Senza Frontiere, che ogni giorno presta il proprio servizio per curare, in tutto il mondo, migliaia di persone colpite da conflitti, epidemie, catastrofi naturali o escluse dall’assistenza sanitaria. Anche da quando è scoppiata la pandemia di Covid 19. Interventi umanitari che vengono finanziati al 100% da donazioni private, per garantire all’organizzazione la totale indipendenza e neutralità. Per ogni euro raccolto, Medici Senza Frontiere destina 81 centesimi ai suoi progetti in oltre 70 Paesi del mondo: vaccinazioni, interventi, diagnosi, medicinali. E, in questo difficile 2020, guanti, mascherine e altri dispositivi di protezione che possono davvero fare la differenza nella lotta al Coronavirus. Il resto dei fondi raccolti viene impiegato, sempre con la massima trasparenza, per finanziare la raccolta di ulteriori fondi e la gestione dell’organizzazione.

bomboniere solidali
Un modo semplice e concreto con cui tutti possiamo contribuire al lavoro di Medici Senza Frontiere consiste nella scelta di bomboniere solidali per tutti gli eventi importanti, le ricorrenze familiari e le celebrazioni. In questo modo, le persone che amiamo possono ricevere un ricordo simbolico e adorabile, un segno tangibile del nostro affetto e della nostra gratitudine nei loro confronti. E, allo stesso tempo, noi possiamo contribuire, con un piccolo investimento, a “portare” medici, farmaci, diagnosi e terapie adeguate laddove, altrimenti, ci sarebbero solo paura e solitudine.

Nella bottega solidale di Medici Senza Frontiere sono disponibili ricordi e bomboniere di tanti tipi e perfette per celebrare ogni occasione importante. Come le deliziose bomboniere solidali battesimo a forma di aeroplanino che vedete nelle foto di questo post, e che io mi sono divertita a montare con Davide e Flavia. Una scelta che è anche sostenibile, visto che le bomboniere solidali di Medici Senza Frontiere sono realizzate con materiali rinnovabili ed ecofriendly.

bomboniere battesimo medici senza frontiere

Vi ricordo infine che le bomboniere solidali, come tutte le donazioni a Medici Senza Frontiere, possono essere detratte o dedotte dalla dichiarazione dei redditi.

29 Ottobre 2020 0 Commenti
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integratore vitamina C vegetale
lifepost sponsorizzati

Alle madri che non hanno i superpoteri

by Silvana Santo - Una mamma green 27 Ottobre 2020

Alle madri che ogni giorno corrono, pensano, fanno, inventano e si reinventano. Alle madri che a volte hanno la sensazione di non farcela, ma che alla fine vanno avanti con risorse che nemmeno pensavano di avere. Alle madri che non hanno paura di sbagliare, perché sono semplicemente umane. Alle madri che danno il massimo in ogni momento, ma che non si sentono delle supereroine, io dico soltanto: non siete sole. Tutte noi ogni tanto abbiamo bisogno di qualcosa in più. Di qualche ora di tempo extra, un po’ più di equità, un po’ di silenzio in più. Di pazienza. Di empatia. E tutte le madri, ogni tanto, hanno bisogno di una batteria di riserva, di un piccolo surplus di energia, di forza, di protezione. A volte per affrontare la vita frenetica e i mille impegni quotidiani può servire ogni tanto una integrazione di Vitamina C. E la stessa esigenza può presentarsi per i loro figli, soprattutto in periodi di particolare stress o fatica. La Vitamina C è una sostanza fondamentale per il benessere dell’organismo, coinvolta ad esempio nella produzione del collagene e nella riparazione dei tessuti, costituendo inoltre un sostegno delle difese immunitarie. Non proprio un superpotere, insomma, ma un aiuto prezioso, in grado di esercitare un’azione tonificante e antiossidante sull’organismo.

vitamina c per bambini

Quando è necessario integrare l’apporto di Vitamina C nell’organismo, si può scegliere un prodotto completamente naturale, in grado di essere assorbito più in fretta dall’organismo ed eliminato più lentamente, garantendo una maggiore biodisponibilità (fino al 48% in più) rispetto alla Vitamina C di sintesi. I laboratori farmaceutici Arkopharma hanno creato un integratore di vitamina C di origine 100% vegetale, privo di qualsiasi ingrediente di sintesi. La fonte di vitamina C di Arkovital Acerola 1000 è l’Acerola (Malpighia glabra), una pianta originaria del centro e sud America che produce frutti simili alle ciliegie, con una concentrazione di vitamina C fino a 50 volte superiore a quella contenuta nell’arancia.

integratore vitamina c acerola

Arkovital Acerola 1000 può essere utile per ritrovare energia e ridurre la stanchezza, per sostenere le difese immunitarie e contrastare la carenza di Vitamina C, anche nei soggetti fumatori. Può essere utilizzata da adulti e adolescenti (a partire dai 15 anni la dose consigliata è di una compressa al giorno), ma anche dai bambini a partire dai 6 anni (mezza compressa masticabile al giorno, anche se ha un sapore così gradevole che Davide vorrebbe volentieri prenderne di più!). Perché le mamme non possono avere i superpoteri, ma a volte possono contare su un aiuto in più.

Voi avete mai utilizzato un integratore di Vitamina C? Vi è stato di aiuto? Avete optato per un prodotto di origine sintetica o vegetale? Raccontatemi la vostra esperienza, se vi va, nei commenti o sulla mia pagina Facebook.

Post in collaborazione con Arkopharma

27 Ottobre 2020 3 Commenti
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Il dolore degli altri è dolore a metà

by Silvana Santo - Una mamma green 26 Ottobre 2020

C’è chi ha un lavoro stabile e garantito, ma si ritrova a farlo da casa mentre deve occuparsi di un bambino piccolissimo, e si sente sopraffatto dalla responsabilità e dalla fatica, fino al punto di non riuscire più a respirare. Chi ha contratto debiti per mettere a norma una palestra, un teatro, una sala di registrazione e che ora si chiede perché mai debba chiudere, consegnandosi all’indigenza, nonostante tutti gli sforzi compiuti. Chi ha investito ogni risparmio in un piccolo ristorante e adesso non riesce a dormire pensando alle nubi che si addensano sul proprio avvenire. Chi un lavoro ce lo aveva e lo ha perso, chi ha una partita IVA e non fattura niente da mesi, chi un’occupazione decente la stava cercando e adesso dispera definitivamente di trovarla.E c’è chi al lavoro non ha mai smesso di andarci: nella trincea degli ospedali sovraffollati e malsani, nella calca dei supermercati presi al sacco dalla folla spaventata, nelle fabbriche servite da treni e bus stipati all’inverosimile. E si chiede ogni tanto cosa abbiano mai da lamentarsi tutti gli altri.

C’è chi fa l’insegnante con passione, ma ha una patologia cardiaca, una immunodeficienza, un coniuge che cerca di guarire dal cancro o un genitore molto anziano di cui prendersi cura dopo il lavoro. E sente che entrare in un’aula piena di ragazzi rappresenta davvero un rischio inaccettabile. C’è chi si ritrova a insegnare a scrivere a suo figlio davanti a un tablet che funziona a scatti, e la ritiene una completa aberrazione. Chi ha perso il sonno perché il suo, di figlio, avrebbe dovuto laurearsi nei prossimi mesi, e ora non sa bene quali pesci prendere. E chi pensa con invidia agli uni e agli altri, perché è genitore di un bambino con bisogni speciali, che adesso saranno completamente disattesi – ancora più del solito – e chissà quale voragine cupa lasceranno. C’è chi i figli non li ha avuti, oppure li ha cresciuti da trent’anni, e quali possano essere le difficoltà odierne dei genitori non riesce nemmeno a immaginarlo. Così non può sottrarsi alla tentazione di minimizzare, di dirsi che a resistere ancora per qualche settimana, in fondo “cosa ci vorrà”.

C’è chi ha rimandato un matrimonio, chi non vede figli e nipoti da un anno, chi ha rinunciato a un progetto, a un trasloco, a un sogno qualsiasi. Chi sente mordere più forte una depressione che sperava di essere riuscito a tenere finalmente a bada. Chi non riesce a curarsi come dovrebbe da un cancro, da una malattia neurologica, da una disabilità o da una cardiopatia. E c’è chi annaspa intubato in un letto di rianimazione, chi ha perso un genitore, un nonno, un compagno, senza poterlo neanche salutare un’ultima volta. E trova che nessun’altra ragione sia sufficientemente importante per dolersi e recriminare.

Il dolore degli altri è dolore a metà, se tu per primo sei alle prese col dolore. E forse non è davvero colpa di nessuno. Forse è del tutto inevitabile, del tutto normale, che nella difficoltà sempre crescente si finisca col concentrarsi su se stessi. Con il tentare di sopravvivere col minor danno possibile, di mettere i propri figli in salvo sulla prima scialuppa disponibile. Forse è normale rivendicare il proprio strazio perché è l’unico che si conosce davvero, l’unico con il quale giorno e notte ci si trova fare i conti. Non è facile obbligarsi ad ascoltare, a compatire, a consolare chi sente di stare “peggio di te”, se tu per primo non stai bene, e avresti un disperato bisogno di qualcuno che ti ascolti, ti compatisca e ti consoli. Non è facile dare agli altri qualcosa, se quel qualcosa, da un tempo non esattamente breve, manca anche a te stesso. Si può solo decidere di provare il più possibile a tenersi per sé la tristezza, la rabbia, la paura. Consapevoli che gli altri, nessuno escluso, stanno già portando il loro fardello. Si può solo provare a resistere da soli, e sperare di riuscire a farlo abbastanza a lungo. L’empatia non è un lusso per i tempi bui. E il dolore degli altri, ora più che mai, è dolore a metà.

26 Ottobre 2020 2 Commenti
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Mi chiamo Silvana Santo e sono una giornalista, blogger e autrice, oltre che la mamma di Davide e Flavia.

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