Il dolore degli altri è dolore a metà

by Silvana Santo - Una mamma green

C’è chi ha un lavoro stabile e garantito, ma si ritrova a farlo da casa mentre deve occuparsi di un bambino piccolissimo, e si sente sopraffatto dalla responsabilità e dalla fatica, fino al punto di non riuscire più a respirare. Chi ha contratto debiti per mettere a norma una palestra, un teatro, una sala di registrazione e che ora si chiede perché mai debba chiudere, consegnandosi all’indigenza, nonostante tutti gli sforzi compiuti. Chi ha investito ogni risparmio in un piccolo ristorante e adesso non riesce a dormire pensando alle nubi che si addensano sul proprio avvenire. Chi un lavoro ce lo aveva e lo ha perso, chi ha una partita IVA e non fattura niente da mesi, chi un’occupazione decente la stava cercando e adesso dispera definitivamente di trovarla.E c’è chi al lavoro non ha mai smesso di andarci: nella trincea degli ospedali sovraffollati e malsani, nella calca dei supermercati presi al sacco dalla folla spaventata, nelle fabbriche servite da treni e bus stipati all’inverosimile. E si chiede ogni tanto cosa abbiano mai da lamentarsi tutti gli altri.

C’è chi fa l’insegnante con passione, ma ha una patologia cardiaca, una immunodeficienza, un coniuge che cerca di guarire dal cancro o un genitore molto anziano di cui prendersi cura dopo il lavoro. E sente che entrare in un’aula piena di ragazzi rappresenta davvero un rischio inaccettabile. C’è chi si ritrova a insegnare a scrivere a suo figlio davanti a un tablet che funziona a scatti, e la ritiene una completa aberrazione. Chi ha perso il sonno perché il suo, di figlio, avrebbe dovuto laurearsi nei prossimi mesi, e ora non sa bene quali pesci prendere. E chi pensa con invidia agli uni e agli altri, perché è genitore di un bambino con bisogni speciali, che adesso saranno completamente disattesi – ancora più del solito – e chissà quale voragine cupa lasceranno. C’è chi i figli non li ha avuti, oppure li ha cresciuti da trent’anni, e quali possano essere le difficoltà odierne dei genitori non riesce nemmeno a immaginarlo. Così non può sottrarsi alla tentazione di minimizzare, di dirsi che a resistere ancora per qualche settimana, in fondo “cosa ci vorrà”.

C’è chi ha rimandato un matrimonio, chi non vede figli e nipoti da un anno, chi ha rinunciato a un progetto, a un trasloco, a un sogno qualsiasi. Chi sente mordere più forte una depressione che sperava di essere riuscito a tenere finalmente a bada. Chi non riesce a curarsi come dovrebbe da un cancro, da una malattia neurologica, da una disabilità o da una cardiopatia. E c’è chi annaspa intubato in un letto di rianimazione, chi ha perso un genitore, un nonno, un compagno, senza poterlo neanche salutare un’ultima volta. E trova che nessun’altra ragione sia sufficientemente importante per dolersi e recriminare.

Il dolore degli altri è dolore a metà, se tu per primo sei alle prese col dolore. E forse non è davvero colpa di nessuno. Forse è del tutto inevitabile, del tutto normale, che nella difficoltà sempre crescente si finisca col concentrarsi su se stessi. Con il tentare di sopravvivere col minor danno possibile, di mettere i propri figli in salvo sulla prima scialuppa disponibile. Forse è normale rivendicare il proprio strazio perché è l’unico che si conosce davvero, l’unico con il quale giorno e notte ci si trova fare i conti. Non è facile obbligarsi ad ascoltare, a compatire, a consolare chi sente di stare “peggio di te”, se tu per primo non stai bene, e avresti un disperato bisogno di qualcuno che ti ascolti, ti compatisca e ti consoli. Non è facile dare agli altri qualcosa, se quel qualcosa, da un tempo non esattamente breve, manca anche a te stesso. Si può solo decidere di provare il più possibile a tenersi per sé la tristezza, la rabbia, la paura. Consapevoli che gli altri, nessuno escluso, stanno già portando il loro fardello. Si può solo provare a resistere da soli, e sperare di riuscire a farlo abbastanza a lungo. L’empatia non è un lusso per i tempi bui. E il dolore degli altri, ora più che mai, è dolore a metà.

You may also like

2 Commenti

L'angolo di me stessa 26 Ottobre 2020 - 15:43

Mamma mia…

Reply
Cecilia 31 Ottobre 2020 - 00:02

Tutto vero, ma l’empatia e’ l’unica vera soluzione per non essere sopraffatti. Come sempre, conosco essenzialmente progetti in inglese, ma Good Grief Network e Work That Reconnects / Active Hope (questo l’ho proposto anche io in italiano, su Zoom ovviamente), per fare solo due nomi, sono eccezionali per aiutare a onorare il dolore e allo stesso tempo legarlo ad una prospettiva piu’ profonda.
Un abbraccio forte, anche se virtuale.

Reply

Lascia un commento