Cosa resterà di questa interminabile estate

Resteranno giornate infinite, raccolte al mattino presto come susine ancora un poco acerbe e regalate a piene mani ai miei figli, fino a un tramonto che spesso sembrava non arrivare mai (ma che quando alla fine scoppiava era commovente e pacificatore). Giornate regalate a loro per scelta e con ferma volontà, ma con la sensazione, a tratti, di averle sottratte a me stessa. Eppure è forse vero il contrario, e ci vorranno dei lustri per capirlo a fondo: che queste settimane con loro sono state per me l’unica opportunità di salvezza, un dono inestimabile da custodire per l’eternità e tirare fuori come uno scudo invincibile al cospetto dei mostri. Resterà un tempo immobile e denso, cocente come l’aria metropolitana di fine luglio e appiccicoso come la resina matura sulla corteccia dei pini. Resterà la sensazione agrodolce, mai più provata dall’adolescenza, che l’estate non dovesse finire mai.

Chili di confort food e chili di frutta zuccherina. Litri di vino ghiacciato. Cera di candele e gel per capelli. Vento caldo, vento forte, vento sporco. Salsa di pomodori datterini. Acqua di lago, acqua di mare, acqua di cloro, acqua calda e odorosa di terme sulfuree. Fiabe, canzoni e magie vissute attraverso gli occhi dei miei figli. Occhi innocenti e ignari, dentro i quali mi sono persa e ritrovata cento volte, come un pellegrino che ha smarrito il suo sentiero.

Resteranno le notti insonni. Una dopo l’altra, feroci e allucinanti. Notti senza tregua. Notti solitarie e allo stesso tempo condivise con persone amate e tormentate dagli stessi spilli acuminati che hanno rubato il mio sonno chissà fino a quando.

Resterà una fatica indicibile. Di fare, di dare, di non strafare. E di essere, soprattutto. Di essere la versione migliore di me, nonostante la fatica stessa, nonostante le notti senza sonno, nonostante tutto e nonostante me. Una fatica a tratti vana, che non è servita a evitare errori e vergogna, ma che ho distillato goccia a goccia come, onestamente, meglio non avrei saputo. Non avrei potuto.

Resterà la musica. A esaltare, a commuovere, a liberare. A ricordare che ciò che sembra personale di solito è invece universale.

Resteranno scoppi di urla e conflitti fragorosi. Accessi di rabbia e di gelosia. Parole non dette e altre vomitate fuori con troppa foga, con troppo fiele, con troppo astio. Resteranno silenzi pesanti come incudini e una paura ancestrale da tenere a bada in qualche modo. Per i piccoli, per i vecchi, per se stessi. Resteranno i sensi di colpa, vividi come sempre ma per la prima volta imbrigliati e addomesticati. Diventati non ancora inoffensivi, ma più comprensibili e quindi meno letali. Familiari, quasi.

Resteranno gli amici, pochissimi e preziosi come sale e acqua. Amici ventennali e amici appena scoperti. Amici ai quali puoi dire sempre la verità, che poi è probabilmente l’unica definizione di amicizia che si possa articolare con ragionevolezza. E resteranno le assenze. Definitive, assordanti, siderali. Assenze ormai abituali – alle quali comunque sembro destinata a non abituarmi mai – e assenze inattese e recenti. Che in fondo non fanno più davvero male, piuttosto lasciano un retrogusto stantio e nauseante in fondo alla gola.

Resteranno le telefonate e i messaggi. Interminabili o fulminei, interrotti bruscamente e qualche volta addirittura muti. Comunicazioni complicate e dense, a tratti contorte o incomprensibili. Comunicazioni inevitabili, anche se spesso avrei dato qualsiasi cosa per poterne fare a meno.

Resterà un’opportunità professionale inattesa e insperata, che ho vissuto con la consapevolezza e la relativa libertà dei miei quasi 40 anni (e di questa estate interminabile, estenuante eppure così rivelatrice).

Resteranno cose spezzate che andranno riparate in qualche modo. A ogni costo, perché un’altra opzione, semplicemente, non c’è.

Resterà l’Irlanda. Che è stata vita ed è stata libertà. Una boccata d’aria, un tempo supplementare. Una finestra spalancata nella notte, con la luna piena accesa in un angolo del riquadro oscuro.

Resterà una consapevolezza rinnovata e definitiva. Di quello che sono e di quello che siamo tutti. Di quello che conta davvero e di quello che, alla fine, non ha la minima importanza.

Resterà, di questa mia estate interminabile, soprattutto l’urgenza disperata di vivere. Più forte che mai, senza riposo, senza anestesia. L’urgenza famelica di godere di ogni singolo istante, di onorare ogni singola giornata. Di cantarla, questa vita fragile che a volte ti tradisce e si tradisce. Che a volte ti getta in ginocchio con le mani scorticate e lo sguardo verso il basso, ma che con la stessa ostinazione ti costringe a rialzarti e andare. L’urgenza di celebrarla. Di afferrarla e di non lasciarla passare invano, nemmeno per un momento.

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2 Commenti

Kika 20 Settembre 2019 - 15:04

Ciao! Sono anni Che leggo con intetesse e tavolata incredulita’ ( per le simili scelte ed opinioni) il tuo blog. Ora, essendo una mamma green , potresti considerare promuovere di piu’ gli spostamenti sostenibili? Proprio oggi con mezzo mondo Che protesta in strade e fa sapere come il riscaldamento globale sia una realta’ non piu’ da ignorare abbiamo il dovere di ammettere Che volare e’ uno dei maggiori contribuenti a questa emergenza. Condividi I tuoi pensieri a proposito. Slow travelling e’ anche una realta’. In bocca al lupo

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Silvana - Una mamma green 23 Settembre 2019 - 13:38

Ciao, grazie per il commento e per le parole di stima! 🙂 Come ho scritto più volte senza problemi, considero il viaggiare uno dei miei “peccati” più gravi, nel senso che non riesco proprio a fare a meno di partire due o tre volte l’anno. Viaggiare è la cosa che maggiormente mi tiene viva e mi rende felice, non riuscirei proprio a rinunciare, al momento. Evito di volare per vacanze di breve durata, e considero quando possibile alternative più sostenibili, ma non sono in grado di rinunciare del tutto.

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