Il guardiano del faro

L’altro giorno ho letto la storia di un tizio che ha passato tutta la sua vita adulta facendo il guardiano del faro a Capo Vaticano, un posto meraviglioso che quando l’uomo aveva preso servizio, oltre 40 anni fa, era sperduto e solitario. Interi decenni al cospetto del mare e del cielo infiniti. Lune e stagioni passate con la sola compagnia delle onde («Mai nessuna uguale all’altra»), dei gabbiani e delle navi di passaggio.

L’articolo raccontava di come, negli anni, il protagonista avesse migliorato le condizioni del posto, costruendo un sentiero e provvedendo alla manutenzione del faro. Di come avesse preso moglie e con lei avesse visto nascere e crescere quattro figli, che poi sono tutti andati via, inevitabilmente, direi, da quel lembo d’Italia assolato e lontano da tutto.

faro2La cosa più significativa dell’intera vicenda, secondo me, è che il guardiano del faro racconta al giornalista di non essersi mai sentito solo. Nelle dure tempeste invernali, nelle interminabili estati calabre fatte di pomeriggi lunghissimi e di sole spietato, negli anni della sua giovinezza e nella sua vecchiaia che, senza neanche più la compagnia della famiglia, trascorre imperterrito all’ombra del faro. È stato stanco, arrabbiato, forse spaventato. Ma non ha mai conosciuto la solitudine.

A detta dello stesso guardiano – barba grigia e pelle cotta dal sole e dalla salsedine – sono stati proprio il mare e il cielo a salvarlo. La bellezza viva delle onde in moto perenne e il sibilo del vento. Le rotte dei gabbiani e il frusciare delle lucertole nell’erba secca. Gli odori e gli echi di quell’universo marino così presente, così luminoso.

La verità, ho pensato alla fine della mia lettura, è che noi non siamo fatti per la città.

faro3

Neanche quelli che corrono sempre e che pensano alla natura come a una roba da corso di sopravvivenza per aspiranti marines. Neanche io, che amo la folla e la confusione. Che alla fine di una vacanza in Bretagna ho salutato il traffico di Parigi con evidente sollievo, che ho studiato in una città ordinata del centro Italia, piangendo di nostalgia per la mia incasinatissima provincia napoletana.

È che a volte si è più soli in mezzo alla gente che davanti al mare sconfinato e silenzioso.

Se mi dovesse essere concessa una vecchiaia, è là, di fronte alle onde, che la voglio consumare.

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4 Commenti

IlPadreDiBigD 17 Aprile 2014 - 14:59

“Se mi dovesse essere concessa una vecchiaia, è là, di fronte alle onde, che la voglio consumare”
Magari con un uomo dalla “barba grigia e pelle cotta dal sole e dalla salsedine”

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Silvana - Una mamma green 17 Aprile 2014 - 15:05

Ovviamente. E con un cane gigante e un paio di gatti randagi.

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Calzino 17 Aprile 2014 - 15:25

Mio marito è originario di un villaggio sperduto sul’isola di Stromboli, raggiungibile solo via mare. Si chiama Ginostra.
Ogni tanto penso che è proprio là che vorrei finire i miei giorni.
Bene, mi guardo intorno e sono in ufficio. A bologna diremmo “Sòcmel mò!”
🙂

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Donatella Grazioso 17 Aprile 2014 - 17:46

è il mio sogno!!1

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