L’amore (non) è un rotolo di carta igienica

Me ne sono accorta soltanto durante le lunghe settimane di quarantena.

C’è qualcosa di profondamente intimo e radicato, in me (e sospetto che non valga per me soltanto) che a volte mi fa confondere l’amore con il servizio. Che mi porta a esigere da me stessa un livello altissimo, e talvolta insostenibile, di efficienza e dedizione nei confronti delle persone a cui voglio bene, a cominciare dai miei figli.

Come se l’amore fosse un rotolo di carta igienica nuovo sempre pronto sul mobiletto. Un dispenser di sapone ricaricato un momento prima che si esaurisca, un bicchiere di acqua fresca accanto alla colazione appena servita, prima ancora che venga richiesto a gran voce.

Come se l’amore fosse – anche o soprattutto – mettersi al servizio dell’altro. Risolvere i problemi pratici dell’altro, se possibile addirittura prevenirli. Anche quando questo comporta un investimento di energie e risorse, fisiche, nervose ed emotive, che in quel preciso momento non sarebbe affrontabile.

C’è un confine labile, mi sembra di poter dire, tra la cura silenziosa e quotidiana dell’amato e l’ottusa disponibilità a immolarsi per lui sull’altare sacrificale dell’abnegazione. Ed è un confine che, forse, siamo più spesso noi donne – e noi madri – a varcare. Come se portassimo scritto nella carne un messaggio frainteso da generazioni di antenate prima di noi: amare qualcuno vuol dire servirlo. Vuol dire liberare il suo sentiero dalla polvere, vuol dire fare in modo che abbia quello di cui ha bisogno. Anche quando sei a pezzi, anche quando avresti tu per prima la necessità di premure servizievoli.

L’amore, in effetti, è anche un rotolo di carta igienica comprato o sostituito al momento giusto, purché a farlo non sia sempre la stessa persona. È (anche) un insieme di gesti invisibili a protezione dell’amato, di attenzione e di cura – materiale e morale – della sua persona. L’importante, però, è che si tratti di gesti reciproci e multidirezionali, condivisi e spontanei a prescindere dall’età, dal genere e dal presunto “ruolo” familiare. Altrimenti, tutto sommato, si tratta solo di volgare carta igienica.

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1 Commenti

Michela 12 Luglio 2020 - 15:38

Come al solito, sante parole! Il problema é far sì che l’altra persona impari a collaborare…Io personalmente, dopo anni di ragionamenti, urla, ridimensionamenti – anche consistenti – del “servizio”, ho ancora un marito distratto e scarsamente efficiente, anche se in alcune cose è migliorato…La chance è con i figli, crescerli in modo da essere in primis indipendenti, e poi collaborativi…e attenti al prossimo!

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