Elegia dell’equinozio di primavera

Più delle persone, mi manca la Terra.
 
Suona male da dire, me ne rendo conto. Ma è la verità.
 
La mia, per certi versi, è da tanti anni una vita piuttosto solitaria, e questo, nella crisi che tutti insieme stiamo attraversando, si è rivelata una fortuna insperata. Il mio quotidiano, rispetto a quello di molti di voi, è cambiato in misura tutto sommato marginale e quindi più accettabile.
 
Lavoro da casa, in solitaria, da un intero decennio: non ho colleghi di cui sentire nostalgia, pause pranzo da rimpiangere, cene di lavoro a cui rinunciare o riunioni da convertire faticosamente in video-conferenze. Durante la settimana, le mie uscite si susseguivano già sporadiche, quasi solo al seguito dei figli: la scuola, il basket, le feste di compleanno dei compagni. Abito in un posto dove la mensa scolastica e il tempo pieno sono ancora una chimera, per cui il pranzo casalingo e la supervisione ai compiti a casa erano già la norma, per me. E continueranno a esserlo anche quando le scuole riapriranno e la nostra vita tornerà a scorrere su binari più o meno consueti. Ero già abituata a trascorrere con i miei figli intere giornate, di solito lavorando contemporaneamente. Una casualità fortuita che oggi mi rende meno esposta all’avvilimento e alla stanchezza di tanti genitori che prima potevano passare a casa al massimo un paio di ore al giorno.
 
Gli aperitivi, che in effetti sono una mia passione, per consuetudine e per economia li facevo in casa già da molto prima di questo marzo da tregenda. Il cinema, che pure amo tanto da sempre, riesco a surrogarlo con efficacia grazie a un divano a due posti e una vecchia smart TV su cui il gatto ha lasciato da anni due unghiate impietose. L’ultimo concerto a cui sono andata risale forse a una dozzina di anni fa. E anche per il resto, in effetti, non ho dovuto aggiungere troppe rinunce a quelle che già mi ero già trovata a digerire negli anni, per scelta, per caso, per colpa mia o della sfortuna. Quasi tutte le mie amiche e i miei amici, per esempio, vivono relativamente lontano da me: è il destino di chi cresce in una terra di emigranti, una terra che da sempre chiama i suoi figli alla diaspora. Passano mesi – a volte intere stagioni – senza che riusciamo a vederci, anche quando il pianeta non è assediato dalla pandemia.
 
Per questo, credo, più delle persone, in questo Equinozio di primavera mi manca la Terra.
 
Mi manca il mare in questa stagione, non ancora assediato dai bagnanti e dal traffico. Le spiagge ancora sgombre di ombrelloni e sdraio, il bagnasciuga ancora territorio esclusivo di gabbiani, alghe e paguri. Mi manca la montagna, lasciata libera dal popolo con gli sci ai piedi. Restituita al silenzio, al brulicare sommesso della primavera in embrione. Mi manca la natura resiliente di città: i soffioni che crescono nelle crepe dell’asfalto, i gechi che tornano a fare capolino sui vecchi muri di tufo, i gabbiani depistati di chilometri dal tanfo delle discariche umane. A breve sarà la stagione dei nidiacei, quelle piccole vite orrende e pigolanti da tentare di strappare alla legge feroce del caso e dell’evoluzione. Quest’anno, a quanto pare, me la perderò.
 
E mi manca la meraviglia immortale dell’arte. La maestà del marmo e del travertino, la solidità dei basalti, la luce dei graniti. Il silenzio, la bellezza, il colore in cui sempre – sempre – ho trovato rifugio quando ero assediata dal buio. Con il cuore spezzato da un amore finito o da un’amicizia tradita, con la testa annebbiata dal dubbio, con il ventre squassato dai rimorsi. Uscendo da una corsia di ospedale o da un cimitero, annaspando per la solitudine, per il rimpianto, per il fallimento: è sempre nell’arte che ho trovato riparo, sicurezza, fiducia. Che ho trovato pace, soprattutto.
 
Mi manca sognare il prossimo viaggio, più ancora che viverlo. Dare fuoco alle polveri dell’immaginazione, accendere la miccia della curiosità. Presagire la scoperta, la conoscenza, l’esperienza del diverso e l’incontro con l’altro.
 
Sono fortunata, tra tanti. E non solo perché la mia famiglia, almeno per il momento, è in salute e al sicuro. Ma anche perché sono già in parte avvezza all’isolamento sociale che per tanti, ora, è una bestia dura con cui fare i conti. Mi colpisce meno duro, mi lascia meno sgomenta.
 
Ma la Terra mi manca. E mi fa male constatare che, in fondo, lei sta meglio senza di noi.

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