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salute

life

Lettera aperta alla mia endometriosi

by Silvana Santo - Una mamma green 17 Luglio 2020

Signora endometriosi,
scrivo a te, anche se mi sento un po’ fuori di testa, per dire soprattutto delle cose a me stessa, e condividerle con altre donne alle prese con lo stesso percorso, probabilmente con scarpe ben più pesanti di quelle che sto calzando io e lungo curve assai più tortuose delle mie. Che nonostante tutto sono stata estremamente fortunata.

Sei stata per anni una conoscenza superficiale e indiretta, una voce tra le tante del mio bagaglio di cultura generale. Minacciosa, ma fino a un certo punto. Sembravi, in qualche modo, una di quelle cose che capitano sempre agli altri, o per meglio dire “alle altre”. E poi, tutto a un tratto, sei entrata nella mia vita senza chiedere il permesso.

Sei riuscita nell’impresa non semplice di cogliermi di sorpresa, mia imprevedibile endometriosi. In pochi riescono a fregare il mio sesto senso, l’istinto innato che spesso mi fa leggere tra le righe e mi fa cogliere segnali che altri pensano di aver censurato, o che nemmeno sanno di aver inviato. Sei arrivata quando proprio non ti avrei aspettato, quando ormai avevo abbassato la guardia, a un’età in una fase della mia vita che consideravo non più così a rischio, tutto sommato.

Sei comparsa senza fare troppo rumore, relativamente in sordina. E questo ti ha permesso di farti largo dentro di me, senza che io me ne accorgessi se non quando ti eri ormai presa definitivamente un pezzo del mio corpo, spostandone altri un centimetro alla volta e obliterando quello spazio al centro del mio centro che un tempo aveva ospitato i miei figli.

Ma ho fatto tutto da sola, a pensarci bene. Ho colpevolmente disimparato, nel tempo, a prestare attenzione a me stessa da non rendermi conto che nelle mie viscere qualcosa non andava. L’attitudine alla “sopportazione”, allo stringere i denti, a preoccuparmi d’altro, mi è forse divenuta così congeniale da non riuscire più a capire, o da arrivare a farlo con clamoroso ritardo, che dopo tutto non stavo poi così bene. E questo, silenziosa e subdola endometriosi, è un grande insegnamento, di cui in qualche modo ti sono grata e che dovrò cercare di tenere a mente a tutti i costi.

Alla fine, ti ho vissuta come un tradimento. Come una trappola tesami dal mio stesso corpo, che finora era stato il più solido e affidabile tra i compagni. Detesto avere la sensazione di perdere il controllo, ed è esattamente così che tu, all’improvviso, mi hai fatto sentire: non più padrona delle mie cellule, dei miei tessuti, dei miei organi interni. Non più proprietaria del mio stesso sangue, che a un tratto ha invertito il suo corso, sbagliando strada e aprendosene altre con dolo e dolore. Non mi hai lasciato scelta: mi sono sentita, a causa tua, alla mercé di forze e processi ingovernabili, del tutto indipendenti dalla mia volontà.

Mi hai imposto, come a tutte noi che ti incrociamo nostro malgrado lungo il sentiero, un dazio di dolore, di paura e di lacrime. Mi hai tolto un ovaio. Qualcosa che pensavo non mi importasse più, dato che in un certo senso “non mi serviva più”, e che invece, come spesso accade in un tardivo exploit di consapevolezza, mi è apparso prezioso e benedetto proprio nel momento in cui ho dovuto rinunciarvi. Ma io sono stata molto più fortunata di tante altre, di tante sorelle da cui esigi un prezzo esorbitante e a cui imponi un sacrificio che io, privilegiata, non so nemmeno immaginare.

Di un paio di cose, alla fine, sarò grata per sempre, anche se non so ancora bene a chi o a cosa.
Intanto, non sarai mai una minaccia per la mia vita. E questo, soprattutto in quest’anno di lutto e dolore (che segue un anno che è stato di lutto e dolore nel mio universo personale e familiare) mi sembra una ragione più che sufficiente per ringraziare in eterno.

E poi, sei arrivata troppo tardi per rischiare di mandare a monte, o anche solo complicare, i miei progetti di maternità. So bene che moltissime donne non hanno di certo questa fortuna, e sento cristallino e fortissimo un senso di sollievo e di immensa riconoscenza per questo. Per i miei figli, per averli incontrati senza fatica e senza dolore.

Indesiderabile signora endometriosi,
anche se spero di essermi liberata di te, forse ci toccherà farci compagnia più o meno a lungo e più o meno in silenzio. In ogni caso, non temere, da oggi cambia tutto: sarò più vigile, più consapevole e più attenta.

PS. L’endometriosi è una malattia molto diffusa ma spesso misconosciuta, sottovalutata o diagnosticata tardivamente. È una patologia “benigna” (nel senso che non degenera in lesioni maligne), ma spesso estremamente dolorosa, tanto da risultare addirittura invalidante. In molti casi, se non curata in modo tempestivo ed efficace, può determinare infertilità o comunque difficoltà nel concepimento. Le sue cause sono ancora dubbie, quel che è certo è che determina la presenza di cisti o focolai di tessuto endometriale (lo strato più interno dell’utero, quello che si sfalda ogni mese durante le mestruazioni) in zone dove non dovrebbe esserci: le ovaie, le tube, le pareti addominali, l’intestino o addirittura la vescica, i polmoni etc. Spesso causa mestruazioni irregolari, estremamente dolorose, emorragiche, oppure forti dolori in fase ovulatoria, dolori durante il rapporto sessuale o dolori pelvici e addominali cronici. Ma può comportare anche altri fastidi come stitichezza o perdita di sangue attraverso le urine. La terapia farmacologica è su base ormonale, quando non è efficace non resta che la chirurgia. Io sono stata operata per una cisti endometriosica molto grande, che ha reso necessaria anche l’asportazione dell’ovaio destro. Non ho mai sofferto durante le mestruazioni, ma ho trascurato per anni forti dolori durante l’ovulazione, nonché un senso di tensione e peso all’addome, dove a volte mi capitava di poter tastare questa grossa “formazione”.
È molto importante, di fronte a certi sintomi, ottenere al più presto una diagnosi certa: non è fisiologico, per esempio, avere mestruazioni estremamente dolorose o emorragiche, e se vi succede non è perché voi siate “deboli” o “lamentose”. Avete diritto a indagini accurate, una diagnosi tempestiva (anche tramite risonanza magnetica o Tac) e cure efficaci. Cercate un ginecologo o una struttura che abbiano comprovata esperienza in materia di endometriosi e adenomiosi, in modo da essere seguite nella maniera più adeguata. E ricordate sempre che non siete sole!

17 Luglio 2020 3 Commenti
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coronavirus consigli per la quarantena
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Coronavirus: piccolo decalogo della quarantena coi figli

by Silvana Santo - Una mamma green 11 Marzo 2020

Da diversi giorni siamo tutti alle prese con una esperienza nuova e non facile. La necessità di contenere la diffusione del nuovo Coronavirus ci impone di autolimitare le nostre libertà personali, di restare in casa assieme alla nostra famiglia e di rinunciare alla vita sociale. Una sfida ardua, che mette in discussione nel complesso lo stile di vita che abbiamo sempre dato per scontato. Anche se, ovviamente, la situazione che stiamo affrontando è del tutto inedita per me come per tutti gli italiani, in tanti anni di telelavoro ho avuto modo di conoscere bene le insidie dell’isolamento e della prolungata reclusione. Cominci col restare in pigiama, e metterti a lavorare direttamente a letto, e finisci col sentirti depresso e malato, anche se grazie al cielo sei in perfetta salute. Ti concedi di rallentare un po’ – il che va benissimo – ma poi ti fai prendere la mano, e ti ritrovi impantanato nell’inedia, nei ritardi, nel caos. Ecco, quindi, sulla base della mia decennale abitudine al telelavoro, un decalogo che spero possa aiutare tutti di noi ad affrontare la quarantena da Coronavirus senza impazzire e senza farci sopraffare dalla tristezza. Insieme, per quanto lontani.

1. Svegliati (quasi) alla solita ora

A prescindere dai tuoi attuali impegni di lavoro, e dall’attività didattica in cui sono impegnati i tuoi figli, cerca di mantenere dei ritmi quotidiani regolari, il più possibile simili a quelli a cui siete abituati. Anche se siamo tutti chiusi in casa, questa non è una “vacanza fuori programma”: svegliati a un orario decente, pranza e cena a orari abituali, manda a letto i bambini come se tutto stesse procedendo come al solito.

2. Non restare sempre in pigiama

Uno dei rischi principali del telelavoro, e più in generale delle giornate casalinghe, consiste nel “lasciarsi andare” e in qualche modo perdere il contatto con la realtà, trascurare se stessi e finire col sentirsi in una specie di limbo irreale. Invece, anche se ci troviamo impossibilitati a uscire, siamo per fortuna quasi tutti in buona salute, ed è opportuno comportarsi di conseguenza: non restare in pigiama, non trattenerti a letto più del dovuto, scegli una postazione di telelavoro comoda e luminosa. Abbi cura di te proprio come quando esci ogni mattina per andare al lavoro.

3. Non derogare a tutte le regole

Stiamo vivendo una esperienza unica nella storia recente del nostro Paese, e ci troviamo a trascorrere le nostre giornate in un modo del tutto insolito. È comprensibile che, per rendere più tollerabile la situazione, alcune regole vengano “ammorbidite” o parzialmente riviste. Ma far saltare completamente gli schemi abituali sarebbe deleterio, sopratutto per i bambini, che hanno già perso molti dei loro consueti punti di riferimento e che hanno bisogno di mantenere, pur con qualche salvifica eccezione, una routine abbastanza regolare. Meglio, quindi, evitare le maratone di YouTube, l’abuso di snack, i pranzi sul divano, la deroga al lavaggio dei dentini. Tra qualche settimana, se saremo bravi e tutto andrà come deve andare, i nostri figli torneranno alla loro quotidianità, ed è importante che si trovino pronti.

4. Cerca di mangiare sano

Nei momenti di apprensione, tristezza o semplice fatica, la tentazione di rifugiarsi nel comfort food è – almeno per la sottoscritta – molto forte. E non è un dramma, credo, concedersi qualche piccola gratificazione gastronomica (o alcolica!) extra. Meglio, però, non esagerare col cibo spazzatura, con gli spuntini ipercalorici o con il cibo da asporto. Altrimenti rischiamo di proteggerci efficacemente dal Coronavirus, ma di ritrovarci poi con altre problematiche.

5. Prendi un po’ d’aria con i bambini (in sicurezza per tutti)

Se hai la possibilità di farlo senza contravvenire ai decreti per contenere la diffusione del contagio, cerca di trascorrere almeno un’ora al giorno all’aria aperta insieme ai tuoi figli. Potete uscire in cortile, giardino o nelle immediate vicinanze di casa vostra, a patto di non avere contatti con altre persone, e solo se nessuno di voi avverte alcun tipo di sintomo influenzale. Cerca di proporre giochi movimentati: corsa, palla, campana, bicicletta, salti con la corda e di godere di qualche benefico raggio di sole. Se non avete la possibilità di uscire, invita i bambini a trascorrere un po’ di tempo in balcone, o almeno affacciati alla finestra.

6. Leggi e studia (e fallo fare ai tuoi figli)

Anche se non stai lavorando da casa, cerca di ritagliarti dei momenti della giornata dedicati allo studio o alla lettura, e chiedi ai tuoi figli di fare altrettanto. Stabilisci delle ore della giornata riservate al “lavoro intellettuale”, in cui cercate di restare tranquilli, magari davanti a una bella tazza di tè, e tenere in esercizio la mente.

7. Fai un po’ di moto

Oltre a tenere in allenamento il cervello, fai in modo di muoverti regolarmente anche se non puoi uscire di casa, e cerca di coinvolgere anche i bambini. Segui una lezione di fitness online, cammina sul tapis roulant, cerca un video di yoga per genitori e figli. Oppure, semplicemente, accendi la musica e comincia a ballare.

8. Resta in contatto

Isolamento non deve significare solitudine anche se, credetemi, questo rischio esiste ed è molto concreto. Anche se non siamo in grado di andare a trovare nonni, amici e parenti, possiamo chiamarli, mandare loro dei video, dei messaggi audio o delle fotografie per sentirci comunque vicini. Questa “arresti domiciliari da CoVid-19” potrebbero anche essere una buona occasione per abituare i bambini a scrivere messaggi o piccole email alle persone da cui sono prolungatamente separati.

9. Tieni la casa in ordine

In un ambiente ordinato si lavora meglio. E convivere nel caos per intere settimane equivarrebbe davvero a mettere a dura prova i nervi e la serenità dell’intera famiglia. Pur senza impazzire (né far impazzire gli altri), cerca di mantenere la casa nel solito ordine. Approfitta per fare un po’ di decluttering, eliminando il superfluo e riorganizzando gli ambienti, e coinvolgi i bambini in queste operazioni, che possono rivelarsi molto appaganti e anche divertenti.

10. Abbi pazienza

Ci saranno giorni lievi e altri pesantissimi, ore dolci e ore ingrate, abbracci e discussioni. Sarà dura. Ma passerà, e torneremo a stare insieme, senza limitazioni. A uscire, a viaggiare, ad abbracciarci. E forse saremo un po’ più consapevoli, più veri e più liberi.

11 Marzo 2020 0 Commenti
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life

Prenderemo coscienza

by Silvana Santo - Una mamma green 9 Marzo 2020

Prenderemo peso.
Impastando torte, biscotti e lasagne. Affondando le mani in una massa incoerente di ingredienti e trasformandola in qualcosa che magari non sarà perfetta, ma sarà unica. E sarà nostra. E per i nostri figli che ci avranno aiutato nell’impresa, sarà in ogni caso deliziosa (è un po’ quello che cerchiamo di fare con noi stessi ogni giorno, a maggior ragione da quando siamo genitori).

Prenderemo tempo.
Quello che ci viene negato ogni giorno, da sempre. Tempo per stare assieme davvero, in quantità e qualità. Per conoscerci a fondo, anche senza parlare. Tempo per giocare, per leggere, per ridere e piangere. Tempo per abbracciarci forte e per mandarci a quel paese. Tempo per vivere, insieme.

Prenderemo le distanze.
Dalle fake news, dagli odiatori seriali. Dagli universitari della vita, dai bene informati avvelenati dalla loro stessa arroganza. Dai complottisti incapaci di dar credito a chi ne sa più di loro, di fidarsi di quello che gli viene spiegato, di attenersi a quanto gli viene richiesto. Dai benaltristi ubiquitari, dagli irriverenti per vezzo e dagli anticonformisti per partito preso. Prenderemo le distanze, forse e tardivamente, dall’ignoranza e dalla presunzione.

Prenderemo spaventi.
E forse questo ci sarà di insegnamento. Perché c’è differenza tra coraggio e incoscienza, tra equilibrio e strafottenza, tra libertà e menefreghismo. Forse la paura, per una volta, ci obbligherà ad avere fiducia nelle istituzioni e rispetto delle regole. A metterci nei panni dell’altro e vedere l’effetto che fa.

Prenderemo fiato.
Costretti finalmente a rallentare e a fermarci. A rinunciare all’organizzazione serrata delle nostre giornate, alla maledetta trappola del multitasking, all’equivoco della iperstimolazione ininterrotta. Imporremo una tregua forzata alla nostra sindrome di wanderlust, alla nostra smania di andare, di fare, di produrre. Di guadagnare, di spendere e di condividere ossessivamente le nostre esistenze perfette e invidiabili.

Prenderemo a cuore.
Il bene comune e l’interesse collettivo. I diritti dei più fragili, di quelli che di solito non hanno voce e ai quali, per una volta, presteremo le nostre corde vocali.

Prenderemo contatto.
A un metro di distanza dagli altri, ma uniti nell’attesa e nella consapevolezza. Uniti nel nostro destino di umani, che in definitiva è lo stesso per tutti, anche se tendiamo a dimenticarcene. Un contatto che, anche se a distanza, potrebbe finalmente tornare autentico: reale benché virtuale.

Prenderemo dei rischi.
Solo quelli indispensabili. Con prudenza e rispetto. Con intelligenza.

Prenderemo decisioni.
E si spera che saranno sagge e umane. Che non si porteranno dietro uno strascico inutile di rimpianto. Che non causeranno, soprattutto, conseguenze irreparabili.

Prenderemo coscienza.
Di quanto sia labile la vita, e per questo inestimabile. Di quanto possa cambiare all’improvviso, scuotendoci inesorabilmente dal nostro torpore. Di quanto sia indispensabile ridimensionare la nostra arroganza di umani e tornare a convivere in qualche modo con l’idea che non potremo mai avere il controllo sulla morte e sulla natura (e fortuna che è così, anche con tutto il male che fa).

Prenderemo coraggio.
E questo periodo surreale e faticoso passerà. Diventerà qualcosa che ricorderemo per la vita, forse anche con un monito di tenerezza per la piccolezza dei nostri figli e il tempo passato assieme a loro reinventandoci una vita che pensavamo di conoscere e invece era tutta da scoprire.

9 Marzo 2020 4 Commenti
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Il peggio di noi, messo a nudo dal Coronavirus

by Silvana Santo - Una mamma green 4 Marzo 2020

Lo spettacolo disarmante della nostra nudità dinanzi al virus. È questo che mi danza cristallino davanti agli occhi da qualche settimana, e non mi riferisco soltanto alla relativa impotenza con cui la nostra specie si trova a fronteggiare l’ennesima epidemia della storia dell’umanità. Ma al peggio di noi che, come singoli e come comunità, stiamo mostrando imperterriti nel mare grosso della crisi. Niente che in fondo non sapessimo già, in effetti. Ma l’ignaro Coronavirus è riuscito in pochi giorni a mettere in luce le nostre miserie e le nostre meschinità, una per una, con un cinismo che forse nessuna emergenza recente aveva potuto mostrare.

La sfiducia nel prossimo

Non serviva appunto il nuovo virus made in China per scoprirlo, ma l’epidemia lo ha messo in luce nel modo più lampante possibile: facciamo sempre più fatica a fidarci del prossimo. Non solo delle istituzioni – il Governo, l’Europa, le Università etc – ma dei nostri conspecifici in senso molto lato: concedere agli altri esseri umani il beneficio della buona fede ci risulta talvolta impossibile. Sospettiamo, diffidiamo, diamo per scontato che gli altri esseri umani intendano mentirci, ingannarci, fregarci in qualche modo: nonostante quello che dichiara, la dirigente scolastica avrà deliberatamente trascurato le operazioni di pulizia della scuola. La madre del compagno di classe di nostro figlio avrà nascosto la sua tosse sospetta. Il ministro/assessore/governatore agirà di certo in malafede, indifferente alle sorti dei suoi elettori. Il ricercatore dichiarerà il falso solo per interesse, il primario farà un lavoro consapevolmente approssimativo solo per favorire altri che ovviamente non siamo noi. Fidarsi è male, non fidarsi è un fatto scontato.

La colpa è sempre degli altri

Corollario del punto precedente: la responsabilità non è mai nostra, e il metro di giudizio che vale per noi stessi non può essere applicato a chi è altro da noi. Sono sempre gli altri che mandano i figli a scuola malati, che non si lavano a sufficienza, che non rispettano le regole. E le uniche deroghe possibili sono applicabili solo a noi stessi: le nostre vacanze sono le uniche a non essere sacrificabili, i nostri parenti fuori sede hanno più diritto di altri a tornare a casa nonostante le misure di contenimento del contagio. Il doppiopesismo dei privilegiati.

Il paradosso del turismo di massa

Piangiamo l’assenza delle folle di turisti che fino a ieri riuscivamo a malapena a tollerare, assistiamo attoniti allo spettacolo delle nostre città d’arte svuotate all’improvviso dalla prudenza e dal panico, che ci appare tetro e ostile, quasi un presagio di morte, e certamente di miseria diffusa. Le stesse città che avevamo sacrificato consapevolmente sull’altare del turismo di massa, e delle quali i più navigati di noi celebravano un quotidiano funerale, ora ci sembrano quasi destinate a non esistere più, senza la pantomima che ogni giorno mettevano in scena a beneficio dei loro più o meno danarosi visitatori (una contraddizione, o, se vogliamo, un’ipocrisia che riguarda me per prima, che sono una viaggiatrice incallita e che da un po’ di tempo lavoro anche nel settore turistico). A volte, abbiamo bisogno di quello che ci distrugge.

Dagli al diverso!

Ci serve un colpevole per sentirci meglio, forse per assolvere in qualche modo noi stessi. Un colpevole, meglio ancora, che ci sia possibile percepire come “altro da noi”. Uno straniero più o meno diverso, reo di mangiare cose che a noi farebbero orrore, di considerare normali pratiche quotidiane che a noi suonano come retrograde o discutibili. Uno straniero laido, ignorante, arretrato. Peccato che nessuno sia straniero, in questa povera Terra che abitiamo, e che di conseguenza lo siamo tutti quanti. E che quando arriva il nostro momento di essere i “diversi” zozzoni da tenere a debita distanza, da biasimare o nella migliore delle ipotesi compatire, faccia male, tanto. Faccia rabbia, faccia fiele. Siamo tutti meridionali di qualcuno, e spesso non è divertente.

Finché non riguarda me

Conseguenza diretta del punto precedente: finché sono gli altri a rischiare, a morire, a soffrire – di malaria, di guerra, di peste, di fame, di morbillo, di emigrazione – possiamo al massimo versare qualche lacrima estemporanea, indignarci tra la pausa caffè e il pranzo, firmare accorati l’ennesima petizione. Ma se la tragedia ci sfiora appena, o anche solo ci minaccia più o meno da vicino, la musica cambia e il panico finisce col divampare. E per tutti il dolore degli altri è dolore a metà.

L’arroganza dell’ignoranza

Siamo, a mio parere, mediamente molto più ignoranti di qualche decennio fa. Le elementari che mia nonna aveva frequentato con passione negli anni ’20 del secolo scorso le avevano dato forse più conoscenze basilari (di ortografia, di sintassi, di aritmetica, di educazione civica) rispetto alle scuole medie dei ragazzi di oggi. Avevano acceso in lei, soprattutto, una scintilla che mai ho visto spegnersi nei 90 anni che ha vissuto: il sacro fuoco della curiosità, del sapere, del bello. Una luce che, pur con significative eccezioni, vedo affievolirsi progressivamente generazione dopo generazione, sotto i colpi feroci di una consapevole e sistematica distruzione del sistema scolastico e della cultura in senso lato. Con l’aggravante che, se mia nonna e i suoi coetanei sapevano riconoscere ammirati l’autorevolezza del sapere, e fare un passo indietro rispetto a chi aveva avuto il privilegio e la capacità di studiare, ora la nostra arroganza sembra inversamente proporzionale alla nostra conoscenza: meno sappiamo e tanto più ci sentiamo autorizzati a pontificare, dissertare, mettere in dubbio. È il paradosso tutto contemporaneo della democratizzazione illusoria del sapere: tutti hanno accesso alle informazioni, ma sempre meno persone le sanno utilizzare, e chi meno sa, spesso crede di sapere di più. Tutti tuttologi col web.

Mi fa mettere in discussione tante cose di me, questa crisi sanitaria globale che fino a pochi mesi fa nessuno avrebbe saputo immaginare. Getta una luce nuova sulle mie e sulle nostre debolezze. Ma regala a tutti noi anche la possibilità di mostrare, assieme al nostro peggio, le qualità fondanti della stessa condizione umana: la solidarietà, l’empatia, l’abnegazione, in qualche caso addirittura l’eroismo. Spero che non risulti, alla fine, l’ennesima occasione persa per ripensare il nostro stile di vita e il nostro stesso modo di essere.

4 Marzo 2020 2 Commenti
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life

Breve storia dei miei disturbi alimentari

by Silvana Santo - Una mamma green 29 Novembre 2019

Ricordo distintamente il giorno in cui decisi, con una sicurezza che di rado avevo conosciuto nei primi 16 anni della mia vita, che sarei diventata una “persona magra”. Era sera, in realtà. Una delle ultime sere d’autunno, erano già cominciate le vacanze scolastiche di Natale. Presi la mia decisione e, semplicemente, la attuai. Con una ostinazione che in fondo mi appartiene, ma che in quel caso (lo avrei saputo ammettere solo molto tempo dopo) aveva in sé qualcosa di patologico.

Quella sera, e tutte le sere di vacanza successive, dissi a mia madre che avrei cenato a casa degli amici che a turno organizzavano sessioni di giochi di società, tombola e carte. A quegli stessi amici dicevo che avevo già mangiato a casa, rifiutando senza rimpianto i dolci natalizi che avevo sempre adorato (e che avrei adorato per tutta la vita). Cancellare la prima colazione dalla mia routine quotidiana fu un passo semplice, bastava raccontare di aver esagerato la sera prima. Non avevo mai mentito, prima di allora. E raramente lo avrei fatto dopo. Ma la forza del mio proposito non lasciava spazio all’esitazione, al dubbio, al senso di colpa.

A pranzo presi a giocare col cibo, a nasconderlo nei tovaglioli di carta (qualche volta anche nelle guance) e disfarmene il prima possibile. Lo gettavo nel gabinetto, fuori dalla finestra, nei giardini sotto casa. Non ricordo mal di pancia, capogiri o stanchezza. Solo la crescente serenità nel guardare allo specchio un corpo che diventava sempre più asciutto, più liscio, più spigoloso. Non ero particolarmente in sovrappeso, all’inizio di questo processo, ma alla fine arrivai a pesare intorno ai 40 chili.

Pesavo 40 chili e mi sentivo a posto. Esattamente come dovevo essere. Non era una questione estetica, non sentivo che la magrezza mi rendesse “più bella”. Portare in giro il mio corpo magro era piuttosto – ma questa è una consapevolezza che ho raggiunto ex post – un modo per distinguermi e affermare me stessa. Per smettere di essere “una persona tra le tante”. In un paradosso neanche poi così originale, assottigliarmi serviva a rendermi più visibile. Speciale. Unica. Nella mia adolescenza atipica, del tutto priva di colpi di testa, ribellioni, anticonformismi, l’anoressia diventò il sentiero da percorrere per non scomparire. Per mostrare al mondo qualcosa. Per mostrare me stessa.

Ricordo la preoccupazione crescente nella mia famiglia. Il tentativo maldestro della cara prof di Scienze, che mi prese da parte per chiedermi se al di là dei miei successi scolastici avessi una vita decente: degli amici, un ragazzo, una comitiva. E io, che tutte queste cose ce le avevo, non capivo quale fosse il punto. Ricordo la totale assenza di empatia di un’altra docente, che mi guardò con malcelato ribrezzo e mi domandò se a casa mi dessero da mangiare. Ricordo un’amica che invidiava la mia taglia 36, e faceva a gara con me a pesare sempre meno. Ricordo mia madre. Mia madre con gli occhi pieni di angoscia ma ancora più di incredulità, che mi serviva piatti enormi e calorici giorno dopo giorno, incapace di rassegnarsi al fatto che non li avrei mangiati.

Ricordo che la sola possibile reazione a qualsiasi commento era sempre la stessa: rafforzare la mia determinazione a non mangiare. Sentirmi dire che ero troppo magra non faceva che convincermi di essere sulla strada giusta. E se qualcuno, invece, sentenziava pietosamente che ora finalmente “ero in forma”, il mio cervello concludeva che evidentemente, allora, non ero ancora abbastanza magra.

Perché forse c’è poco da dire a una persona che convive con un disturbo alimentare. Ogni consiglio, ogni appello, ogni raccomandazione rischia di essere addirittura controproducente. Forse tutto quello che si può fare è esserci, dare amore, dare fiducia. Aspettando e sperando che trovi la forza in sé di liberarsi.

Io a un certo punto ho ripreso a mangiare. Perché l’ho deciso io, senza neanche dirmelo ad alta voce (a differenza della scelta inversa). Eppure una parte di me è rimasta a vent’anni fa, e rimpiange quelle scapole sporgenti e quelle anche in bella vista. Perché ci sono fantasmi che in fondo non passano mai oltre, e alla fine la cosa migliore è farci amicizia, perdonarli, convincerli con le buone che non possono tracciare sempre loro la rotta. Serve tempo, forza, pazienza, un po’ di fortuna. E serve che chi ti ama capisca anche quello che non può capire. Che chi ama te impari ad amare un pochino anche i tuoi fantasmi custodi.

Questo serve, più di tutto. Amore.

29 Novembre 2019 3 Commenti
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prevenire le ragadi al seno
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Come evitare le ragadi al seno

by Silvana Santo - Una mamma green 19 Giugno 2019

Come evitare le ragadi al seno? Se lo chiedono molte mamme in attesa, magari preoccupate (per non dire terrorizzate) dai racconti splatter generosamente elargiti da conoscenti più o meno fresche di allattamento al seno. Prima che nascesse il mio primogenito, per esempio, ricordo bene di essere stata spesso intrattenuta con storie più o meno cruente e di essere stata incoraggiata al grido di “tanto le ragadi, all’inizio, sono inevitabili”. La verità però è un’altra, ed è che è possibile allattare senza soffrire. Ed evitare le ragadi si può, seguendo qualche accorgimento.

Le ragadi sono delle lesioni della pelle che si possono manifestare nell’area del capezzolo e dell’areola (la parte scura attorno al capezzolo) durante l’allattamento. La loro gravità può variare, ma in ogni caso si rivelano molto dolorose per la mamma, tanto da rendere talvolta insostenibile il proseguimento dell’allattamento al seno. Premesso che non sono un’addetta ai lavori, ma ho allattato due figli per quasi 4 anni complessivi, ecco alcuni consigli utili per evitare la comparsa di ragadi al seno durante l’allattamento.

Trovare una posizione comoda

Prima della poppata, è importante sistemarsi in una posizione comoda, che consenta di restare a proprio agio per tutto il tempo necessario, senza stancarsi né provare tensione in alcuna parte del corpo. Per evitare le ragadi al seno, è importante, inoltre, che la madre non assuma una postura “chinata” per permettere l’attacco del bambino, ma che, al contrario, avvicini il piccolo al proprio corpo, sostenendolo nel modo migliore. Si può allattare comodamente da straiate, soprattutto di notte, oppure sfruttare il supporto di un cuscino da allattamento, che permetta di mantenere una posizione di comodità e di sicurezza per la mamma e per il bambino. Il mio consiglio è di scegliere un cuscino multifunzione, che possa essere utilizzato non solo per allattare, ma anche come supporto durante la gravidanza e, dopo i primi mesi di vita, come sostegno per il bambino durante il gioco.

evitare le ragadi al seno cuscino allattamento

Come evitare le ragadi al seno: l’attacco corretto

Un’altra cosa fondamentale per evitare le ragadi al seno durante l’allattamento è assicurarsi che il neonato si attacchi in modo corretto. Prima di tutto, il bimbo dovrebbe essere posizionato con la schiena, il collo e la testa allineati, con il mento verso l’alto e il naso che “punta” verso il seno materno. La bocca del poppante, inoltre, deve accogliere l’intera areola o gran parte di essa, in modo che l’attacco sia corretto e la suzione sia efficace. In caso contrario, non solo sarà difficile per lui succhiare la giusta quantità di latte, ma l’allattamento sarà doloroso, il seno potrebbe non essere svuotato a sufficienza (con il rischio di ingorghi e mastite) e potrebbero comparire, appunto, le fastidiose ragadi.

Chiedere aiuto, se necessario

Non sempre è così facile favorire il corretto attacco del bambino al seno, o verificare che effettivamente tutto stia andando per il meglio. Per evitare le ragadi al seno, è utile rivolgersi a una consulente o una ostetrica esperta in tema di allattamento al seno, che potrà appunto monitorare la situazione e verificare che la poppata avvenga nel modo corretto, correggendo l’attacco qualora ce ne fosse bisogno. Anche in assenza di lesioni, se la suzione risulta molto dolorosa è consigliabile rivolgersi a un’esperta, perché in condizioni normali allattare non dovrebbe risultare doloroso per la mamma (può invece essere fisiologico provare un certo fastidio o una specie di tensione nei primi secondi della poppata, specie nelle prime settimane di allattamento).

Allattare a richiesta

Allattare a richiesta permette al seno di tarare la produzione di latte sulle effettive necessità del lattante, che riuscirà di conseguenza a drenare il seno in maniera efficace. In questo modo, si potranno evitare tensioni e ingorghi che possono rendere l’attacco più complicato e favorire la comparsa delle ragadi al seno. Se il seno risulta troppo gonfio o teso al momento della poppata, è bene svuotarlo un poco manualmente prima di porgerlo al bimbo, in modo che possa attaccarsi correttamente.

Prendersi cura della propria pelle

Specialmente in una primipara, le prime settimane di allattamento possono risultare comunque “stressanti” per la pelle delicata del seno, anche quando l’attacco del neonato è corretto e le poppate si succedono senza inconvenienti. Per evitare le ragadi al seno, possono essere utili alcuni accorgimenti quotidiani nella cura del proprio corpo: non lavare il seno con detergenti aggressivi (basta un po’ di acqua tiepida); lasciare se possibile i capezzoli scoperti almeno per qualche minuto dopo ogni poppata; indossare biancheria intima di cotone, morbida e traspirante; applicare sui capezzoli qualche goccia del proprio latte (ha proprietà disinfettanti e cicatrizzanti); utilizzare coppette assorbilatte lavabili, in fibra naturale in silicone, o comunque sostituirle spesso per scongiurare infezioni e ristagno di umidità; indossare, tra una poppata e l’altra, dei paracapezzoli in argento, che vantano proprietà antibatteriche e favoriscono la cicatrizzazione, senza rilasciare sostanze pericolose per il bimbo né odori che possano infastidirlo.

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Occhio all’anatomia!

Se le poppate risultano frustranti e dolorose anche dopo aver adottato ogni accorgimento possibile, è bene controllare che non sussistano particolari condizioni anatomiche che possono complicare in qualche modo l’allattamento, come il capezzolo piatto o il frenulo linguale corto nel neonato. Anche in questo caso, il consiglio è di rivolgervi a una consulente in allattamento (le trovate sul sito IBCLC o su quello de La Leche League) o a una ostetrica di comprovata esperienza in materia.

Post in collaborazione con Koala Babycare, azienda che produce articoli di puericultura pensati per favorire l’allattamento al seno, come il cuscino da allattamento Koala Hugs (multifunzione, completamente sfoderabile, rivestito in 100% cotone) e i paracapezzoli d’argento, con proprietà antibatteriche e cicatrizzanti.

19 Giugno 2019 2 Commenti
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Mamma e papà: diversi, ma uguali

by Silvana Santo - Una mamma green 8 Gennaio 2019

Mamma e papà non sono identici, ma sono equivalenti. Sono distinti da una intima naturale unicità, eppure sono alla pari. Mamma e papà sono due persone diverse tra loro, non solo e non tanto perché sono una femmina e un maschio, ma perché non esistono, nell’intero universo, due individui che possano essere definiti “uguali”. È questo, il messaggio che cerchiamo di far passare ai nostri figli: non sono mamma e papà a essere identici, sovrapponibili, intercambiabili. Quello che “è uguale” è l’amore che portano verso i propri figli, e l’impegno, condiviso, che spendono ogni giorno per aiutarli a diventare grandi.

Mamma e papà contribuiscono entrambi al bilancio familiare. Ciascuno secondo le proprie attitudini e capacità, e anche in base alle opportunità che la vita gli ha messo dinanzi. Ma entrambi lavorano, cercano una realizzazione anche al di là dei figli e della casa, entrambi guadagnano soldi che, al di là della provenienza, appartengono a tutta la famiglia e verranno spesi per le esigenze di tutta la famiglia.

Mamma e papà si occupano insieme dei loro figli. Non per forza in “dosi” quantitativamente identiche, e non sempre con lo stesso registro e la stessa attitudine, dal momento che sono due persone diverse, con un vissuto e un carattere del tutto personali. Mamma e papà giocano coi loro figli, li accudiscono, leggono per loro, li accompagnano al parco, dal dottore, dai nonni, li aiutano a lavarsi e vestirsi, li portano a scuola e da scuola li riprendono. Li mettono a letto la sera. Con modalità diverse e tempi diversi, ma lo fanno entrambi, insieme, ogni giorno.

Mamma e papà cercano di fare, insieme, le faccende domestiche, di accudire il gatto di casa, di occuparsi delle questioni burocratiche e amministrative che ogni famiglia deve fronteggiare. Ciascuno di loro ha le proprie incombenze, a volte uno dei due vacilla e l’altro cerca di sopperire. Entrambi annaspano, inseguono scadenze in permanente affanno. Cercando di fare fronte comune di fronte alle fatiche della vita adulta.

Mamma e papà organizzano insieme le vacanze, prendono insieme le decisioni che riguardano la famiglia, cercano in qualche modo di rubare del tempo personale per ciascuno dei due. Provano a mettere la propria famiglia sempre davanti a tutto, anche se non sempre ci riescono.

Mamma e papà sanno di non avere ancora raggiunto una suddivisione dei compiti del tutto equa e soddisfacente per entrambi. A volte la mamma si lamenta per le troppe cose che, soprattutto a livello di programmazione e di carico mentale, ancora le sembrano suo appannaggio esclusivo. Altre volte è il papà a sentirsi frustrato, perché sente di fare davvero l’impossibile, e di aver rivoluzionato drasticamente il suo modo di vivere, eppure viene esortato (non sempre gentilmente) a fare ancora di più. Come se i suoi sforzi non bastassero mai.

Mamma e papà sanno che la strada verso la condivisione è ancora lunga, e mai sarà priva di compromessi, passi falsi e strettoie. Ma sanno che i loro figli cresceranno con la certezza che i loro genitori – diversi, unici, non intercambiabili – sono entrambi coinvolti a piene mani nel difficile e meraviglioso compito di accompagnarli nel mondo.

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Post in collaborazione con le mousse intime Claro Soft e Claro Man, prodotte in Italia con il 95% di ingredienti naturali e dermatologicamente testati. Claro Soft, perfetta per l’igiene intima femminile, ha proprietà lenitive, rinfrescanti ed antibatteriche, grazie a Malva e Aloe, nonché idratanti ed emollienti, grazie all’Olio di jojoba (a casa nostra la usa volentieri anche Flavia!). Per l’igiene intima maschile, invece, c’è Claro Man, che a Malva, Aloe e Olio di jojoba unisce l’azione energizzante del ginseng.

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Se volete provare anche voi Claro Soft e Claro Man, trovate sia in farmacia che su Amazon entrambe le versioni.

8 Gennaio 2019 2 Commenti
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Come mi prendo cura del mio corpo, dopo due gravidanze

by Silvana Santo - Una mamma green 9 Novembre 2018

Il mio corpo, dopo due gravidanze, non è più soltanto mio. È stato abitato dai miei figli, e non è più soltanto mio. Non solo perché qualcuno lo ha conosciuto dall’interno, ha dischiuso il suo centro e lo ha colmato di una presenza destinata a riempirlo per molto più che 40 settimane, una presenza che non se ne andrà mai più. Ma perché da quel corpo, adesso, “dipende” in qualche modo il benessere di due bambini ancora piccoli. Prendermi cura del mio corpo dopo due gravidanze è diventata una precisa responsabilità, anche per me che non sono mai stata molto costante né attenta nel fare attenzione a me stessa. Voglio stare bene, voglio sentirmi bene. Dentro e fuori, a cominciare dalle piccole cose. Voglio fare quanto in mio potere perché i miei figli abbiano accanto a loro una madre in salute e in forma, e che si sente a proprio agio nel mondo difficile in cui è chiamata ad accompagnarli. E nel suo corpo, dopo due gravidanze.

Prodotti naturali

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Il mio è stato un percorso di consapevolezza lungo e non sempre facile, e che di certo non è ancora concluso. Un percorso pieno di curve, di salite, di vicoli ciechi. Ho cominciato forse dalle cose più semplici: completare la transizione verso i cosmetici e i detergenti naturali, riducendo il mio pochi prodotti ma con caratteristiche per me importanti. Ingredienti di derivazione vegetale, profumazioni neutre o leggerissime, composizione semplice, magari made in Italy. Soprattutto per quanto riguarda i prodotti per il viso e il detergente intimo naturale, che è diventato imprescindibile dopo due gravidanze e due parti, seppur cesarei (il mio corpo non tollera più i classici detergenti né alcun tipo di assorbente esterno). Ora sto provando, ricavandone grande confort e soddisfazione, Claro Soft, una mousse intima sofficissima e dermatologicamente testata, con ingredienti naturali al 95% tra cui Malva, Aloe, Olio di jojoba, idratante e prodotto in Italia. La scelta di prodotti naturali che mi convincono davvero, selezionati con cura e pieni di sostanze attive e funzionali – pochi prodotti, ma “buoni”, insomma – mi ha aiutato a stabilire una routine di cura del corpo che prima delle due gravidanze non ero mai riuscita a mantenere. Pochi gesti quotidiani (crema per le mani, balsamo labbra, crema viso ecobio, e appunto un detergente intimo naturale) e qualche piccola liturgia settimanale: maschera per i capelli, scrub con sale marino, depilazione. Anche per il trucco, che non è mai stata una mia abitudine, ho adottato la stessa strategia: ho ridotto considerevolmente la mia trusse, limitandola a pochi prodotti passe-partout e versatili, tutti naturali ed ecologici. Il che ha reso più istintivo e gradevole il gesto giornaliero di applicare correttore e mascara.

Il mio corpo dopo due gravidanze: la palestra

Il resto, devo ammettere, è stato più complicato. Ho provato ad allenarmi in casa, seguendo quei programmi giornalieri di coaching. Mi sono ripromessa di andare a correre, di comprare una bici nuova. Ma non ha funzionato. Così, per riuscire a prendermi cura del mio corpo dopo due gravidanze, ho imposto a me stessa la decisione di iscrivermi in palestra, individuando una situazione che fosse realisticamente sostenibile. Ho scelto una struttura vicino casa mia e ho fatto un abbonamento annuale, in modo da risparmiare molto sul canone mensile e, soprattutto, sentirmi “obbligata” a non mollare. Niente attrezzi, per me, ma un corso mattutino di gruppo: la compagnia, la musica e soprattutto la mia bravissima istruttrice Antonella mi hanno convinto a continuare, tanto che ormai da un anno e mezzo, pur senza stress, mi alleno abbastanza regolarmente. E i risultati, in termini di benessere e resistenza fisica, si sentono tanto.

La dieta

Questo è stato un passaggio ancora più difficile. Il mio rapporto col cibo non è mai stato del tutto sano. Sono molto golosa, incline alle dipendenze e con tratti compulsivi. Ma da adolescente ho avuto problemi alimentari. Il mio corpo, dopo due gravidanze, ha subito le conseguenze dei contraccolpi ormonali e dei lunghi anni di allattamento: un metabolismo ballerino, una forzata astinenza dal vino e dalla birra (che quando si è interrotta ha lasciato il segno) e una continua altalena sulla bilancia. Poi, a un tratto, ho deciso che avrei fatto sul serio. Negli ultimi mesi ho preso in mano la mia dieta e ho eliminato cibo spazzatura, grassi, snack confezionati e simili. Ho incrementato frutta, verdura e legumi, ho ridotto i carboidrati, gli alcolici e introdotto la colazione salata. Sto perdendo i chili di troppo e, soprattutto, mi sento meglio nel mio corpo dopo due gravidanze. Fuori e dentro. L’equilibrio interiore resta la sfida più difficile. La più faticosa, la più impegnativa. Ma di questo, magari, vi parlo un’altra volta.

Il mio corpo, dopo due gravidanze, non è più quello di una volta, e mai lo più lo sarà. Non mi piace come prima, ma gli voglio più bene. Gli devo tanto. E sento che è davvero importante prendermene cura al meglio, rispettarlo, trattarlo nel migliore dei modi. Custodirlo con gratitudine e con tenerezza.cropo dopo due gravidanze

Post in collaborazione con Claro Soft, una delicatissima mousse detergente intima naturale con il 95% di ingredienti naturali, dermatologicamente testata e made in Italy. Ha proprietà lenitive, rinfrescanti ed antibatteriche, grazie a Malva e Aloe, nonché idratanti ed emollienti, grazie all’Olio di jojoba. Se volete provarlo anche voi, lo trovate sia in farmacia che su Amazon. Per l’igiene intima maschile, invece, c’è Claro Man, con azione energizzante grazie al ginseng (ma vi dirò qualcosa di più nei prossimi giorni!).

 

9 Novembre 2018 1 Commenti
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La vitamina D, il sole e le mamme

by Silvana Santo - Una mamma green 15 Giugno 2018

Ero proprio smemorata. Lo è stato con entrambi i miei figli. Una volta su tre dimenticavo di dare loro la vitamina D che mi aveva prescritto il pediatra. Mi consolavo dicendomi che viviamo in un posto assolato, e che passavamo molto tempo all’aperto. Ma il pediatra insisteva, e la verità è che aveva perfettamente ragione. La carenza di vitamina D nei bambini, anche alle nostre latitudini, è una condizione che non andrebbe trascurata, e non solo nei primi mesi di vita. La verità è che noi mamme non siamo perfette, che non lo sono i nostri compagni e men che meno le nostre vite. Per cui capita, ogni tanto, di trascurare qualcosa, o di sottovalutarla.

In tema di vitamina D, è vero che il sole ha un ruolo fondamentale: circa l’80% del fabbisogno giornaliero di questa sostanza può essere coperto con l’esposizione al sole, che permette all’organismo di sintetizzare appunto la vitamina D. La quota restante, spiegano gli esperti, va assunta con la dieta. I pesci grassi (salmone, pesce azzurro, trota), il succo d’arancia, i prodotti caseari, le uova e il latte sono alimenti che contengono questa sostanza e aiutano a prevenire carenze di vitamina D nei bambini. Va però aggiunto che la dieta da sola non sempre riesce a coprire tutto il fabbisogno di vitamina D, per cui può essere necessario un adeguato integratore.

carenza di vitamina dLa cosa importante, in ogni caso, è tenere a mente i sintomi di una possibile ipovitaminosi, anche se va detto che non sono sempre così specifici e facili da individuare. Un campanello d’allarme precoce per individuare una carenza di vitamina D nei bambini può essere l’eccesso di sudorazione, soprattutto a livello del capo. Non è semplice riconoscere i campanelli d’allarme (quanti bimbi attraversano fisiologicamente dei periodi in cui appaiono più spossati o nervosi?), né è il caso di allarmarsi più del necessario, ma è consigliabile consultare il pediatra in caso di dubbi o preoccupazioni. Sarà il medico, qualora dovesse ritenerlo necessario, a indicare i controlli del caso e a fare l’eventuale diagnosi. Di certo, questi campanelli d’allarme non vanno sottovalutati.
Quello che però è certo è che molti bambini presentano una carenza di vitamina D e che nei bambini si traduce in un minore sviluppo dell’apparato osseo, muscolare e immunitario. Per dirla semplice, in bimbi meno sani e forti.

L’unica cosa da fare, come per tutte le questioni legate alla salute, è fare riferimento ai consigli del pediatra e parlare con lui in caso di dubbi, sintomi sospetti o preoccupazioni particolari. Sarà lui, qualora fosse necessario, a consigliare la terapia di integrazione corretta. E godersi il più possibile il sole, in ogni stagione dell’anno e con tutte le temperature (seguendo ovviamente i necessari accorgimenti per proteggere dai raggi ultravioletti i più piccoli e non solo loro).

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Tutto il bello del sole (per i bimbi e per le mamme)

by Silvana Santo - Una mamma green 19 Aprile 2018

Essere madre è più facile, quando c’è il sole. A me, almeno, sembra che lo sia. Perché il sole migliora la giornata, migliora l’umore, migliora la salute. Migliora la qualità della vita. E se questo vale per tutti, è tanto più vero se hai dei figli, e se questi figli sono piccoli. Avete presente, no? I lunghi inverni oscuri e umidi, i pomeriggi interminabili quando fuori piove, i malanni di stagione che si susseguono senza soluzione di continuità. Ma il sole, alla fine, arriva, arriva sempre. E spazza via il malumore e la stanchezza. Più o meno.

È una delle (poche) cose che amo davvero del posto in cui vivo: poter godere di tanto sole per gran parte dell’anno, guardare i miei figli dorati e coloriti da aprile a ottobre, poter vivere all’aperto e godere. Non si tratta soltanto di passare più tempo fuori, di giocare in modo più sano e divertente. È proprio che il sole fa bene. Ai bambini e alle loro mamme. I miei figli, per esempio, li trasforma radicalmente. Al sole sono più sorridenti, meno propensi a litigare, meglio disposti verso il mondo. Il sole li rende anche più attivi, ma in modo sano, coerente. Decisamente meno isterico di quando siamo chiusi in casa col cielo grigio che incombe sulle nostre finestre.

Sole e vitamina D

Al di là della mia esperienza, che comunque non penso sia così insolita, stare al sole è utile alle neomamme, perché migliora l’umore e accelera la ripresa dal parto. E fa bene ai bambini per lo sviluppo. Anche il pediatra mi ha consigliato di passare più tempo al sole perché permette di sintetizzare la vitamina D3, una sostanza molto importante per dare robustezza alle ossa, ai muscoli, ai denti e non solo. In seguito all’esposizione al sole, la nostra pelle produce appunto questa molecola, che può invece risultare carente se si conduce uno stile di vita troppo sedentario e al chiuso (anche, per quanto possa sembrare paradossale, se si vive in un posto “assolato” come l’Italia).

Meteoropatia a parte, il sole è davvero necessario per il nostro benessere. Se vissuto con criterio e con le dovute cautele, fa bene alle mamme, ai papà e ai loro bambini. Fa bene a me, soprattutto.

sole vitamina D bambini

 

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19 Aprile 2018 3 Commenti
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