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salute

rimedi naturali

Coliche del neonato: rimedi naturali e altre amenità – parte prima

by Silvana Santo - Una mamma green 7 Ottobre 2013

Storia di un bambino con le coliche e dei tre mesi più lunghi della mia vita

Immaginate una sirena assordante che ulula senza sosta giorno e notte. Uaaaaaaaaaa. Uaaaaaa. Per settimane. Dentro casa vostra. Uaaaaaa. Uaaaaaaaaaaaaaaa. Immaginate che tutti si aspettino che siate voi a zittire quel suono incessante, ma che in realtà non possiate fare assolutamente nulla per metterlo a tacere. Uaaaaaaaaaaaaaaa. Uaaaaaaaa. Immaginate che quella sirena sia in realtà un disperato grido di dolore proveniente da vostro figlio appena nato, che provochi conati di vomito, raucedine, sudori freddi e un’ernia ombelicale grande quanto un ovetto di cioccolata. Uaaaaaaaaaa. E che voi siate una puerpera di fresco cesarizzata (o episiotomizzata, cambia poco), con i seni dolenti e gli ormoni fuori controllo, e che ogni volta che vostro figlio piange l’ossitocina che avete in corpo vi faccia contrarre dolorosamente l’utero e le mammelle, inondando la vostra biancheria intima di umori imbarazzanti di varia natura. Immaginate che il vostro cervello, già a corto di sonno e di zuccheri da ossidare, finisca col sentire quel pianto insopportabile anche quando gli dei dell’Olimpo concedono a vostro figlio – e a voi – un’ora di requie. Immaginate. Fatto? Bene.

Ora immaginate una situazione dieci volte più angosciante di quella che avete appena immaginato: inizierete a capire vagamente cosa significhi avere a che fare con un bambino affetto dal disturbo che qualche buontempone evidentemente senza figli ha classificato come “colichette gassose del neonato”. Nessuno si sognerebbe di dire «Ho le emorroidine a grappoletti», o di raccontare che sua zia soffre di «fuocherello di Sant’Antonino», allora non vedo perché una roba così straziante vada chiamata “colichette”. E poi, a parte il Napalm e il Zyklon B, dubito che un gas possa realmente provocare tanta sofferenza. Neanche Al Gore quando pensa all’anidride carbonica si sente afflitto in modo così irrimediabile. Per dirla tutta, io non sono neanche convinta che lo psicodramma che abbiamo vissuto nei primi tre mesi di vita di BigD sia legato davvero a un qualche feroce mal di pancia. Secondo me i pianti e la disperazione c’entrano maggiormente con la fatica di adattarsi a una vita extrauterina cui si arriva sempre impreparati, oltre che alla tremenda ingiustizia della difficoltà di comunicazione che si instaura quasi inevitabilmente tra una donna e il bambino che fino a poco fa abitava nel suo ventre.

Ma tant’è. Le chiameremo coliche gassose perché così la maggioranza dei pediatri le definisce, pur ammettendo che le cause del “fenomeno” restano sostanzialmente sconosciute. Come fare a capire se siete tra i fortunati che dovranno affrontare il problema? Di solito iniziate a sospettarlo perché il vostro fagottino, che – a parte lo sguardo vacuo, la peluria sulle orecchie e una vaga somiglianza con la prozia Mariuccia – sembrava normale fino al giorno prima, a qualche settimana dalla nascita inizia a dilettarvi con crisi improvvise di pianto, forte e prolungato, che possono durare anche diverse ore. Oltre a urlare a più non posso, in genere la povera creatura stringe i pugni, porta le gambe al petto, serra gli occhi e spinge la punta della lingua verso l’alto, come una lucertola cui un ragazzino sadico sta staccando la coda. Mio figlio, come ho anticipato, si ricopriva di sudore ghiacciato, tentava di cavarsi gli occhi con le unghie che non sapevo ancora tagliargli (non che ora sia esperta in manicure neonatale, eh…) e attraversava vere e proprie crisi di apnea. In teoria, gli attacchi sono più frequenti nelle ore serali, ma – esperienza personale – possono presentarsi in qualunque momento della giornata, senza alcun preavviso.

La cattiva notizia (perché ce ne sono anche di buone, ma ve le dico alla fine) è che una cura vera e propria non esiste. Anzi, nel caso di BigD i farmaci si sono rivelati del tutto inefficaci, nonostante si trattasse di sostanze che sulla carta avrebbero potuto stroncare un toro (gocce a base di bromuro, per dire). Esiste però una certa “letteratura” di rimedi naturali per le coliche del neonato. Che magari sugli altri bambini possono sortire qualche effetto degno di questo nome. Per prima cosa, si può tentare di intervenire sull’alimentazione del bambino. Ai bambini nutriti col latte artificiale si possono somministrare dei tipi di latte formulati appositamente per ridurre la formazione di gas intestinali. Sull’efficacia di questi latti speciali ne so davvero poco, perché BigD è sempre stato allattato esclusivamente al seno. Ragione per cui ho eliminato dalla mia dieta un numero sempre maggiore di alimenti, dai latticini ai legumi, dal cioccolato alle verdure a foglia larga. Davide ha continuato a disperarsi (perché in realtà non ci sono evidenze scientifiche del legame tra dieta materna e mal di pancia del bebè), ma almeno io ho perso i chili della gravidanza.

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7 Ottobre 2013 4 Commenti
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gravidanza e partointervistesvezzamento

Gravidanza e svezzamento vegetariano: intervista doppia

by Silvana Santo - Una mamma green 24 Settembre 2013

vegetali3Portare avanti una gravidanza seguendo una dieta vegetariana: una opzione come un’altra o una imperdonabile imprudenza? E svezzare un bambino senza fargli mangiare derivati animali rappresenta una follia o un atto d’amore? Un tema quanto mai delicato, che, ancora di più di quello dell’acqua del rubinetto per i neonati, si presta ad interpretazioni in (aspro) contrasto tra loro.

Io, per salute e per greenità, seguo da anni un’alimentazione a ridotto contenuto di proteine animali, ma non mi sono mai decisa a fare il salto verso il vegetarianesimo (per ragioni di varia natura di cui prima o poi scriverò), anche se non escludo di completare la conversione, prima o poi. Anche per BigD, allora, ho deciso di procedere con uno svezzamento tradizionale, proponendogli, nelle pappe che preparo personalmente per lui, tutti gli alimenti, ma cercando di non abusare nel consumo di carne e latticini (per quanto riguarda il latte, invece, viene allattato al seno da quando è nato).

In questa sede non voglio raccogliere pareri medici, confrontare ipotesi scientifiche o suggerire presunte verità. Ho deciso però di raccontarvi l’esperienza di due famiglie diverse, intervistando due amiche, Alessia e Marzia, la prima di Torino e la seconda di Roma. Entrambe mamme, ed entrambe approdate all’alimentazione vegana dopo anni di vegetarianesimo. Noterete molti tratti in comune e qualche differenza, alcuni compromessi e, senza dubbio, lo stesso amore per i propri figli e per il mondo che lasceranno loro in consegna quando saranno cresciuti.

Ringraziandole tanto, non solo per il loro aiuto ma anche per la sensibilità ambientale con cui stanno crescendo i loro bambini, ecco dunque l’intervista doppia:

vegetali1MammaGreen: Da quanto tempo sei vegetariana/vegana?

Alessia: Vegetariana da 11 anni e senza compromessi. Vegana da meno di un anno, ma in maniera “elastica”: tutte le volte che posso scegliere o cucino io.
Marzia: Vegetariana da vent’anni (con qualche ripensamento di breve periodo nel corso del tempo) e vegana da un anno, con il supporto della Dottoressa Michela Troiani esperta in regimi dietetici cruelty free. Sono diventata vegana anche per abbassare i livelli di colesterolo decisamente troppo alti.

MammaGreen: Hai seguito questo tipo di alimentazione anche durante la gravidanza e l’allattamento?

Alessia: Si, come vegetariana.
Marzia: No, la mia ginecologa era contraria e ho avuto paura a far da sola nonostante non avessi nessuna carenza di ferro. Era la mia prima gravidanza e mi sentivo insicura. Tornassi indietro agirei diversamente e mangerei vegetariano.

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24 Settembre 2013 4 Commenti
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rimedi naturali

Rimedi naturali per i disturbi della dentizione

by Silvana Santo - Una mamma green 9 Settembre 2013

Bava dal pH acido, emorragie orali, improvvisi scoppi di urla belluine. Non sono gli effetti speciali di un nuovo remake de L’Esorcista, ma alcuni dei fastidi associati alla dentizione umana. Wikipedia la definisce come il “processo di sviluppo e collocazione dei denti all’interno del cavo orale degli animali vertebrati”, ma qualunque madre (e padre) sa bene che si tratta di un interminabile periodo in cui il proprio trottolino amoroso si trasforma in un esserino viscido di saliva, dolorante, insofferente, inappetente (non mio figlio, lui piuttosto che digiunare si incatena per protesta alla casina della api) e tutta una serie di altri aggettivi terminanti in -ente che lo rendono in pratica iperattivo e insopportabile. Possibilità di prevedere durata e severità dei sintomi non ce ne sono, e rimedi definitivi, in buona sostanza, non esistono, anche se l’industria farmaceutica propone pomate gengivali e altri preparati sulla cui efficacia mi permetto di esprimere non pochi dubbi. Restano i classici antidolorifici, certo, ma per chi volesse ricorrere il meno possibile all’uso di farmaci sono disponibili dei rimedi naturali per alleviare i problemi legati all’eruzione dei dentini? Ecco qualche spunto.

Il primo, istintivo, naturale sistema per dare un po’ di sollievo alle gengive infiammate, i bambini lo trovano da soli: ficcarsi le mani in bocca (nonché i piedi, i giocattoli, il bavaglino, il mento-le dita-il naso o qualunque-altra-parte-del-corpo della madre, la coda del gatto, etc. Ma sto divagando) e serrare più forte che possono. Il mio consiglio, pertanto, è: tacitare i soliti parenti, amici e conoscenti prodighi di consigli impagabili (“Via quelle mani dalla bocca!” “Non si farà male??” “Gli verrà la stomatite. O forse l’Ebola…”) e lasciarli fare. Lavandogli magari le manine più spesso.

Un surrogato del rimedio-fai-da-te è rappresentato da quei fantastici oggetti in vendita nelle sanitarie (a prezzi da prosciutto di Parma) chiamati anelli per la dentizione. In pratica, sono affarini tutti colorati e dalle forme improbabili – ci sono gli “anelli”, certo, ma anche le mele, le ciliegie, i cagnolini e svariate altre versioni talvolta più simili a dei sex toys che a un prodotto per la prima infanzia – da tenere in frigo e da proporre al piccolo sdentato perché, rosicchiandoli, trovi un fresco conforto alle sue pene gengivali. Oltre ai classici prodotti in plastica disponibili nelle farmacie e nei negozi per bambini, è possibile orientarsi verso alternative ecologiche, vendute in negozi specializzati o da mamme artigiane presenti sul web, e realizzate di solito in legno non trattato, stoffa o caucciù (ma accertatevi sempre che la provenienza dei materiali sia nota e che non ci siano piccole parti che possano essere ingerite dal neonato). Non so quanto successo riscuotano presso il neonato medio questi cosi, ma quello che vive a casa mia non è precisamente un fan dell’articolo: in sostanza, dopo averli agguantati con ingannevole curiosità, li azzanna, si rende conto che non è roba commestibile e li scaglia con la foga di un lanciatore del peso contro l’essere semovente a lui più prossimo. L’intifada degli anelli per la dentizione.

Se poi ci addentriamo nel sempre sorprendente mondo dei rimedi alternativi, le possibilità aumentano. Una soluzione molto quotata presso un certo target di famiglie nord europee (che per comodità chiameremo “fricchettoni di seconda generazione”) consiste in una collana d’ambra che, appesa al collo del bambino, dovrebbe rilasciare un blando analgesico naturale e agire sul campo elettromagnetico intorno al suo corpo, riuscendo in qualche modo a lenire le sue sofferenze. A parte che, ma è solo una mia supposizione, Davide preferirebbe essere incatenato – digiuno – alla casina delle api piuttosto che portare una collana al collo, l’idea di addobbare mio figlio settemesenne con dei monili di pietra non è esattamente la prima cosa che mi passa per la testa quando mi sveglio al mattino. Per quanto ami minerali e pietre, inoltre, faccio fatica a convincermi che l’ambra possegga delle speciali proprietà taumaturgiche, e che l’eventuale antidolorifico minerale presente al suo interno venga rilasciato in quantità tali da, una volta assorbito dalla pelle del bambino, avere un qualche effetto sul dolore che lui avverte, per giunta in un’altra zona del corpo. Ma, se non altro, la collanina analgesica non dovrebbe avere effetti collaterali (pare sia progettata in modo da rendere impossibile il soffocamento e l’ingestione accidentale delle pietre, ma, per quanto mi riguarda, la prudenza non è mai troppa) e, se non dovesse funzionare, la si può sempre convertire in anelli e orecchini da regalare alle amiche. Se qualcuno l’ha provata, attendo volentieri del materiale per la mia rubrica di recensioni.

Gli irriducibili della fitoterapia, invece, consigliano la radice di viola (o di iris), da appendere al collo del bambino (aridàglie) perché possa mordicchiarla a suo piacimento. Non so a voi, ma a me ricorda tanto l’aglio al collo degli ammazzavampiri di una volta (altro che Twilight!). Ancora, c’è chi giura che il mal di denti passi ciucciando un ghiacciolo home-made a base di camomilla ed erba gatta. Peccato che poi mi ritroverei con il felino Artù aggrappato alle fauci di mio figlio, probabilmente.

Sempre sul fronte erboristico, un’altra opzione sono le fiale a base di rabarbaro, camomilla e fitolacca vendute (a peso d’oro) in farmacia. Con Davide ho deciso di ricorrervi con un certo scetticismo, ma dicendomi “Se non altro, male non può fargli” e, con mia sorpresa, sembrano effettivamente dargli un qualche sollievo. O forse è semplicemente che gli piacciono molto, per cui le tracanna con soddisfazione evidente, manco fossero boccette di grappa al miele. Ad ogni modo, aspettiamo che passi, con una rassegnazione crescente. Anche perché, tra parentesi, siamo a sette mesi compiuti e di denti, nonostante la bava a fiumi, le gengive gonfie e la roditorite acuta, neanche l’ombra.

9 Settembre 2013 6 Commenti
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rimedi naturali

Punture di insetti e pesci urticanti: rimedi naturali adatti ai bambini

by Silvana Santo - Una mamma green 23 Agosto 2013

Post ultrarapido dedicato ai rimedi naturali per punture di api, vespe, tracine e chi più ne ha più ne metta. Per bambini e non solo, s’intende. La faccenda impone due premesse ancora più veloci:

1. so che arrivo tardi, nel senso che molti le vacanze le hanno già finite, ma io domani parto per la costa maremmana e quindi ho bisogno di pensare che sia ancora tempo di mare, di sole e di vacanze con secchiello e paletta. E poi, diciamocelo, le api, o almeno quelle poche che ancora non si sono estinte, ronzano ogni tanto anche in città, per cui non si sa mai (più difficile, certo, trovare un riccio di mare sul fondo della piscina comunale, ma, nella vita, mai dire mai…).

2. il titolo e lo stesso post suonano un po’ come una iattura. Ma che volete, soprattutto in estate le robe spaventevoli “tirano” moltissimo, e per una che si guadagna da vivere scrivendo articoli sul web l’audience fa purtroppo la differenza. Quindi, date pure il via a tutti i gesti apotropaici che conoscete (sgrat, sgrat) e beccatevi ‘sti consigli che manco Cassandra in una giornata uggiosa…

Rimedi naturali contro le punture di api e vespe: in sintesi, il trattamento si fonda su ghiaccio, acqua e limone o polpa di banana. Ma è davvero vitale, non solo per i bimbi in vacanza, fare attenzione alle possibili allergie. Quindi, al minimo segnale di difficoltà respiratorie o di altre reazioni allergiche, sticazzi i rimedi naturali e correte al Pronto Soccorso. Per saperne di più, leggete questo mio articolo sul sito GreenStyle.

Rimedi naturali contro le punture di tracine, attinie e ricci di mare: so che è annata di meduse, ma il mare ospita una miriade di altre creature tanto belle quanto urticanti. E che spesso, loro malgrado, sono protagoniste di incontri ravvicinati proprio con i bambini, curiosissimi e impavidi. Sappiate che della semplice acqua calda fa miracoli, e che l’ultima cosa da fare è strofinare la parte colpita, per evitare di portare in giro il veleno, ma per essere davvero pronti ad ogni evenienza, cliccate su quest’altro post di GreenStyle.

23 Agosto 2013 0 Commenti
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talco pericoli inalazione
cosmetici biologici

Talco: rischi, leggende metropolitane e alternative vegetali

by Silvana Santo - Una mamma green 13 Agosto 2013

Quando ho letto per la prima volta della possibile pericolosità del talco sono rimasta di sale. Io il talco – soprattutto quello venduto nel celeberrimo barattolo verde – lo adoro. Mi piace l’odore che ha, la sua impalpabile consistenza, il senso di fresco e di asciutto che lascia sulla pelle. Mi piace la sensazione di pulito a cui l’ho sempre associato. Per anni, dopo ogni doccia, mi sono letteralmente tuffata in candide nuvole di talco, che applicavo sistematicamente anche dopo le operazioni quotidiane di toletta spicciola. Un piccolo rito giornaliero che ho mio malgrado limitato dopo aver letto dei rischi legati all’uso improprio (state già immaginando delle fettine panate al profumo di mentolo, dite la verità…) eccessivo di polveri cosmetiche a base di talco. In giro, in realtà, se ne legge di ogni. Siti web, forum e riviste attribuiscono a questo minerale di magnesio una serie quasi infinita di effetti tossici o addirittura cancerogeni. Stando alle cassandre mediatiche, il talco sarebbe responsabile, nell’ordine, di allergie, dermatiti, problemi respiratori, cancro all’endometrio, asbestosi (sì, come l’amianto) e chi più ne ha più ne metta. Ci manca solo che qualcuno attribuisca alla famosa polvere per il bagnetto anche l’aumento dell’IVA, la moda degli abiti fluorescenti e la canicola di agosto.

Ma cosa c’è di vero?

Quel che è certo è che nel 2006 l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro, la Iarc di Lione, ha classificato le polveri per il corpo a base di talco come “possibili cancerogeni”, insieme ad altre decine e decine di prodotti. Una potenziale cancerogenicità che da allora non è stata confermata né smentita. Uno studio apparso nel 2010 sulla rivista Cancer epidemiology Biomarkers & Prevention, inoltre, ipotizza una correlazione tra il tumore all’endometrio e l’uso sistematico del talco (almeno una volta a settimana per anni o decenni) sulle parti intime femminili (ma va detto che questa neoplasia è, ahimè, particolarmente diffusa, e che fattori come il diabete, l’obesità e alcune particolari condizioni ormonali ne favoriscono l’insorgenza). Per iscrivere definitivamente la polvere a base di talco nel libro nero dei cosmetici cancerogeni, dunque, occorrerebbero altri studi ad ampio raggio. Quanto al possibile “effetto amianto”, sembrerebbe in buona sostanza una bufala, dal momento che la natura fisica dei cristalli di talco differisce sensibilmente da quella delle fibre di amianto, che è alla base dell’insorgenza di asbestosi e altre gravi patologie. La leggenda metropolitana potrebbe essersi diffusa perché in passato tracce di amianto potevano essere presenti nel talco, perché le cave dalle quali era estratto erano attraversate da filoni del pericoloso minerale, ma a partire dal 1973 tutti i prodotti a base di talco devono per legge essere privi di amianto. E ci mancherebbe altro.

Se, almeno stando alle conoscenze attuali, il talco non sembra dunque essere cancerogeno, pare invece che il suo abuso e la conseguente inalazione possano però creare problemi alle vie respiratorie, soprattutto quelle piccole e delicate dei bambini. Qualche preoccupazione deriva anche dall’effetto antitraspirante che il talco sembra avere sulla pelle, dal momento che le piccole particelle possono occludere i pori. Ma tra allarmismi eccessivi, disinformazione e luoghi comuni, come regolarsi, soprattutto quando in gioco ci sono – è proprio il caso di dirlo – le adorabili chiappette dei nostri bambini? Secondo me la chiave sta nel non esagerare. Non rifuggire il dispenser del Borotalco (Oops! L’ho detto…) come se fosse pieno di spore di antrace, ma neanche impanarci i bambini fischiettando allegramente. Con mio figlio, in particolare, ho scelto di non usare il talco per l’igiene quotidiana, ma di limitarne l’uso a sporadici casi di effettiva necessità – come le sudate epocali di questi giorni caldi e umidi (a proposito, se vi dicono che un neonato suda poco… non credeteci!) – e di applicarlo con cautela, “spalmandolo” con le dita (addio dunque alle mie amate nuvole bianche e profumate, sic!). Quando possibile, poi, preferisco sostituire il talco vero e proprio con polveri di origine vegetale, come l’amido di riso (ma si trovano in commercio anche la farina d’avena o l’amido di mais): ne esistono formulazioni in polvere fine pensate proprio per l’aspersione. Anche in questo caso, però, buona norma sarebbe cercare di evitare l’inalazione, non solo per i piccoli, ma anche per le mamme, i papà e i gatti. Soprattutto i gatti, che, loro sì, inalano già fin troppe schifezze ravanando nella lettiera. Ma questa è un’altra storia…

PS. Ringrazio la mia amica Roberta per aver ispirato (non ASPIRATO!) questo post.

13 Agosto 2013 13 Commenti
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cosmetici biologiciviaggi

Creme solari ecologiche per bambini

by Silvana Santo - Una mamma green 23 Luglio 2013

Qualche volta il rimedio può essere davvero peggiore del male. Pensate al fondotinta color emiliofede applicato in triplice strato per camuffare i brufoli o al deodorante spruzzato generosamente da certi tristi figuri a metà giornata per coprire i propri olezzi mefitici… Terribile? In realtà c’è perfino di peggio: spalmarsi una crema solare per proteggersi dal sole e rischiare, invece, di fare del male alla propria pelle. Vale la pena, forse, scoprire qualcosa di più sulle creme solari per bambini ecologiche.

Perché le creme solari fanno male ai bambini

La maggioranza dei solari in commercio contiene dei filtri di tipo chimico, sostanze in grado di “neutralizzare” i raggi ultravioletti appunto attraverso una reazione chimica (non c’è niente di scientifico in quello che sto scrivendo, è solo per rendere l’idea…). Coi filtri chimici, però, non si scherza: alcuni, tanto per dirne una, sono sospettati di interferire con il sistema endocrino, e in particolare di fare impazzire gli estrogeni, una caratteristica che tra l’altro li rende particolarmente rischiosi per i bambini. È il caso ad esempio dell’Oxybenzone, che secondo l’organizzazione americana EWG (Environment Working Group) può anche determinare reazioni allergiche, e che in Giappone è soggetto a forti limitazioni d’uso. Sotto accusa c’è anche il 4-Methylbenzyliden Camphor, osservato speciale del Comitato Scientifico Europeo dei prodotti al consumo (SCCP) per i presunti rischi di tossicità a concentrazioni superiori al 4%. L’elenco potrebbe continuare, e anche se il dibattito sulla reale pericolosità di queste sostanze è in molti casi ancora aperto, una certa prudenza, forse, non guasta. Senza contare che le creme solari di tipo chimico spesso contengono anche parabeni, siliconi (come il Dimethicone) e altre sostanze di derivazione petrolifera, inquinanti e potenzialmente dannose.

Le creme solari per bambini ecologiche

Ma esiste qualche alternativa più sicura e naturale, che ci permetta di prendere il sole senza preoccupazioni se non quella di scacciare le zanzare? Le creme solari per bambini ecologiche impiegano di solito filtri fisici o minerali, come l’ossido di zinco o di titanio. Si tratta di sostanze in grado di schermare fisicamente, appunto, i raggi UV, riflettendoli in tutto o in parte e impedendo loro di penetrare attraverso la pelle. L’efficacia di norma è alta, anche se i solari contenenti questo tipo di filtri presentano qualche difficoltà nell’applicazione, dal momento che i componenti minerali li rendono un po’ pastosi e non troppo fluidi e spalmabili. Stando a quello che si legge in giro, inoltre, questi prodotti tendono a risultare piuttosto visibili quando vengono applicati (si rischia di somigliare a quei simpatici turisti albionici tutti untuosi e bianchicci) e devono in ogni caso essere riutilizzati frequentemente, perché non sono impermeabili. A mio parere, comunque, si tratta di inconvenienti minimi rispetto ai rischi delle creme tradizionali.

creme solari bio bambini
Le creme solari per bambini fitoterapiche

Un’altra strada è quella dei preparati fitoterapici, che contengono estratti di piante ad azione “filtrante”. Si va dal germe di grano all’olio di sesamo, dal cocco all’elicriso, passando per la camomilla, la calendula e l’onnipresente aloe. Il problema, con questo tipo di prodotti, è che di solito non possono indicare in etichetta un fattore di protezione “certo” come le creme tradizionali, oltre al fatto che, come tutti i cosmetici di origine vegetale, possono dare luogo a reazioni allergiche nei soggetti predisposti.  Molti solari ecobio, in realtà, contengono una combinazione di questi due tipi di ingredienti (filtri minerali e principi attivi vegetali), che stando alle recensioni online risulta efficace e “usabile”. La scelta che ho fatto per il primo sole di Davide va proprio in questa direzione: prodotti ecologici ad alta protezione (50 e più) con filtri fisici e attivi vegetali biologici: burro di karité, estratto di foglie di oliva e di melograno, oli di riso, macadamia, rosa moschata e jojoba. Aspetto di usarli per testarne efficacia, facilità di applicazione, durata, etc.

Chi preferisce affidarsi ai più convenzionali solari con filtri chimici, può controllare la salubrità degli ingredienti nel Biodizionario online (pallino rosso, sostanza pericolosa o inquinante; pallino verde, sostanza innocua). In ogni caso, evitate se potete almeno i composti a sospetta attività estrogena, ricordatevi di lavarvi accuratamente le mani dopo l’applicazione e di fare sempre una doccia alla fine della giornata in spiaggia. Anche perché, altrimenti, rischiate di finire come quei tristi figuri che abusano di deodorante…

23 Luglio 2013 3 Commenti
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cosmetici biologicipannolini ecologicirimedi naturali

Recensione: Pasta all’ossido di zinco Bio Bio Baby

by Silvana Santo - Una mamma green 17 Luglio 2013

Se neonato uguale pannolini, pannolini (usa e getta) uguale, purtroppo, arrossamenti e irritazioni. Tra i prodotti che difficilmente mancano nell’ideale beauty case di un bambino piccolo, dunque, c’è la pasta protettiva a base di ossido di zinco, utile appunto per prevenire o curare eventuali reazioni della pelle al contatto costante con il pannolino.

Alla ricerca di un prodotto privo di sostanze tossiche e inquinanti ma reperibile a un prezzo decente, mi sono imbattuta nella Pasta all’ossido di zinco della linea Bio Bio Baby, prodotta in Italia dalla Pilogen Carezza.

Ecco quello che si legge sulla confezione:

La pasta all’ossido di zinco 15% ed estratto biologico di calendula (dermatologicamente testata) con Burro di karitè, Olio di riso, olio di mandorle, Bisabololo, Vitamina E. La sua ricca formulazione e la sua consistenza creano un sottile strato impermeabile che protegge il sederino dei piccoli dal contatto col pannolino bagnato. Ideale anche per tutte le zone del corpo arrossate.

La Pasta all’ossido di zinco Bio Bio Baby è un prodotto Ecobiocosmesi certificato ICEA AL N° 033BC006.

 

Questo, invece, è l’Inci:

Ricinus communis seed oil vv

Zinc oxide g

Butyrospermum parkii (burro di karité) * vv

Hydrogenated castor oil vv

Copernicia cerifera cera (Carnauba) vv

Calendula officinalis extract* vv

Helianthus annuus seed oil (olio di girasole)* vv

Oryza sativa bran oil (olio di riso) vv

Prunus amygdalus dulcis oil (olio di mandorle dolci)* vv

Tocopheryl acetate vv

Bisabolol vv

Profumo biancobianco

*da agricoltura biologica

Il prodotto, in tubi di plastica da 150 ml, è reperibile online o in alcuni supermercati (io lo compro all’Auchan) a un prezzo di circa 8 euro, ma ne esiste anche una versione da 75 ml.

E questa la mia recensione:

La pasta si presenta come la maggior parte dei prodotti concorrenti: bianca, densa, di consistenza – ma va? – pastosa. L’odore, piuttosto delicato, è quello tipico “da bebè” e la resa è alta (ne basta poca per ogni applicazione).
La mia esperienza con la pasta protettiva Bio Bio Baby è assolutamente positiva: non so se sia per questo, se per la scelta dei pannolini ecologici, per il limitato ricorso alle salviette imbevute o per la frequenza dei cambi e dei lavaggi (o magari è solo fortuna!), ma Davide non ha mai avuto dermatiti o arrossamenti particolarmente preoccupanti. Quando, dopo qualche cambio frettoloso fuori casa oppure per gli effetti della dentizione, si è manifestato un lieve rossore, l’applicazione del prodotto lo ha risolto nel giro di poche ore. Anche l’irritazione causata dai pannolini di plastica del reparto maternità è stata curata con questo prodotto, che si è riovelato utile anche per trattare qualche graffio superficiale (per quanto spesso si tagli loro le unghie, i neonati sembrano sempre Edward Mani di Forbice!) e dei brufoletti. L’unica difficoltà, che credo possa dipendere dall’alta concentrazione di ossido di zinco, sta nella leggera difficoltà che si incontra nello spalmare la pasta quando fa particolarmente freddo, ma è un problema davvero marginale. In conclusione, la Pasta all’ossido di zinco Bio Bio Baby è decisamente promossa (a differenza della versione spray, che trovo troppo liquida e di difficile applicazione).

17 Luglio 2013 5 Commenti
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abbigliamento sostenibile

Nanna sicura: occhio alla temperatura e alla biancheria da letto

by Silvana Santo - Una mamma green 9 Aprile 2013
Nanna sicura: occhio alla temperatura e alla biancheria da letto

Foto Ikea

Ancora a proposito di corredino (e visto che andiamo incontro all’estate): l’abbigliamento notturno temperatura della stanza, che non deve in ogni caso superare i 18-20gradi. Molti studi, infatti, hanno dimostrato che un ambiente fresco riduce sensibilmente il rischio di Sids, la cosiddetta sindrome della morte in culla, terrore di tutte i neogenitori.

dei più piccini dovrebbe tener conto anche della

Sempre per garantire la sicurezza dei bimbi durante il sonno, dal Nord Europa arriva il sacco nanna: una soluzione per il riposo di neonati e bambini che consiste in una sorta di “sacco a pelo” sostitutivo di lenzuola e coperte. Oltre a scongiurare il rischio di soffocamento accidentale, pare che aiuti il bimbo a sentirsi più sicuro e a dormire più sereno.

Ne esistono diversi tipi, più e meno pesanti, in tessuti differenti (incluso il cotone organico), di taglie diversificate e per tutte le tasche. Occhio alla misura, però: una taglia troppo grande può compromettere la sicurezza del pupo, che rischierebbe di “affondare” nell’apertura superiore e rimanere impigliato…

Io non l’ho ancora provato, ma intendo sperimentarlo a breve. Stay tuned.

9 Aprile 2013 3 Commenti
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gravidanza e partorimedi naturali

Prepararsi al parto: consigli utili per evitare il panico

by Silvana Santo - Una mamma green 18 Marzo 2013

Tratto dalla mia rubrica “Diario di ECOmamma” su La Nuova Ecologia (numero di febbraio 2013)

Partorirai con dolore. Ovvero come tre semplici parole possano condizionare una donna al punto da indurla a pensare con orrore a quello che in realtà è un evento fisiologico, per quanto impegnativo e – ammettiamolo subito senza ipocrisia – di norma doloroso. Dopo il test di gravidanza, le ho ripetute a me stessa in loop, come un mantra “al contrario” che non faceva altro che incrementare la paura e fiaccare la mia autostima. Colpa degli ormoni, probabilmente. Ma anche di un retaggio culturale che ormai considera il parto come un’esperienza medica qualsiasi, alla stregua di un intervento chirurgico terapeutico, nonché della tendenza, macabra e per me inspiegabile, che molte madri hanno nel raccontare il proprio con particolari degni di un film di Tarantino.

Confesso, dunque, di aver dovuto compiere uno sforzo non indifferente per riprogrammare la mia percezione del travaglio. Il corso di preparazione al parto, in questo senso, è stata un’esperienza utile (per quanto molto carente su altri aspetti). Un’occasione per confrontarmi con altre primipare spaventate, ma soprattutto per imparare cose che ignoravo o che conoscevo poco e male. A cominciare dalla corretta respirazione da effettuare durante le contrazioni, fondamentale per mantenere una buona ossigenazione e per “distrarsi” dalle doglie. Inspirare profondamente dal naso ed espirare dalla bocca per tutta la durata della contrazione: sembra un dettaglio insignificante, ma non lo è, a prescindere che si scelga di partorire a casa o in ospedale. Come non lo sono le tecniche di rilassamento che permettono di affrontare meglio il travaglio. Per prima cosa, aiuta concentrarsi su un pensiero felice, del tutto slegato dall’esperienza che si sta vivendo: un viaggio fatto o previsto, un libro amato, una borsetta desiderata.

Anche la musica può servire: preparate una playlist e chiedete all’ostetrica di farvela ascoltare nei momenti clou. Sconsigliato, al contrario, fissarsi sul pensiero delle contrazioni: non serve a niente se non a stancarsi nel corpo e nello spirito. E a proposito di corpo e di stanchezza, fondamentale anche imparare come e quando “spingere”. Dimenticate i film americani con donne trafelate che iperventilano sul sedile posteriore di un taxi giallo: la famosa spinta in apnea, da compiere con i muscoli addominali durante la contrazione, va riservata per le ultime fasi del parto, quando la dilatazione della cervice è completa. Al di là degli aspetti psicologici, poi, nelle ultime settimane di gestazione è utile massaggiare tutti i giorni l’area del perineo con un olio naturale (evitate gli oli essenziali, però): delicati massaggi circolari, infatti, permettono di aumentarne l’elasticità e ridurre il rischio di episiotomia.

È stato grazie a questi accorgimenti che sono riuscita ad entrare in sala travaglio con maggiore consapevolezza e fiducia in me stessa (anche se poi la presentazione occipitale di Davide ha reso necessario un parto cesareo, nonostante il travaglio fosse praticamente giunto al termine). Ricordando che una traduzione più corretta dell’ammonimento biblico recita in realtà “partorirai con fatica”. Detta così fa molta meno paura, vero?

18 Marzo 2013 3 Commenti
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animaligravidanza e parto

Gravidanza, gatti e toxoplasmosi: un pregiudizio da sfatare

by Silvana Santo - Una mamma green 15 Marzo 2013
La toxoplasmosi è una malattia causata dal parassita Toxoplasma gondii. Sebbene sia priva di rischi per adulti e bambini, rappresenta un pericolo da non sottovalutare se contratta in gravidanza, perché può provocare danni molto seri al feto, fino all’aborto. Una semplice analisi del sangue permette di capire se la gestante ha già contratto l’infezione in precedenza, ed è quindi immune, oppure se deve osservare una serie di precauzioni per evitare di infettarsi durante l’attesa.
Precauzioni che includono il non mangiare insaccati crudi o carni al sangue, utilizzare i guanti durante le attività di giardinaggio, lavare accuratamente la verdura da consumare cruda. Accanto a questo, è necessario, se si vive con uno o più gatti, delegare la pulizia quotidiana della lettiera a un’altra persona, oppure, se occorre farlo da sole, utilizzare dei guanti e lavarsi immediatamente le mani.
Ammesso che il felino sia portatore del parassita (un’ipotesi molto remota se non mangia carni crude e non vive a contatto con altri animali), espelle le ovocisti solo attraverso le proprie feci e solo in un arco di tempo molto limitato della sua vita. Perché le cisti diventino mature e infettive, inoltre, occorre che restino nella lettiera per almeno 24-48 ore. Il rischio di contrarre la toxoplasmosi semplicemente vivendo con un gatto, pertanto, è praticamente nullo se si seguono delle elementari norme igieniche. Eppure il pregiudizio secondo cui le gestanti dovrebbero stare alla larga dai felini è duro a morire.
Nella foto: io, Davide (prima di nascere) e il nostro adorato Artù.
15 Marzo 2013 2 Commenti
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Mi chiamo Silvana Santo e sono una giornalista, blogger e autrice, oltre che la mamma di Davide e Flavia.

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