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salute

coprimaterasso antiacaro bambini
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Cose a cui sono allergica da quando sono mamma

by Silvana Santo - Una mamma green 13 Marzo 2018

Ci sono cose che vi danno l’orticaria, da quando siete mamme? Avete iniziato a grattarvi freneticamente, starnutire o soffrire per il sonno che ormai è un lontano ricordo? A me è capitato, anche se non avevo mai sofferto di allergia prima di diventare mamma. E probabilmente anche io, tante volte, avrò causato dermatite e prurito ad altre incolpevoli persone, con i miei atteggiamenti da “madre materna”. Perché, nonostante il coprimaterasso antiacaro, non c’è scampo, secondo me, da alcune fastidiosissime reazioni allergiche. Scherzi a parte, ecco di seguito una riflessione semiseria su allergie reali ed immaginare in cui spesso incappiamo dopo essere diventate mamme.

1. La gara a chi dorme di più (o di meno)
Un grande classico delle neomamme. C’è quella che si sente in dovere di specificare che il figlio dorme 15 ore filate fin dal quarto giorno di vita (“dormirebbe anche direttamente sul coprimaterasso, tanto che è bravo”), e quella che ama ripetere che sono dieci mesi che “non chiude occhio”, perché la sua pupa ha una rara e gravissima allergia al sonno. La verità? Quanto dorme un neonato è una cosa che dipende da tanti fattori, e su cui i genitori hanno un potere molto relativo (magari un bel copricuscino antiacaro aiuta!). E che tutti i bimbi, inclusi quelli particolarmente insonni, sono “bravissimi”. Crescere un figlio è sempre dura, e tutti i bambini prima o poi riescono a dormire una notte intera. Tra le mamme servono solo solidarietà e tantissima empatia. Se invece vi sentite sconfitti nella “missione sonno”, provate a consultare un allergologo; spesso i piccolini non dormono per problemi allergici: del resto, nasino chiuso e prurito toglierebbero il sonno anche al più pigro dei ghiri.

2. La fobia del freddo
Sono le voci interiori di nonne, bisnonne e zie, che ogni volta ti dicono: “Coprilo, fa troppo fresco”. “Mettigli almeno la canottiera”. “Aggiungi una coperta”. E via con l’ossessione tutta italiana di proteggere i bambini dal vento, di tenerli in casa quando fa freddo e, magari, di sigillare porte e finestre da ottobre ad aprile. Peccato che gli ambienti chiusi favoriscano la trasmissione di virus e batteri e la proliferazione degli acari, i cui allergeni attentano alla salute e al benessere di tutta la famiglia. Il motivo per cui la fobia del freddo delle mamme italiane mi causa allergia è che si tratta di un fenomeno gravemente contagioso. Ogni volta provo ad essere sportiva al massimo, ma finisco poi col farmi condizionare, mio malgrado. E invece dovremmo fare pace col freddo una volta per tutte o, se proprio non si riesce a fare a meno del tepore del focolare domestico, ricorrere semmai a un purificatore d’aria, in modo da liberarsi di allergeni, inquinanti e schifezze varie anche senza dover aprire le finestre di continuo.

3. L’idiosincrasia per gli animali domestici
Considerati spesso portatori di malattie, infermità e sciagure di ogni specie. Mentre convivere fin da piccoli con un animale domestico potrebbe addirittura ridurre il rischio che insorgano allergie in età adulta. Semmai è importante, invece che temere cani e gatti, dotare di copricuscino e comprimaterasso antiacaro tutti i letti di casa, perché gli acari possono dare molto più fastidio di un quadrupede, a bambini e adulti.

4. La condivisione selvaggia
Centoventi gruppi Whatsapp, novantasette chat di Messenger, altrettanti gruppi di Facebook in cui le mamme non si limitano a confrontarsi e supportarsi tra loro, ma condividono selvaggiamente ogni istante della vita dei propri figli, a cominciare da tutto-il-travaglio-minuto-per-minuto. Chi ha la dermatite, chi il reflusso, chi ha messo il primo dente ad appena due mesi. È che oramai sembra quasi che quello che non passa attraverso i social non sia mai esistito. Che mostrare agli altri una vita perfetta ci aiuti a convincerci che, forse, ce l’abbiamo davvero, o che, viceversa, fare al mondo la diretta delle nostre sciagure ci renda più eroici agli occhi degli altri. Questa è una cosa che, più che allergia, mi suscita una certa tenerezza. Siamo quello che siamo, nel bene e nel male. Tutti sulla stessa barca. E la perfezione non è di questo mondo.

5. L’onniscienza materna
È un gran bene che i genitori abbiano cominciato ad essere più attenti al benessere dei propri figli, più informati e più consapevoli. Ma a volte le mamme tendono a farsi prendere la mano, specialmente in fatto di alimentazione e di salute. E così i blog e i social diventano simposi virtuali di pediatria, nutrizione e pedagogia. Se i vostri figli soffrono di allergia, se hanno la dermatite, se non dormono o non mangiano, niente panico. Consultatevi sempre con il medico e ricorrete a piccole strategie per proteggervi dagli attacchi esterni. Perché la verità è che ognuno ha la sua esperienza, ma è fondamentale affidarsi ad esperti per un parere davvero autorevole.

Questo post è stato realizzato in collaborazione con AllergoSystem, un’azienda trentina che produce in Italia articoli artigianali di altissima qualità nel campo dei prodotti antiacaro e del benessere del sonno. Allergosystem offre una gamma completa di copricuscini, coprimaterasso, copripiumone e imbottiti (trapunte, cuscini e piumoni) certificati. Utilizzando tessuti a trama particolare e testati, avvalendosi di un imbottito antiallergico per i propri prodotti, l’azienda ha rifiutato di avvalersi di trattamenti chimici, senza rinunciare all’altissimo livello di comfort e traspirabilità dei suoi prodotti (effettiva protezione dagli acari).
Allergosystem offre la possibilità di realizzare prodotti su misura in base alle misure del proprio letto, commercializzata in tutta Europa ed ha ottenuto certificazioni di qualità rilasciate dai seguenti autorevoli istituti:

Ospedale di Rovereto (TN)
Ospedale Niguarda (MI)
Istituto di entomologia dell’università di Milano
Hygiene-Institut des Ruhrgebiets (Germania)
ECARF – Centro Europeo per la Ricerca sulle Allergie (Germania)
Hygiene-Institut des Ruhrgebiets (Germania) Linea Sogno.

Sul sito trovate anche i purificatori d’aria Airfree, che attraverso una innovativa tecnologia, sono in grado di pulire l’aria degli ambienti chiusi mediante un trattamento termico naturale ed efficace (un processo simile alla sterilizzazione dell’acqua attraverso ebollizione: l’aria viene purificata grazie ad una camera di sterilizzazione presente all’interno del nucleo di ogni Airfree, che raggiunge una temperatura di oltre 200°C, successivamente raffreddata e reimmessa nell’ambiente. Questo trattamento permette di “ripulire” l’aria dagli allergeni di acari e animali domestici, muffe, batteri, virus, pollini, ozono e contaminanti chimici).

I prodotti AllergoSystem possono essere ordinati direttamente online sul sito dell’azienda.

coprimaterasso antiacaro allergosystem

13 Marzo 2018 1 Commenti
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Bambini e tv, le regole
life

Bambini e TV, cinque regole in vigore a casa mia

by Silvana Santo - Una mamma green 5 Marzo 2018

Ai miei figli non è vietato guardare la televisione. Noi genitori, per primi, amiamo i film di animazione e le serie TV, per cui non avremmo mai pensato di porre veti assoluti a Davide e Flavia (e in generale sposo raramente la linea dei divieti totali). Siccome, però, bambini e TV sono un binomio potenzialmente esplosivo, io e il padre dei miei figli ci interroghiamo spesso su come evitare eccessi e degenerazioni. Posto che, come sempre, ogni famiglia deve trovare il proprio personale equilibrio, queste sono le cinque regole in vigore a casa mia in tema di bambini e TV.

1. Non lasciarli soli davanti allo schermo

La TV è un momento di relax per tutti, specialmente quando la giornata è stata molto intensa, o faticosa. Però, quando i figli sono piccoli, è sempre utile condividerlo, secondo me. O almeno essere fisicamente presenti nella stanza in cui è accesa la televisione. Per monitorare quello che i bimbi guardano e per rispondere a eventuali domande o curiosità. E, magari, per godersi un bel classico Disney o un intramontabile Miyazaki.

2. Selezionare bene i programmi

Tra canali in chiaro e pay tv, il palinsesto televisivo offre oramai una scelta estremamente ampia di cartoni animati e altri programmi per bambini. Non è difficile, nella vastissima proposta a cui abbiamo accesso, trovare delle vere e proprie chicche, sia dal punto di vista della grafica che degli argomenti o del commento musicale. La mia sensazione è che a volte si tenda ad avere troppa fretta anche nella proposta di contenuti indirizzati a un pubblico magari leggermente più maturo, o che ci si limiti a proporre ai bambini le serie più conosciute e “di moda”. Perdendosi invece un vasto panorama di cartoni e programmi per l’infanzia innovativi e di qualità.

3. Bambini e TV: un limite è indispensabile

La mia esperienza personale, per quanto limitata e per definizione soggettiva, parla molto chiaro: troppa TV fa male ai bambini, o perlomeno fa male ai miei figli. Diventano più nervosi, compressi, “accelerati”. Iperstimolati. A casa nostra, al momento, abbiamo trovato un equilibrio che limita la visione della TV ai circa 40-45 minuti che intercorrono tra il termine della cena e il momento di prepararsi per andare a dormire. Nel weekend, quando non usciamo, concediamo qualche dose extra. La TV, salvo rarissime eccezioni non viene mai accesa al mattino, e non si guarda durante i pasti. Non so se sia un equilibrio destinato a durare, ma per il momento funziona.

4. Niente TV in camera da letto

Anche se guardiamo i cartoni dopo cena, la TV non fa parte della nostra routine della nanna. E non si guarda in camera da letto.

5. Limitare la pubblicità

La vera piaga dei canali televisivi per bambini, secondo me, è il bombardamento di spot di giocattoli, merchandising e via dicendo. Limitare l’esposizione dei bambini piccoli alla pubblicità è comunque possibile, scegliendo per esempio di guardare dei DVD, o attivando servizi in abbonamento che non prevedano interruzioni pubblicitarie.

6. Non abusare di “altra” tecnologia

Non ha senso limitare la TV se poi si abusa di tablet, computer, smatrphone e videogiochi. Anche in questo caso, ognuno troverà la propria ricetta, sulla base degli interessi dei genitori, dell’età dei bambini e delle abitudini dell’intera famiglia. Al momento, noi siamo riusciti a tenere Davide e Flavia alla larga dai videogiochi veri e propri e dagli smartphone, e a concedere il tablet solo in vacanza, durante i lunghi spostamenti in aereo o in auto. Più difficile allontanarli dal computer (specie da YouTube), dal momento che il Mac è un mio strumento di lavoro, ma mi sto sforzando di non utilizzarlo troppo in loro presenza. La vera nota dolente è lo smartphone, che tendo a tenere in mano troppo spesso, anche in presenza dei figli. Ovviamente è bandito a tavola, in casa e fuori. Ma l’obiettivo è di ridurne l’uso al minimo indispensabile, anche perché ho constatato che fa molto bene a me per prima.

5 Marzo 2018 2 Commenti
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diritto all'acqua potabile actionaid
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Senz’acqua

by Silvana Santo - Una mamma green 16 Febbraio 2018

Abbiamo origine da un guizzo. Da una nuotata più veloce di altre.
E cresciamo nell’acqua. Nell’acqua diventiamo umani, dopo aver attraversato, in una storia amniotica lunga nove mesi, tutti gli stadi dell’evoluzione umana.

Dall’acqua nasciamo, con fatica. Dall’acqua veniamo alla luce, nudi e impreparati a quel primo respiro, che brucia e che ci spalanca i polmoni.

Dell’acqua conserviamo una memoria silente per mesi. Di acqua siamo fatti, gocce microscopiche e preziose che ci danno forma, vita, consistenza. Di acqua è fatto, per la gran parte, il pianeta meraviglioso che chiamiamo casa.

L’acqua è una condizione imprescindibile non solo per il benessere e la sopravvivenza dei singoli, ma per l’esistenza stessa di ogni forma di vita che conosciamo.

Senza l’acqua, semplicemente, non siamo.

Eppure il mondo è pieno di bambini per i quali non è scontato aprire un rubinetto e dissetarsi quando ne hanno bisogno.

Circa tre persone su dieci, pari a più di due miliardi sulla Terra, non hanno accesso all’acqua nella propria abitazione. Di questi, 844 milioni non riescono ad avere accesso nemmeno all’acqua potabile necessaria per il mero sostentamento dell’organismo. Circa sei persone su dieci, pari quindi a quattro miliardi e mezzo di esseri umani, mancano totalmente di servizi igienico-sanitari sicuri. (Dati: Who/Unicef 2017)

Spesso, la scelta è tra la morte e una marcia quotidiana di molti chilometri fino alla prima fonte di acqua potabile (di solito, questo compito spetta a donne e ragazze, se non addirittura bambine, che in molti casi smettono per questo di andare a scuola). Spesso, tragicamente, non esiste neanche questa possibilità.

ActionAid porta avanti diversi progetti per garantire il diritto all’acqua potabile, contrastando l’insorgenza di epidemie, la perdita di terreni coltivabili e l’abbandono scolastico. Dietro questo diritto negato, ci sono storie di persone vere, soprattutto di donne e bambini. Storie come quella raccontata in questo fumetto, realizzato in collaborazione con GUD.

Ciascuno di noi può dare il proprio aiuto grazie all’adozione a distanza, contribuendo a migliorare le condizioni di vita della comunità dove vive il bambino o la bambina e garantendogli/le il diritto all’acqua potabile. Ma anche trattando questo bene che tendiamo a dare per scontato per quello che invece è: una risorsa preziosissima e limitata, un privilegio per cui essere grati, un diritto che è ancora per pochi.

Abbiamo avuto la straordinaria fortuna di nascere in un posto dove l’acqua potabile è di facile accesso per noi e per i nostri figli. Facciamo in modo di condividere questo privilegio con il resto dell’umanità.

16 Febbraio 2018 1 Commenti
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9 cose che forse non sapete sul miele

by Silvana Santo - Una mamma green 9 Febbraio 2018

E che in gran parte non sapevo neanche io – nonostante adori “l’oro delle api” – prima di partecipare a un bel progetto in collaborazione con Mielizia Conapi, che ha aperto le porte a un gruppo di blogger per mostrare le meraviglie del miele e illustrare il processo di raccolta e confezionamento di questo ingrediente antico e prezioso.

Ecco dunque quello che ho scoperto: 9 cose che forse non sapete sul miele

1. Il miele ha moltissimi usi, in cucina e non solo

Come dolcificante al posto dello zucchero (ma aspettate che la bevanda si intiepidisca, altrimenti il calore ne altererebbe le proprietà), come ingrediente nella preparazione di dolci e torte, ma anche per esaltare ricette salate: arrosti, pesce, risotti e molto altro (a casa nostra, per esempio, andiamo matti per il salmone all’arancia caramellato al miele. Provatelo e mi direte!). Il miele può essere usato, infine, per formulare scrub, detergenti e altri cosmetici naturali.

2. Il miele ha una storia antichissima

Gli antichi egizi già allevavano le api per raccoglierlo, circa 4mila anni fa, mentre i Greci lo consideravano “il cibo degli dei”. Anche i Romani ne facevo largo uso, mentre nel medioevo il miele era un ingrediente molto usato come addensante nella preparazione dei cibi.

3. Il miele è il prodotto alimentare più “naturale” che ci sia

Perché non subisce alcun tipo di pastorizzazione, cottura, trattamento o addizione di sostanze. Arriva nelle nostre case praticamente così come viene raccolto. Anche il processo di confezionamento è particolarmente accorto a non alterare il gusto e le preziosa proprietà del miele. Negli stabilimenti Mielizia, in particolare, si fa in modo che durante tutta la lavorazione la temperatura del prodotto non superi mai i 40 gradi (la stessa dell’alveare), proprio per rispettare la sua composizione e non alterarne le qualità.

4. C’è miele e miele

Le varietà di miele sono tante: millefiori, tiglio, acacia, arancio etc. Il nome dipende dal tipo di pianta da cui le api hanno raccolto il nettare, e a seconda della varietà il miele presenta qualità organolettiche (profumo, sapore consistenza) diverse. Anche il colore cambia: i mieli più scuri, per esempio, sono più ricchi di polifenoli. Quello che invece non varia è il contenuto di calorie in 100 grammi di miele, che sono 304, a prescindere dal tipo e dalla colorazione (lo zucchero di barbabietola ne contiene 392 per la stessa quantità).

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5. Il miele non scade

A differenza di moltissimi prodotti alimentari, il miele non presenta una scadenza, anche se per godere al massimo delle sue proprietà è meglio consumarlo entro 3 anni. Una caratteristica che lo rende anche molto “sostenibile”, a mio parere, perché non soggetto a sprechi. Se il miele, specie col freddo, si cristallizza, non preoccupatevi: il cambio di consistenza non inficia la “bontà” del prodotto e, anzi, è un segnale della naturalità del prodotto stesso. Per conservarlo, l’ideale è tenerlo in una credenza al riparo dal sole diretto.

6. Le api usano il miele (e i suoi derivati) per un sacco di scopi

Il miele prodotto dalle api operaie a partire dal nettare dei fiori serve a nutrire le api stesse, ma anche a ricavare la cera d’api con cui vengono costruite le celle esagonali dell’alveare.

7. Il miele fa bene alla salute

Il miele contiene vitamine, minerali e antiossidanti. Allevia la tosse e vanta addirittura proprietà antinfiammatorie ed antibiotiche, dimostrate da studi scientifici. Per contrastare il mal di gola, però, è più efficace scioglierlo in un po’ di acqua tiepida, che non nel classico latte.

8. L’alveare è un posto molto più pulito di casa mia

Questa è forse la più bizzarra delle 9 cose che forse non sapete sul miele: all’interno dell’alveare le api non defecano (piuttosto trattengono le feci anche per un mese) e se un insetto muore viene subito portato all’esterno. Il suo funzionamento si basa su un complesso meccanismo di comunicazione tra l’ape regina e le sue “ancelle”. I fuchi, i maschi delle api, vengono uccisi dopo aver fecondato l’ape regina.

9. Il miele può essere bio

Anche se sono ovviamente le api a produrlo. A seguire i principi dell’agricoltura biologica sono le coltivazioni dei fuori dai quali le api succhiano il nettare: zero pesticidi e concimi chimici, nell’ambiente, nei fiori e nel miele stesso.

Post in collaborazione con Mielizia, il marchio degli apicoltori del consorzio Conapi, che riunisce circa 600 apicoltori dal Piemonte alla Sicilia (le donne sono il 21%), per un totale di 90.000 alveari in tutta Italia. Il 41% del miele prodotto dall’azienda è biologico, una scelta che punta a tutelare, oltre che la salute del consumatore, l’ambiente naturale e il benessere delle api.

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9 Febbraio 2018 2 Commenti
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essere madre

Il pavor nocturnus, mia figlia e io

by Silvana Santo - Una mamma green 30 Gennaio 2018

Interno notte. Una sera qualsiasi, in una casa qualsiasi. Immaginate di essere svegliati all’improvviso (o distolti dalla vostra serie TV preferita), da un grido ferino di vostra figlia piccola. Di trovarla a letto, sudata e rigida come un ciocco, che urla come se la stessero bruciando viva, con una voce non sua. Di provare a toccarla ed essere raggiunti da calci, ringhi e versi incoerenti. Di sentirle ripetere, tra il pianto e gli strilli, le stesse due parole in modo ossessivo, come un mantra, per interminabili quarti d’ora. Di sentirvi chiamare e non essere riconosciuti quando accorrete, oppure di essere respinti con furia, e poi richiamati ancora e allontanati e così via in una spirale di delirio crescente.

Si chiama pavor nocturnus, ovvero terrore notturno. E il nome rende davvero l’idea di quello che significa.

La prima volta che Flavia ha avuto una crisi, oramai diversi mesi fa, ho pensato che stesse impazzendo. E che io avrei fatto immediatamente la stessa fine.

La sensazione è di assistere a una crisi di dolore fisico che si irradia “dall’interno”. Lei getta la testa all’indietro, inarca la schiena, tende le gambe in quelli che sembrano spasmi di dolore, appunto. O di terrore. E poi le urla. Urla animali, fuori controllo. Con un timbro diverso dal solito. Di solito Flavia chiama me, tanto per non appesantire il mio senso di responsabilità e di inadeguatezza. “Voglio mamma”, dice una prima volta. Per poi ripeterlo ossessivamente, per minuti e minuti, anche se io sono effettivamente lì con lei.

Prima che ci capitasse, sapevo poco e niente del pavor nocturnus. Solo che è un disturbo della fase non REM del sonno (quella più profonda) molto diffuso nei bambini piccoli e sostanzialmente benigno. Assistere alle crisi di Flavia – che si intensificano in numero e intensità quando lei è stanca, malata o convalescente – è stato inizialmente traumatico, e tuttora mi fa a volte venire la pelle d’oca.

Perché un bambino col pavor nocturnus sembra sveglio. Dischiude gli occhi, o proprio li sbarra. Sembra “parlarti”, e a volte risponde anche alle domande che gli fai. Solo che non ti riconosce, si contraddice, suda e si dibatte. E urla, urla, urla e piange come se patisse di un dolore atroce (alcuni si alzano dal letto, corrono strillando per la casa, si fanno finanche la pipì addosso). Però il punto è che nonostante le apparenze, quel bambino sta dormendo. Non è cosciente, e quando la crisi sarà passata si rimetterà a dormire, per poi risvegliarsi al mattino senza ricordare nulla.

Pare che le cause non si conoscano bene, e che in ogni caso non si tratti di un segnale di “disagio” o infelicità dei bambini. Pare. Io so solo che ogni volta non riesco a non pensare che se mia figlia urla così nel mezzo del suo sonno non REM, evidentemente qualche cosa che non va ci deve essere. E diciamo che sentirsi chiamare da una treenne disperata, anche se sai che “sta dormendo”, e non essere in grado di aiutarla, non è proprio un modo piacevole di passare una bella mezz’ora durante la notte.

Spero che passi al più presto, ovviamente.

E di trovare il modo per starle vicino senza turbarmi.

30 Gennaio 2018 9 Commenti
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La mamma a casa con un figlio influenzato

by Silvana Santo - Una mamma green 23 Gennaio 2018

La mamma (o il papà) a casa con un figlio influenzato comincia con le migliori intenzioni.

Combatte strenuamente l’abbrutimento. Si pettina con cura, si veste comoda ma decente, magari si trucca appena. Rimette in ordine la casa, apparecchia la tavola prima dei pasti. Arieggia le stanze a rotazione, accomodando di volta in volta il piccolino in un ambiente caldo e confortevole.

La mamma a casa con un figlio influenzato monitora la temperatura del pargolo a intervalli regolari, alternando il termometro digitale migliore (selezionato leggendo le recensioni delle più autorevoli mamme blogger sul mercato) a un residuato bellico a mercurio eredità della bisnonna. Di quelli da tenere su per almeno 8 minuti.

Centellina gocce di antipiretico con precisione maniacale, tanto che col suo misurino della tachipirina potrebbero riprogrammare tutta la sezione “litri e sottomultipli” del Museo dei pesi e misure di Sèvres. Serve pasti leggeri e gustosi: minestre, zuppe, frutta di stagione e frullati freschi. Si preoccupa che suo figlio sia adeguatamente idratato, gli offre acqua naturale a temperatura ambiente. A piccoli sorsi, con intervalli frequenti. La mamma a casa con un figlio influenzato intrattiene il piccolo paziente con giochi tranquilli e costruttivi. Si siede accanto a lui sul tappeto caldo e legge, monta puzzle e costruisce torri di mattoncini.

Tutto questo, però, nelle prime 24/48 ore di influenza. Soprattutto se il figlio febbricitante è piccolo, e se la mamma (o il papà) è una neofita di termometro e sciroppo antipiretico.

Perché, dopo il terzo giorno a casa con un figlio influenzato, la mamma media subisce una trasformazione degna di Genny Savastano al ritorno dalla prigionia in Honduras.

A quel punto, la mamma a casa con un figlio influenzato spalanca senza pietà qualunque finestra, porta e botola di casa, nella speranza di disperdere la carica virale che appesta l’appartamento. E se fuori ci sono due gradi sotto zero, tanto meglio, ché il freddo ammazza i germi.

Concede al figlio maratone estreme di cartoni animati, nella speranza di avere almeno il tempo di farsi una doccia o rispondere alla mail urgente che ha intravisto sul cellulare circa due giorni prima. Gli permette addirittura di guardare su YouTube venticinque minuti di video di un tizio che scarta sorprese degli ovetti, nella speranza di tenerlo tranquillo per un po’.

La mamma a casa da più di tre giorni con un figlio influenzato gli compra ottocento chili di plastilina, due libri e finanche una o due di quelle cazzatine dell’edicola, pur di intrattenerlo almeno mezz’ora senza che la chiami novecento volte (“Maaaamma, ho sete! Maaaamma, devo andare in bagno! Maaaaaaammma, dove sono i fazzoletti di carta?”).

Misura la temperatura a occhio, poggiando una parte qualunque del proprio corpo sulla fronte accaldata del figlio. E ottiene peraltro un risultato di gran lunga più attendibile della media pesata di otto misurazioni consecutive con termometro analogico e digitale. Al bisogno, somministra dosi di antipiretico misurate in “mezzi cucchiaini”, e diluite in succhi, acqua, miele e qualunque altro intruglio le permetta di evitare l’ennesimo incontro di lotta greco-romana per riuscire a far prendere la medicina a suo figlio.

I leggings in caldo cotone e l’elastico per i capelli diventano la sua divisa d’ordinanza, e si ritiene soddisfatta delle condizioni della propria casa nel momento in cui ha gettato via la maggior parte dei fazzoletti sporchi dispersi in giro.

Permette a suo figlio di pasteggiare con le schifezze più inenarrabili, purché ingerisca finalmente qualcosa di solido. E per avere la scusa di attingere alle stesse schifezze, innalzando almeno un po’ il livello di endorfine nel proprio sangue.

La mamma a casa con un figlio influenzato, dopo qualche giorno, semplicemente cerca di sopravvivere. Sempre se la malattia non finisce per cogliere anche lei.

23 Gennaio 2018 2 Commenti
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I figli, al momento giusto

by Silvana Santo - Una mamma green 29 Novembre 2017

Io non so cosa voglia dire desiderare un figlio. Ho deciso di farne uno all’alba dei 31 anni, perché sapevo che “prima o poi ne avrei voluti”, che nel mio progetto di vita i bambini erano un tassello irrinunciabile. E allora ho valutato che quello fosse il momento migliore per provarci, anche se non sentivo questo desiderio impellente e struggente di avere un neonato tra le braccia. Dopo un mese, senza quasi pensarci, ero incinta di Davide. E pochi giorni dopo il primo compleanno di mio figlio, ho scoperto di aspettare sua sorella. Noi contavamo di riaprire il cantiere di lì a pochi mesi, e invece lei ha anticipato i nostri progetti, complice una singola notte di “imprudenza”, o meglio di consapevole fatalismo da parte mia e di suo padre (tanto un secondogenito era comunque in programma). Ho due figli, e non ho avuto il tempo di desiderare un bambino. Mi è stata risparmiata l’esperienza che tante amiche mi hanno descritto: l’attesa che ti consuma, la speranza che si rinnova ogni mese, la frustrazione che ti arriva addosso come una slavina, e che ti toglie il respiro. E il pensiero che torna sempre lì, attirato dal magnete potentissimo del desiderio incompiuto, del bisogno disatteso, dell’istinto castrato. Le domande inopportune, i commenti fuori luogo, lo strazio degli esami e delle cure. Ho avuto una fortuna immensa, un privilegio straordinario. Figli che sono arrivati quando io ho pensato che fosse il momento giusto, nel modo più semplice che esista, quello che gli umani conoscono dalla notte dei tempi.

Figli che non si sono fatti attendere, e che non sono, al contrario, piombati nella mia vita quando io, a diventare madre, non ci pensavo neanche lontanamente. Perché anche questo, mi è stato risparmiato: il calvario di fronte a un ritardo, l’atrocità del dubbio di fronte a un test di gravidanza inaspettatamente positivo. La fatica di accettare una maternità che non era programmata, o lo strazio di pensare di interromperla. In questo caso, però, la fortuna forse c’entra poco, e questo privilegio si chiama piuttosto contraccezione. Una priorità, sempre e comunque. Perché fare un bambino è una scelta che richiede sempre un pizzico di follia, ma che va ponderata cento volte. Perché un figlio, anche se lo hai programmato, ti sconvolge la vita, ti scoperchia l’inconscio, ti rivoluziona le giornate nel bene e nel male, nei secoli dei secoli. Scuote dalle fondamenta l’impalcatura stessa delle tue sicurezze, del tuo equilibrio, del tuo sentire. Ristabilisce le tue priorità. Espone a nuove prove – e inevitabili rischi – la coppia di cui fai parte e la tua vita sociale. Figuriamoci se non era previsto.

I miei due figli sono arrivati al momento giusto: ho avuto una fortuna immensa, e anche tanto buon senso. La prima non si può comprare, né prendere in prestito o a noleggio. Ma sul secondo, per fortuna, abbiamo tanto da poter fare.

Post in collaborazione con Baby Comp Italia, azienda che distribuisce in Italia una gamma completa di dispositivi per una pianificazione della gravidanza e una contraccezione naturali e a basso impatto sull’ambiente. LADYCOMP baby, LADY-COMP, LADYCOMP basic e Pearly sono degli strumenti diagnostici computerizzati che, sulla base della temperatura basale della donna, consentono il monitoraggio dei giorni fertili e quelli non fertili del ciclo. Possono essere un valido aiuto per identificare i giorni dell’ovulazione e cercare il concepimento con maggiori probabilità di successo e, al contrario, possono essere utilizzati per evitare una gravidanza da chi, non avendo esigenze di profilassi, non può o non vuole usare contraccettivi ormonali o di barriera (l’uso corretto dei dispositivi Baby Comp garantisce una sicurezza contraccettiva del 99,3%, con Indice di Pearl 0,7), oppure desidera uno strumento ulteriore da associare a un altro sistema per la pianificazione familiare. Dal punto di vista ambientale, permettono di evitare la produzione di rifiuti e il rilascio nell’ambiente di ormoni sintetici, e sono realizzati in Germania con diverse certificazioni che ne attestano la sostenibilità, configurandosi quindi come un contraccettivo green e naturale.

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29 Novembre 2017 0 Commenti
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Bambini sempre raffreddati? 5 cose da sapere

by Silvana Santo - Una mamma green 24 Novembre 2017

Se avete dei figli in età da nido o materna, avrete forse annuito istintivamente leggendo il titolo di questo post. Non esiste chat di mamme, telefonata tra amiche, gruppo di Facebook, riunione familiare o incontro casuale al supermercato che non finisca con lo scivolare sull’argomento stagionale per eccellenza: i bambini sono sempre raffreddati. Del moccio e delle relative conversazioni ce ne libereremo non prima di marzo. Intanto, però, vale la pena ricordare 5 cose da sapere su raffreddore e dintorni. Un po’ perché mi pare che tendiamo a scordarcele. E un po’ perché in fondo esorcizzare fa sempre bene.

Il raffreddore non viene per il freddo

Sì, lo so anche io che si chiama “raffreddore”, ma nella stragrande maggioranza dei casi il raffreddore è causato da una infezione virale, che si trasmette da una persona all’altra, specialmente in condizioni di promiscuità come asili, ludoteche etc. Esistono centinaia di virus diversi che causano il raffreddore, il che spiega perché, con un sistema immunitario ancora “in formazione”, i bambini siano sempre raffreddati. Perché si chiama così, allora? Perché la circolazione di questi patogeni è massima nei mesi freddi e umidi, quando tra l’altro può succedere anche che la risposta immunitaria sia meno efficace. Ma se vostro figlio si becca il raffreddore, sappiate che è colpa di un virus, non del vento o dell’aria fredda. E che forse è più utile lavargli bene le mani, che mettergli la mutanda di lana.

Il raffreddore non si cura

Non esistono farmaci che facciano passare il raffreddore, o che ne possano accelerare il decorso. Bisogna soltanto aspettare (in media da una a due settimane) e riposare se l’organismo lo richiede. Gli antibiotici non servono, a meno che non sia in corso una sovra-infezione batterica, che va sempre e comunque diagnosticata de visu dal pediatra. Somministrarli a sproposito è dannoso per il paziente, per la salute pubblica, per le casse della famiglia e dello stato. E anche per l’ambiente, visto che l’abuso di antibiotici favorisce la comparsa di ceppi di batteri super resistenti. Quello che si può fare, invece, è agire sui sintomi, con farmaci allopatici o fitoterapici, oppure con prodotti naturali: l’antipiretico per far scendere la febbre (sempre dietro indicazione del medico), il miele come emolliente, il vapore per provare a liberare le narici, etc.

Bambini sempre raffreddati? Aprite le finestre!

L’aria viziata non è salubre, e anche un eccesso di riscaldamento artificiale può finire col peggiorare le cose (ad esempio aumentando la secchezza dell’aria). Il ricambio d’aria permette di abbassare la concentrazione dei virus nell’ambiente e di migliorare il benessere di grandi e piccoli. Basta usare qualche accorgimento, come evitare di spalancare le finestre mentre il piccolo moccioso o febbricitante si trova nella stanza.

La febbre non è una malattia

Si prende il raffreddore, la gastroenterite, l’influenza. Ma non “si prende la febbre”. L’innalzamento della temperatura non è una malattia che si contrae in qualche modo, ma una reazione dell’organismo a tanti possibili fattori diversi. In caso di raffreddori e simili, è un sintomo. Dire “ho preso la febbre” è come dire: “ho preso uno starnuto”: non significa niente. Va da sé che non ha alcun senso tentare una diagnosi fai da te, o peggio una terapia, solo sulla base della temperatura corporea. Solo il pediatra può stabilire quali sono le cause della febbre e quali sono gli eventuali trattamenti necessari.

L’aerosol non serve per il raffreddore

Bambini sempre raffreddati, aerosol sempre in funzione. Io stessa, anni fa, ho scritto questa ironica ballata. Eppure, non è a quello che serve questo dispositivo tanto usato dalle famiglie italiane. Sull’aerosol ci sono scuole di pensiero diverse, che variano da paese a paese (in molti paesi esteri non si usa affatto), ma in ogni caso è utile per curare asma, bronchite asmatica o broncospasmo, non per raffreddore e otite. La cosa fondamentale, come sempre, è attenersi alle indicazioni del pediatra, e non optare per l’automedicazione.

24 Novembre 2017 3 Commenti
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5 parole che le donne dovrebbero usare di più

by Silvana Santo - Una mamma green 20 Novembre 2017

Noi donne parliamo e parliamo, si sa. Anche e soprattutto sul web, negli ultimi anni. Ma ci sono cose che ancora facciamo fatica a dire. Parole che ci sembrano impronunciabili, perché si riferiscono a cose che non conosciamo bene, che sottovalutiamo o delle quali, peggio ancora, ci hanno convinto che sia il caso di vergognarci. Parole che, invece, le donne dovrebbero usare di più.

Mestruazioni

Forse è perché il gruppo di consonanti al centro risulta un po’ ostico da pronunciare, ma la mia sensazione è che a rendere così sottosfruttata questa parola sia un certo tabù che ancora le aleggia intorno. Come se le mestruazioni fossero qualcosa che ci rende sudicie, sgradevoli. Come se ci fosse qualcosa di cui vergognarsi per un endometrio che si sfalda e sanguina ogni quattro settimane. Da un quarto di secolo mi fanno compagnia ogni mese, e da allora le ho sentite chiamare nei modi più disparati: il ciclo, le mie cose, le regole, i problemi (!) femminili, le rosse, le malefiche e via dicendo. Ma si chiamano mestruazioni (il ciclo, per chiarire, è invece il processo complessivo che coinvolge l’apparato riproduttivo femminile tra una mestruazione e l’altra).

Contraccezione

Mi sconvolge sempre scoprire quante persone – donne e uomini – siano in grado di fare sistematicamente a meno dei contraccettivi, non solo nell’ambito di una relazione monogama e stabile, ma anche in condizioni di maggiore promiscuità. E quante (soprattutto donne) si vergognino ancora di entrare in farmacia e comprare dei profilattici, o di farsi vedere in spiaggia con un cerotto contraccettivo sul braccio. E invece la contraccezione dovrebbe diventare il tema tra i temi. In famiglia, a scuola, online. Perché è cruciale – e mi sento un po’ idiota anche solo a sottolinearlo – in termini di profilassi, di controllo delle nascite e anche di prevenzione dell’aborto.

Orgasmo

Chiamiamolo col suo nome, che non è una parolaccia. Chiamiamolo col suo nome, anche quando ne parliamo con le nostre figlie. Perché non pensino che sia qualcosa da nascondere, o per il quale vergognarsi. Ma neanche una specie di leggenda metropolitana, qualcosa che “se non capita, è normale”. Chiamiamolo senza imbarazzo, come non ci verrebbe mai in mente di vergognarci dicendo “digestione” o “starnuto”. Facciamo in modo che le nostre figlie e i nostri figli sappiano cos’è, come funziona, cosa si può fare e a chi ci si può rivolgere se ci sono difficoltà. Perché le nostre figlie possano esigerlo, e i nostri figli dare per scontato che le loro compagne ne abbiano diritto.

Sterilità

Su questa parola incombe purtroppo uno stigma fortissimo, per le donne e per gli uomini. Perché l’infertilità è ancora una specie di lettera scarlatta. Un difetto di fabbrica, un marchio di sventura. Qualcosa che suscita negli altri commiserazione e pietismo, oppure una totale e feroce assenza di empatia. Perché non essere fisicamente in grado di riprodursi viene sentito, da troppi dei “fertili”, come qualcosa di inammissibile, per il quale sentirsi “inferiori”, irrisolti, incompleti se non addirittura inutili. E al dolore di non riuscire a diventare madre, o padre, si aggiunge così l’imbarazzo, la paura del commento caustico, lo stillicidio senza fine delle domande, quelle sì, inutili. La sterilità è un problema che per molte donne (e uomini) può assumere proporzioni tragiche. Ed è un fatto privato. Ma non dovrebbe mai essere qualcosa che si ha il terrore di condividere per non rischiare di trovare, invece che supporto e conforto, un atroce dito nella piaga.

Vulva (e co.)

Non sono una fan dei tecnicismi. Chiedo normalmente ai miei figli se devono “fare la cacca”, e non certo se hanno bisogno di defecare. E se uno di loro cade, non mi verrebbe mai in mente di domandare se gli fa male l’omero, una natica, o il cranio. Dico “braccio” e dico “testa”, dico “sedere” e dico “pisello”. Però penso che i bambini debbano conoscere anche i termini corretti con cui definire il proprio corpo, in ogni sua parte. E allora forse è il caso di usarli noi per prime, questi termini. Di spiegare che il pisello si chiama pene e che la cacca, più correttamente, si chiama feci. Non è solo una questione di cultura o di lessico. Ma di consapevolezza di sé. Non possiamo conoscere una cosa, averne rispetto e prendercene cura se non sappiamo come si chiama. E questo vale anche per i bambini.

20 Novembre 2017 1 Commenti
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essere madre

La medicina secondo mia figlia di tre anni

by Silvana Santo - Una mamma green 29 Settembre 2017

Il gioco preferito di Flavia è “fare il bebè”. Il bebè umano, ovino, bovino, felino, canino e anche pulcino, poco importa. Ogni cucciolo va bene, purché sia lagnoso al punto giusto e abbia la tendenza – oltre a “svegliarsi e addormentarsi” dieci volte in tre minuti, nonché “fare la cacca nel pannolino” con la frequenza delle peggiori gastroenteriti virali – a “farsi male” ogni 7 nanosecondi netti (e indovinate poi chi è la prescelta per accudire, addormentare, pulire e curare questo povero infante più sfigato del dolce Remì?). Il bebè ha la sua visione delle cure necessarie per ristabilirsi dalle proprie inenarrabili sventure, che poi sono le stesse che la piccola sceneggiatrice pretende quando si fa male nella vita reale.

E qui veniamo all’oggetto del post: la medicina secondo mia figlia di tre anni.

1. La pomatina made in Lourdes

Punture di zanzara, graffi, ematomi, unghie spezzate, ginocchia sbucciate e perfino i nei. Qualsiasi accidente, secondo Flavia, può essere affrontato con l’applicazione di generose doti di “pomatina”, possibilmente densa e pastosa. Lei non può saperlo, ma l’unguento miracoloso non è altro che una semplice pasta all’ossido di zinco, che però le dona sempre immediato sollievo manco l’imposizione di entrambe le mani da parte del Divino Otelma. Placebo spalmabile in tubetti da duecentocinquanta grammi.

2. Il cerotto universale

Che nella maggioranza dei casi viene sostituito da pezzi di normalissimo nastro adesivo trasparente. Lo scotch, proprio lui. Con cui lei si mummifica mani e piedi allo scopo di farli guarire da imprecisati disastri.

3. Il “massaggino”

Nella libera interpretazione di Flavia, una specie di shiatsu tailandese acrobatico, che puntualmente finisce col rendere reale il dolore immaginario che avrebbe dovuto curare. Peccato che questa tecnica sia quella che mia figlia predilige quando giochiamo a parti invertite, e farsi curare con tanta delicatezza tocca alle povere membra di sua madre (già anchilosate dalle mie posture da shinigami e dall’acido lattico che mi scorre dentro a giorni alterni da quando vado in palestra).

4. L’acqua santa

Ovvero quella che esce dal rubinetto di casa nostra. Che placa i singhiozzi (finti) e riporta la calma (temporanea), come per magia. Un po’ come la birra per me, ora che ci penso.

5. Bacini e carezze

Questa è scontata. A tre anni, non puoi che credere con tutta te stessa che tua madre e tuo padre (ma più tua madre, gnegnegnè) abbiano la capacità di guarirti da ogni male con baci e tocchi taumaturgici. Che poi è solo un modo semplice per dire: “Sto male, e sono spaventato. Ma se tu non mi lasci solo, il dolore e la paura si fanno più piccoli e meno minacciosi”.

Non è il nostro bacio, lo sappiamo bene, che salva i nostri figli. E nemmeno la carezza con cui asciughiamo le loro lacrime, il massaggio premuroso con cui frizioniamo i loro arti dolenti. È sapersi amati, sentirsi al centro delle preoccupazioni di un individuo altro, che li consola e li cura. La sensazione che qualcuno si faccia carico dei loro problemi come se fossero i propri. Con lo stesso trasporto, la stessa attenzione, la medesima partecipazione accorata. In fondo, è un po’ quello che accade ad ognuno di noi: illudersi di non essere davvero soli al mondo. Continuare a raccontarsi che è così, anche quando alle favole abbiamo smesso di crederci da almeno qualche decennio.

29 Settembre 2017 6 Commenti
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Mi chiamo Silvana Santo e sono una giornalista, blogger e autrice, oltre che la mamma di Davide e Flavia.

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