Quando l’estate non era una stagione

Per gran parte della mia vita, il vero San Silvestro si festeggiava a giugno. La chiusura della scuola segnava la conclusione effettiva dell’anno, con tante somme da tirare e qualche proposito – ma solo qualcuno – da affidare al futuro. Oltre quella soglia, offuscata dai primi caldi e bagnata dai gavettoni rituali, c’era una lunghissima sospensione del tempo e di tutte le consuetudini invernali. Un trimestre sabbatico, in cui gli orologi avrebbero scandito ore infinite e il sole sarebbe tramontato sempre troppo presto.

L’estate non era una stagione. Era una condizione speciale dello spirito, un impasto sudato di libertà e di noia, una porta spazio-temporale verso un mondo in cui la normale gerarchia delle priorità era d’un tratto cancellata e sovvertita. Era un limbo in cui sembravano poter accadere tutte le cose, a cominciare da quelle che nel freddo di febbraio erano parse indiscutibilmente impossibili. Il Capodanno settembrino attendeva lontanissimo e inoffensivo. Una prospettiva pallida, a tratti quasi leggendaria.

La vita era qui e ora, sulle panchine roventi di città, nei romanzi cominciati e finiti senza mai staccare lo sguardo, nel sale che si seccava sulla pelle e chiudeva boccoli tra i capelli. La vita, soprattutto, era nelle voci degli amici che cantavano forte insieme alla radio, nelle birre mai abbastanza fredde sorseggiate a turno dalla stessa bottiglia, negli amori nati tra sguardi d’infinito e morti tra le lacrime più livide. Nelle chitarre. Nei racchettoni e nei Super Santos. Nella tv accesa senza tregua su MTV e sui mondiali di calcio, su vecchi telefilm americani e sulle Olimpiadi.

Estate

Era nelle stelle cadenti contate a multipli di 10, nelle fotografie scattate sapendo di dover aspettare qualche settimana per vedere il risultato. La vita era nelle passeggiate senza destino, negli appuntamenti rinnovati tacitamente di giorno in giorno. Stesso posto, stessa ora, tanto qualche amico in giro lo si trova sempre.

L’estate era un tempo lentissimo fatto di nulla, di vuoti, di attese e di lunghe pause tra una pausa e l’altra. Eppure diventava il momento ideale per ogni prima volta, per i cambiamenti sognati e per quelli temuti per un inverno intero. Era il tempo dei bilanci, dei ricordi, del diventare grandi. Delle regole che si facevano finalmente derogabili.

Era anche il tempo della malinconia, del vuoto che in certi pomeriggi interminabili di luglio faceva quasi rimpiangere il freddo, la scuola, la sveglia. Era un tempo semplice e difficilissimo, lieve e faticoso. Un rito annuale che sembrava destinato a rinnovarsi all’infinito. E che invece – qualcuno avrebbe dovuto avvisarmi – un giorno si è estinto senza preavviso. Portandosi via per sempre la parte più azzurra della mia giovinezza.

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5 Commenti

Mamma Avvocato 9 Giugno 2015 - 15:29

O mamma, che malinconia!
Capisco, oh come capisco!
Per me è finita di botto appena iniziata la pratica forense, dopo la laurea. Perchè prima c’erano gli esami ma anche molte giornate di tregua.
Poi, è iniziato il tempo del lavoro sudati e con il caldo, attendendo quelle massimo massimo 2 settimane di ferie, meglio solo 10 giorni.
E non è più finita.

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Prossimavoltamamma 9 Giugno 2015 - 15:55

Ecco vorrei che i miei figli, un giorno, potessero avere più o meno questo genere di ricordi della loro estate!

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Silvana - Una mamma green 9 Giugno 2015 - 21:39

Chi lo sa. Avranno i loro personalissimi ricordi. E saranno comunque speciali 🙂

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MariaPia 10 Giugno 2015 - 08:38

Quanta nostalgia!!!

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Sempre Mamma 10 Giugno 2015 - 11:59

Il mese più noiso era Agosto perchè la maggior parte partivano, mentre io le ferie le facevo i primi di Lugio

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