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Autore

Silvana Santo - Una mamma green

Silvana Santo - Una mamma green

essere madre

Maternità: cose che prima non sapevo e adesso so

by Silvana Santo - Una mamma green 10 Giugno 2013

Quando si aspetta un bambino per la prima volta, è come avere in tasca un biglietto di sola andata per un altro pianeta. Sai che ti aspettano cambiamenti epocali e definitivi, ma in realtà non hai davvero idea di quello che sta per capitarti. E siccome non esiste ancora una Lonely Planet di Venere o di Saturno, per avere qualche informazione sulle novità in arrivo non resta che basarsi sui racconti di viaggio degli altri genitori, più o meno navigati (che tra l’altro, pare non vedano l’ora di condividere la propria esperienza con chi sta per raggiungerli in orbita…). Con il risultato di riempirsi la testa di inevitabili pregiudizi, destinati, a seconda dei casi, a dissolversi in una bolla di sapone o a confermarsi come dei passaggi obbligati sulla via della mammitudine. A quattro mesi dalla nascita del mio primogenito, posso già fare un primo confronto tra l’idea che avevo durante la gravidanza e la realtà che mi aspettava dopo la sala parto.

Cominciamo dalle cose che temevo di perdere e che invece, almeno per il momento, fanno ancora parte della mia vita quotidiana.

I libri. Ho ricominciato a leggere poche settimane dopo il parto, prima su carta (tentativo fallito di finire il nuovo libro di Saviano, mi sono arenata poco prima della metà) e poi sul mio adorato Kindle 3. Anche se i ritmi sono diversi (poche pagine prima di dormire, qualche puntatina in bagno e poco più) e le letture quasi monotematiche (manuali su come evitare di uccidere i bambini, per lo più…), sono molto sollevata. Credevo che la maternità avrebbe messo a dura prova uno dei pezzi più belli della mia vita!

La voglia di viaggiare. Da quando è nato Davide, anche solo uscire a mangiare una pizza rappresenta una fatica, dalla quale per giunta sai già che non avrai a disposizione una notte di sonno per riprenderti. Però si vede che andare in giro, per la sottoscritta e la sua metà, è davvero una necessità: il primo weekend fuoriporta, stremante, è stato un successo, e in programma ci sono già una breve fuga all’estero e due vacanze estive a misura di bambino, ma anche dei suoi genitori. Speriamo solo di arrivare vivi a settembre, ché per il prossimo anno coltivo sogni quanto mai ambiziosi.

Il punto vita. Non credo di avere alcun merito in questo, ma l’allattamento generoso e la vivacità di mio figlio mi hanno permesso di arrivare a pesare meno di quanto segnasse la bilancia nel momento in cui sono rimasta incinta. Certo, il mio addome ha tuttora la consistenza di una creme brulee, ma questa è un’altra storia.

Il sarcasmo. Prima di mettere in cantiere un figlio, ero solita freddare con battute a basso pH tutti quelli che consideravo eccessi di retorica sul tema della maternità (avete presente i coretti gioioso-isterici che scattano alla vista di un pupo e tutto il campionario di frasi stile “I figli so’ piezze ‘e core”?). Allora mi si pronosticava che “sarei cambiata quando avrei aspettato il mio, di figlio”. Poi sono rimasta incinta, e ho cominciato a minacciare di una morte lenta e dolorosa chiunque eccedesse in gridolini di giubilo, sguardi estasiati e commenti sul senso della vita. A quel punto la chiosa più gettonata è diventata: “Eh, vedrai poi quando ce lo avrai tra le braccia, tuo figlio…”. Alla fine, quel marmocchio l’ho ovviamente partorito, ma questo non mi ha trasformata in una maniaca della maternità. Amo mio figlio con tutto il mio cuore, lo trovo carino, tenerissimo e molto sveglio, ma non penso che la mia vita sarebbe stata priva di senso senza la sua nascita. Soprattutto, conservo il coraggio di riconoscere anche le difficoltà e le rinunce legate al mio nuovo stato.

Le tette. Sarà che spaventare le gestanti ha una popolarità seconda solo al bricolage e alla decorazione del pan di Spagna – entrambe attività che hanno ottenuto il podio recentemente e solo grazie ai programmi di Real Time, tra l’altro – ma quando ero incinta sentivo che allattare al seno mio figlio sarebbe stata un’impresa improba. Tutte a raccontarti di areole sanguinolente, capezzoli martoriati, infezioni purulente e altre robe alla Dario Argento, salvo poi asserire, con l’aria più materna possibile, che “Allattare è una gioia immensa”. Alla fine, sono arrivata in reparto maternità con un’ansia da prestazione che manco Rocco Siffredi al suo debutto cinematografico, tanto che il giorno dopo il parto, ancora in attesa della montata lattea, sono scoppiata a piangere tra le braccia di un’ostetrica, dando poi spudoratamente la colpa al baby blues. La verità è che quello che dovrebbe essere un gesto istintivo e naturale era diventato, nella mia mente, un compito ostico e pericoloso. In realtà, è bastato seguire le indicazioni del corso di preparazione al parto e farsi aiutare ad attaccare il bambino le prime volte per far partire un allattamento degno di una madre bovina (Davide ha preso 5 kg in 4 mesi). Chili e chili di ansia che avrei potuto tranquillamente evitare.

 

L’amore di mio figlio. Sarà che sono un’insicura patologica. Sarà che la notizia della mia gravidanza ha suscitato più entusiasmo negli altri che nella sottoscritta (io ero troppo occupata ad avere paura). Sarà che dalle mie parti sembra che più che “avere un figlio” le giovani coppie “diano un nipotino” ai propri genitori. Ma quando aspettavo Davide ero terrorizzata dalle possibili ingerenze dei parenti, nonne e nonni in primis. Temevo che non sarei riuscita a far rispettare il mio nuovo ruolo, a far capire che non avevo alcuna intenzione di affidarlo ad altri (visto che sono sottoccupata e sottopagata, potrò almeno godermi il privilegio di crescere mio figlio!), che per far valere i miei principi educativi ci sarebbe stato da litigare. Più di ogni altra cosa, avevo paura di non riuscire a stabilire con lui un rapporto speciale, che lui mi confondesse con altre figure femminili della sua vita. Forse è ancora presto per trarre conclusioni, ma ora so che io e mio figlio siamo uniti da un legame ancestrale, fatto di ormoni, odori e di altri codici chimici che l’evoluzione ha messo a punto nell’arco di migliaia di anni. Che Davide non è un piezzo del mio core, ma è letteralmente fatto di pezzi di me e questo nessuno – neanche il suo stesso padre – potrà mai metterlo in discussione. Che l’istinto materno è una forza poderosa, in grado di farti sopportare, oltre alle smagliature, alla tiralatte a agli assorbenti post partum, qualunque discussione in famiglia, muso lungo o consiglio non richiesto di amici o parenti (che, però, se si astengono, fanno un piacere sia alla mamma che al figlio :)).

10 Giugno 2013 1 Commenti
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pannolini ecologici

Biodegradabili o lavabili? Alla ricerca del pannolino giusto

by Silvana Santo - Una mamma green 5 Giugno 2013

Tratto dalla mia rubrica “Diario di ECOmamma” su La Nuova Ecologia (numero di maggio 2013)

Davide pannolinoLo confesso: la prima volta che ho cambiato mio figlio, sono stata felice che indossasse uno di quegli inquinantissimi pannolini usa e getta del reparto maternità in cui è nato. Le prime feci dei bambini, il meconio, sono una disgustosa sostanza verdastra e appiccicosa, che in caso di fuoriuscite indesiderate risulterebbe, suppongo, davvero difficile da gestire. Appena rientrati a casa, però, ho detto addio ai pannolini tradizionali – realizzati con materiali plastici molto inquinanti, trattati con sbiancanti a base di cloro e contenenti gel ad alta assorbenza che surriscaldano le parti intime dei bebè – in favore di una soluzione più sostenibile, sulla quale avevo ragionato fin dai primi mesi di gravidanza.

Qui, però, mi tocca subito un’altra confessione: per i primi tempi in compagnia di Davide ho deciso di rinunciare ai pannolini lavabili e ricorrere ai più pratici monouso. Nelle loro prime settimane, i neonati richiedono in media 8-10 cambi al giorno, producono deiezioni liquide difficili da contenere e, soprattutto, richiedono ore e ore di cure da parte dei loro genitori. Aggiungeteci che mio figlio è nato in pieno inverno e perdonerete, forse, la deroga momentanea all’uso dei lavabili. Il compromesso? Pannolini usa e getta a basso impatto ambientale, del tutto o in parte compostabili, realizzati con amido di mais e altre sostanze naturali, privi di cloro e (quasi) di gel assorbenti. Finora ho sperimentato un paio di marchi di pannolini biodegradabili, che hanno superato la prova: in termini di assorbenza competono con quelli di plastica e, soprattutto, rispettano la pelle dei piccoli.

L’idea, comunque, resta quella di passare ai lavabili appena possibile, contando anche sul favore dell’estate. In tema di lavabili, la scelta è davvero ampia. Si va dai modelli all-in-one, formati da un unico pezzo simile agli usa e getta (pratici da usare, ma con tempi di asciugatura piuttosto lunghi) ai “prefold”, con una parte interna assorbente da ripiegare e una eventuale mutandina esterna impermeabile, fino ai modelli “pocket”, con una tasca in cui inserire uno o più strati di tessuto assorbente. Per tutti, giurano produttori e utilizzatori, i vantaggi si sprecano, sia in termini economici, sia dal punto di vista ambientale (nel corso della sua vita “pannolinata”, ogni bambino genera, suo malgrado, circa una tonnellata di rifiuti). La scelta dei lavabili, infine, si rivela azzeccata anche per il benessere dei pupi, garantendo una maggiore traspirabilità, evitando al bimbo il contatto con sostanze tossiche e aiutandolo a mantenere le anche nella posizione più corretta.

5 Giugno 2013 3 Commenti
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babywearingessere madre

Piccole avventure di una mamma canguro

by Silvana Santo - Una mamma green 30 Maggio 2013

Parco pubblico della città di provincia in cui vivo, una mattina di primavera. Passeggio con mio figlio che dorme placidamente nel marsupio ergonomico Tula (in realtà, a me sembra più una via di mezzo tra un marsupio ergonomico e un mei tai, qui c’è la mia recensione), prezioso regalo dei nostri amici di sempre. Davide è pancia a pancia con me, posso scorgere il suo musetto addormentato all’altezza del mio sterno). Un tizio di una certa età mi si avvicina con aria preoccupatissima e mi fa: “Signo’, ma sta dormendo!!!”. Il tono è quello di uno che ti avverte che il tuo bambino di pochi mesi sta facendo merenda con escrementi di ratto, o sta per infilare le dita in un’affettatrice di prosciutti. In funzione. Ancora sporca di mortadella ai pistacchi. Rassicuro il passante ansioso con aria perplessa – non capirò mai cosa lo angustiasse tanto – e proseguo.

Cambio di scena: negozio di frutta e verdura sotto casa. Un’amabile vecchina mi sorride, si complimenta per la bellezza di mio figlio – “Pare nu’ bambolotto!” – (per inciso, tra il ciuccio, il berrettino e il retro del marsupio, Davide è tanto bello quanto invisibile…) e si informa della comodità del “coso” che uso per portarlo in giro. Le rispondo che in effetti è molto pratico e che il bimbo ci fa delle grasse dormite. Lei sembra soddisfatta, accenna un sorriso, fa per allontanarsi e ricominciare ad occuparsi della scelta dei kiwi più succulenti, ma poi – è un attimo – cambia di colpo espressione: inarca un sopracciglio, tende i muscoli del collo, storce appena la bocca, solleva una mano con il palmo in fuori e mi dice: “Certo, è comodo, però non si sa mai: una storta, un inciampo, una caduta… Troppo pericoloso!”. Roba che al confronto Cassandra era benaugurante come un quadrifoglio di mezzo metro di diametro.
La tentazione è quella di lasciare sul banco cetrioli e banane (del fatto che i miei acquisti abbiano tutti una inequivocabile forma fallica ne vogliamo parlare?) e darmela a gambe levate recitando un mantra apotropaico, ma mi limito a garantirle che avrei affrontato le pericolose strade metropolitane con la massima attenzione. Se il mio didietro avesse avuto una targa – e viste le sue dimensioni attuali, la cosa avrebbe piuttosto senso – sono certa che la signora l’avrebbe prontamente annotata e comunicata all’assistente sociale di zona.

Tappa successiva: una nota cartoleria del centro. Scelgo un bigliettino di auguri e mi avvicino alla cassa per pagarlo. La proprietaria del negozio attacca con l’immancabile nenia “Quantoèbello-quantoha-maègrandissimo-prendeiltuolatte-lanottedorme-maèilprimofiglio-sembraunbambolotto…”, alla quale rispondo con ormai collaudatissimi sorrisi di cemento. Passano 30 secondi, non faccio in tempo a pagare i due euro e settanta che le devo, e la signora attacca: “Come sta bene in questo marsupio… Però…”. Eccolo, prevedibile quanto la calvizie senile di Piersilvio, il però. “Le manine ce le ha sistemate bene? Altrimenti rischia di farsi molto male!”. Non trovo di meglio da fare che risponderle con la semplice verità: Davide si è addormentato con le mani saldamente piazzate sulle mie tette.

Voi che dite: starà abbastanza comodo?

30 Maggio 2013 5 Commenti
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allattamentoessere madregravidanza e parto

La verità, vi prego, sul diventare mamma

by Silvana Santo - Una mamma green 16 Maggio 2013

Questo post richiede un paio premesse, un po’ come i film zozzi che devono essere contrassegnati dal bollino rosso o le pubblicità dei Sofficini in cui una piccola scritta ci avverte che il sorriso di formaggio che si forma affondando la forchetta è frutto si una spudorata simulazione al computer (avvertimento che tra l’altro non mi ha mai impedito di tentare inutilmente di riprodurre il suddetto sorriso, ma questa è un’altra storia…). Prima precisazione: quanto leggerete si basa esclusivamente sulla mia esperienza, in quanto tale limitata e priva di qualunque rappresentatività statistica. Secondo: sono perfettamente consapevole che il fatto di avere avuto un figlio sano sia una benedizione straordinaria (o una fortuna sfacciata, scegliete voi la formula che preferite). Convivere quotidianamente con la disabilità, la malattia, l’invalidità è semplicemente eroico – io, evidentemente, non avrei questa forza. Terzo e ultimo: non sono depressa e amo con tutto il cuore mio figlio. È solo che mi sta a cuore raccontare alcune cose sulle quali di solito le madri, neofite e navigate, nicchiano. Forse perché il mondo le farebbe sentire inadeguate se solo osassero ammettere la verità.

Latte, amore e frustrazione
Dopo la sua nascita, avvenuta l’8 febbraio scorso dopo un inutile travaglio durato tutta una notte (inutile perché alla fine me l’hanno strappato dalle viscere con un cesareo), mio figlio ha pianto senza posa per tre mesi. Ovvio, direte: è un neonato, cosa vuoi che faccia? Solo che lui piangeva di dolore, per ore e ore, senza poter essere consolato in alcun modo legale o raccomandabile per un bambino di poche settimane. Urlava come un disperato, andando in apnea, diventando cianotico e sudando freddo. Si dimenava, scalciando come un cavallo in calore e serrando i pugni con tutta la forza che un duemesenne può avere. Si graffiava il viso a sangue. Spargeva lacrimoni, sbarrando gli occhi e guardandoti come se stesse bruciando vivo e tu ti limitassi a contemplarlo con aria annoiata. Nelle giornate buone, che grazie a Dio sono progressivamente aumentate di numero col passare dei mesi, questo horror show andava avanti al massimo per un’ora, ma le crisi peggiori sono durate anche mezza giornata, spesso sotto lo sguardo inquisitore di parenti e conoscenti in visita. Roba da far saltare i nervi anche a Madre Teresa di Calcutta.
Il motivo di tanta sonora sofferenza? Quelle che un buontempone sconosciuto ha battezzato “colichette gassose del neonato” (-ette ‘sti cavoli!). In altre parole: dell’aria nella pancia ha messo a dura prova il mio sistema nervoso (e l’udito già labile di mio marito) per settimane. Un disturbo benigno, per carità. Niente che il bambino non dimentichi nel momento stesso in cui termina lo spasmo. Ma, lasciatevelo dire, un autentico strazio. Vedere il tuo minuscolo figlio che si contorce dal dolore senza poterlo aiutare efficacemente, arrivare a sentirlo piangere “nella tua testa” anche quando dorme beato, doverti sorbire i consigli geniali di tutto il vicinato e gestire le domande ansiogene di amici e parenti non è esattamente il modo migliore per recuperare dal parto. L’unica cosa che posso dire a chi si trova ancora alle prese con l’inferno dei mal di pancia (e lo dico piano piano, perché non si sa mai): prima o poi passa, o per lo meno inizia ad andare ogni giorno un po’ meglio…

L’allattamento al seno è una gran cosa. Ma è anche una fatica altrettanto grande.
Ho la fortuna di avere molto latte. Talmente tanto che la Lola mi ha proposto di tenere a balia il suo ultimo vitello e che sono in trattativa con la Sperlari per aprire uno stabilimento delle Galatine nella mia camera da letto. Che gran c**o, penserà qualcuno, e in effetti è la verità. Molti soldi risparmiati, pappa sempre pronta e facile da servire, nutrienti perfettamente bilanciati per il manz… ehm, per il pupo, un legame affettivo con lui che si consolida ad ogni poppata. Ma anche la responsabilità di essere  a disposizione del bimbo accaventiquattro, come si dice adesso. Giorno e notte, sette giorni su sette, per mesi interi. Difficile “evadere” anche solo per un paio d’ore, visto che il richiamo della tetta può scatenarsi, senza preavviso, in qualsiasi momento. E poi: rinunce alimentari, tensione mammaria, crampi uterini, niente farmaci se hai la sfortuna di ammalarti. Insomma, non proprio una passeggiata. Mentre scrivo, mio figlio sfiora gli 8 kg di peso, che per un bimbo di poco più di tre mesi è quasi un record, e io ho intenzione di proseguire con l’allattamento esclusivo fino a quando lui starà bene e io ne avrò le energie (almeno fino ai sei mesi raccomandati dall’Organizzazione mondiale della sanità), però non giudicherei mai una mamma che dovesse scegliere di astenersi e ripiegare sul biberon. Non sentitevi una caccola se siete tra queste, anche se la prima domanda che le madri benpensanti vi fanno, di solito, è: «Gli dai il tuo latte?».

Il lavoro? Parliamo d’altro
Se avete avviato una brillante carriera lavorativa prima di restare incinte, se avete intenzione di farlo e vivete in Italia, aspettatevi di avere qualche difficoltà, per usare un eufemismo spinto. Per la maggioranza dei datori di lavoro nostrani, anche molti di quelli “progressisti” e “illuminati”, la collaboratrice-madre è il male supremo. Il nemico da annientare a suon di sensi di colpa e ricatti morali (anche materiali, perché no: mai porre limiti alla fantasia dei boss italiani). Dunque: consideratevi fortunate se siete tra quelle che hanno mantenuto il posto di lavoro anche dopo la Cicogna. Se poi avete goduto anche di diritti come la maternità e i permessi per l’allattamento, non lesinate in lacrime di commozione e novene di ringraziamento ad almeno una divinità a vostra scelta.

Una donna per amica
Rassegnatevi. Se si dice “senso di fratellanza” e non “di sorellanza”, un motivo ci sarà. La solidarietà non è roba per donne. Se avrete fortuna come la sottoscritta, troverete al vostro fianco qualche amica, cugina (o sorella) o addirittura madri e zie capaci davvero di non giudicarvi, e di sostenervi in modo sincero e costruttivo. Ma, per il resto, le donne che vi circondano cercheranno in tutti i modi, più o meno consapevolmente, di rallentare il più possibile la vostra ripresa e di spingervi a grandi falcate incontro alla più feroce delle depressioni post partum. Oltre a seppellirvi sotto una coltre pesantissima di consigli non richiesti, le già-madri riusciranno a sfoderare i peggiori sguardi di sufficienza e a criticare, di solito in modo subdolo, finanche il colore dei calzini che avrete scelto per vostro figlio. Le non-ancora-madri, dal canto loro, si abitueranno a guardarvi con un misto di commiserazione e disgusto, sottolineando con luciferina nonchalance i chili di troppo che vi sono rimasti sui fianchi o le rinunce alle quali, inevitabilmente, sarete costrette ora che è nato il bambino (Ma «Ifiglisonolagioiapiùgrande», come no…).

I figli so’ piezze ‘e core
Poi, naturalmente, c’è l’invidiabile routine delle neomamme: veglie notturne, rigurgiti nauseabondi, carillon deprimenti, visite sgradite, poco sesso e zero tempo per sé (roba che anche fare la pipì può diventare un lusso). E inoltre, chili di cacca liquida, e su questo aprirei un piccolo inciso: ripulire il proprio figlio neonato dalle sue deiezioni è una cosa che, in fondo, una madre media fa senza troppo sacrificio. Ma da qui a dire che “lacaccadeibambininonfaschifo”, perdonatemi, ce ne passa. La storia della “cacchina santa”, per me, è emblematica dell’ipocrisia che ancora alligna intorno alla questione della maternità. Che sarà anche la cosa più istintiva del mondo, ma, sarebbe ora di ammetterlo senza falsi pudori, rappresenta un’impresa molto faticosa, talvolta alienante, oltre che una limitazione permanente della propria libertà. Vivere ogni giorno della propria vita sapendo che si è scelto di mettere al mondo un essere umano: riuscite a pensare a una responsabilità più grande, a una sfida più impegnativa? Che poi ne valga la pena, questo è un altro discorso.

16 Maggio 2013 5 Commenti
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cosmetici biologici

Liscio come il sederino di un bebè

by Silvana Santo - Una mamma green 8 Maggio 2013

Tratto dalla mia rubrica “Diario di ECOmamma” su La Nuova Ecologia (numero di aprile 2013)

 La pelle dei bambini ha una morbidezza proverbiale. Lo sanno bene le mamme e i papà, consapevoli anche che tanta soffice delicatezza richiede una cura particolare e una scelta sapiente dei prodotti per l’igiene. Quando, tre giorni dopo il rientro dall’ospedale, Davide ha perso il moncone del cordone ombelicale, la prospettiva del primo bagnetto mi ha posto davanti a una serie di alternative. La scelta principale, condivisa con la mia metà, è stata quella di seguire lo stesso principio adottato per noi grandi: evitare detergenti, creme e lozioni che contenessero derivati petroliferi, prodotti etossilati e altri ingredienti potenzialmente inquinanti.

Bando, dunque, a paraffine, petrolati e siliconi, che vengono ricavati a partire da materie prime non rinnovabili, e che non essendo biodegradabili, una volta nello scarico finiscono con inquinare le acque. Personalmente, abbiamo preferito evitare anche i coloranti sintetici (indicati generalmente in etichetta da un numero di 5 cifrepreceduto dalla sigla CI, Colour index), perché possono essere causa di allergie. Per la stessa ragione, meglio scegliere cosmetici privi di profumazioni aggressive: in questo modo, tra l’altro, si evita di alterare o cancellare l’irresistibile odore di bebè!

La scelta di preferire cosmetici ecologici è ovviamente molto personale, ma come assicurarsi che i prodotti selezionati siano davvero green? Affidarsi ai marchi più consolidati non basta: l’unica possibilità, allora, è abituarsi a leggere l’elenco degli ingredienti dei prodotti (INCI, International nomenclature of cosmetic ingredients), ricordando che i diversi componenti sono indicati in ordine decrescente di abbondanza.

Una possibilità per interpretare gli INCI in un’ottica ecologica è il Biodizionario online, che assegna una valutazione di sostenibilità e salubrità agli ingredienti usati nei cosmetici (si tratta comunque di valutazioni soggettive, tenetelo comunque a mente). Personalmente, per mio figlio ho scelto di puntare su prodotti a base di ingredienti naturali, purché non siano di origine animale o estratti da piante in via di estinzione: amido di riso rinfrescante da sciogliere nell’acqua del bagnetto, olio di mandorle puro per elasticizzare e idratare la pelle, burro di karité per nutrire, calendula per lenire screpolature e irritazioni. Oltre al discorso dell’impatto sull’ambiente, trovo infatti gli ingredienti di origine naturale più gradevoli, sia come consistenza che come aroma.

Se pensate di fare la stessa scelte, fate sempre attenzione alle possibili allergie, ricordando che gli estratti vegetali possono determinare reazioni avverse (meglio sempre fare una prova su una porzione minuscola di pelle). Io trovo ottimo anche il classico ossido di zinco per lenire gli eventuali arrossamenti da pannolino. E per una scelta ancora più sostenibile si può optare, come noi abbiamo fatto per Davide, per cosmetici certificati bio, preparati con estratti vegetali provenienti da coltivazioni organiche.

Infine, il mio consiglio è quello di non esagerare con la mania dell’igiene: eccedere con disinfettanti, detergenti e salviette umidificate può nuocere alla delicata epidermide dei neonati, oltre che interferire con il naturale sviluppo delle loro difese immunitarie.

8 Maggio 2013 2 Commenti
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abbigliamento sostenibile

Nanna sicura: occhio alla temperatura e alla biancheria da letto

by Silvana Santo - Una mamma green 9 Aprile 2013
Nanna sicura: occhio alla temperatura e alla biancheria da letto

Foto Ikea

Ancora a proposito di corredino (e visto che andiamo incontro all’estate): l’abbigliamento notturno temperatura della stanza, che non deve in ogni caso superare i 18-20gradi. Molti studi, infatti, hanno dimostrato che un ambiente fresco riduce sensibilmente il rischio di Sids, la cosiddetta sindrome della morte in culla, terrore di tutte i neogenitori.

dei più piccini dovrebbe tener conto anche della

Sempre per garantire la sicurezza dei bimbi durante il sonno, dal Nord Europa arriva il sacco nanna: una soluzione per il riposo di neonati e bambini che consiste in una sorta di “sacco a pelo” sostitutivo di lenzuola e coperte. Oltre a scongiurare il rischio di soffocamento accidentale, pare che aiuti il bimbo a sentirsi più sicuro e a dormire più sereno.

Ne esistono diversi tipi, più e meno pesanti, in tessuti differenti (incluso il cotone organico), di taglie diversificate e per tutte le tasche. Occhio alla misura, però: una taglia troppo grande può compromettere la sicurezza del pupo, che rischierebbe di “affondare” nell’apertura superiore e rimanere impigliato…

Io non l’ho ancora provato, ma intendo sperimentarlo a breve. Stay tuned.

9 Aprile 2013 3 Commenti
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abbigliamento sostenibile

Il corredino del bebè: tessuti naturali e zero chimica

by Silvana Santo - Una mamma green 25 Marzo 2013

Tratto dalla mia rubrica “Diario di ECOmamma” su La Nuova Ecologia (numero di marzo 2013)

Fonte: Mamma.pourfemme.it

«I neonati hanno sempre freddo, quindi vanno coperti molto di più rispetto agli adulti». «I bambini sudano facilmente, meglio vestirli poco». «Attenzione ai colpi di vento e alle allergie!». Quando c’è un bimbo in arrivo, tutti si sentono in dovere di elargire consigli non richiesti e spesso le future mamme si trovano investite da moniti allarmanti e opinioni in deciso contrasto tra loro. Quello della preparazione del corredino è uno dei momenti in cui l’equilibrio psicologico già delicato della donna in attesa viene messo a dura prova dai suggerimenti contraddittori che arrivano da ogni parte: difficile trovare un altro argomento su cui vi sentirete dire tutto e il contrario di tutto.

Come gestire input così contrastanti? Senza pretendere di possedere le chiavi della verità, quando è toccato a me ho cercato di affidarmi al buon senso e di attenermi a poche e semplici “regole” che per lo più sono valide anche per l’abbigliamento degli adulti. Prima di tutto, personalmente ho preferito tessuti di origine naturale, come il cotone, il lino e la seta. Trovo infatti, almeno per quanto riguarda la mia esperienza, che favoriscano la traspirazione, evitano che il bimbo sudi troppo e che la sua pelle delicata diventi terreno fertile per dermatiti, micosi e infezioni batteriche. La lana non andrebbe usata a diretto contatto con la pelle dei neonati, perché potrebbe causare prurito e fastidiose irritazioni (meglio optare per il caldo cotone), ma resta un’ottima scelta per gli strati più “esterni”, come golfini, cardigan e copertine.

Anche per le fibre naturali, comunque, occorre sempre assicurarsi che gli abiti non contengano formaldeide, metalli pesanti, ftalati, coloranti nocivi e altre sostanze chimiche allergeniche, tossiche o inquinanti. Sul mercato esistono diverse certificazioni che attestano la salubrità dei prodotti tessili, come il bollino Eco Safe o lo standard Oeko-Tex, ma una delle scelte più sicure è quella di affidarsi ai filati biologici. Il cotone organico, come le altre fibre naturali bio, viene coltivato senza usare prodotti chimici di sintesi come fertilizzanti o pesticidi, non contiene allergeni né Ogm e l’intera filiera di lavorazione esclude l’impiego di sbiancanti, tinte o detergenti nocivi per la salute e per l’ambiente. Attenzione, però: tutti i capi realizzati in fibre biologiche devono essere contrassegnati con un apposito marchio rilasciato da un organismo di certificazione indipendente.

Quanto al dilemma atavico su quanto coprire il bambino, il sistema migliore è forse quello di vestirlo a strati, in modo da coprirlo e scoprirlo facilmente a seconda della temperatura esterna. In ogni caso, meglio non esagerare con la paura dei colpi di freddo: uno strato in più rispetto a quello che indossiamo noi è più che sufficiente per tenere al caldo anche un bimbo freddoloso.

25 Marzo 2013 9 Commenti
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gravidanza e parto

Partorirai con piacere: il parto orgasmico (sarà…)

by Silvana Santo - Una mamma green 20 Marzo 2013

Gli inglesi lo chiamano “orgasmic birth” e parte dalla convinzione che, adeguatamente preparata, messa a proprio agio in un ambiente confortevole e possibilmente familiare, supportata e stimolata sessualmente dal compagno, una partoriente possa arrivare a provare un intenso orgasmo durante il travaglio. Un orgasmo. In pieno travaglio. Sarò sincera: quando mi hanno parlato la prima volta di questa faccenda del parto orgasmico, il mio scettico sopracciglio è scattato così in alto da rendermi per qualche istante la sosia perfetta di Carlo Ancelotti.

Però poi mi sono detta: l’umanità è talmente strana che potrebbe esserci qualcosa di vero. E così ho fatto delle ricerche, scoprendo che, effettivamente, un certo numero di donne giura di aver raggiunto il massimo del piacere sessuale proprio durante le doglie. Guardare per credere (il documentario integrale, a dire il vero, è a pagamento, il che mi ha fatto venire qualche dubbio sulla reale natura di questa setta della contrazione libidinosa: che sia niente di più che una nuova forma di speculazione economica? O un business del porno sadomaso camuffato da fenomeno new age?).
 Comunque. Nonostante alla fine abbia avuto il cesareo, io il mio bel travaglio l’ho fatto quasi per intero, e francamente non ricordo di aver provato niente di seppur vagamente simile all’eccitazione sessuale. Anzi, se quella notte avessi potuto vendere il mio utero su ebay, oppure barattarlo con una fioriera da balcone su Subito.it, lo avrei fatto senza esitare. Sarò strana io. O forse sono le tizie dell’orgasmic birth a essere semplicemente delle masochiste patologiche travestite da hippie con la panza. E voi cosa ne pensate?

 

20 Marzo 2013 4 Commenti
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gravidanza e partorimedi naturali

Prepararsi al parto: consigli utili per evitare il panico

by Silvana Santo - Una mamma green 18 Marzo 2013

Tratto dalla mia rubrica “Diario di ECOmamma” su La Nuova Ecologia (numero di febbraio 2013)

Partorirai con dolore. Ovvero come tre semplici parole possano condizionare una donna al punto da indurla a pensare con orrore a quello che in realtà è un evento fisiologico, per quanto impegnativo e – ammettiamolo subito senza ipocrisia – di norma doloroso. Dopo il test di gravidanza, le ho ripetute a me stessa in loop, come un mantra “al contrario” che non faceva altro che incrementare la paura e fiaccare la mia autostima. Colpa degli ormoni, probabilmente. Ma anche di un retaggio culturale che ormai considera il parto come un’esperienza medica qualsiasi, alla stregua di un intervento chirurgico terapeutico, nonché della tendenza, macabra e per me inspiegabile, che molte madri hanno nel raccontare il proprio con particolari degni di un film di Tarantino.

Confesso, dunque, di aver dovuto compiere uno sforzo non indifferente per riprogrammare la mia percezione del travaglio. Il corso di preparazione al parto, in questo senso, è stata un’esperienza utile (per quanto molto carente su altri aspetti). Un’occasione per confrontarmi con altre primipare spaventate, ma soprattutto per imparare cose che ignoravo o che conoscevo poco e male. A cominciare dalla corretta respirazione da effettuare durante le contrazioni, fondamentale per mantenere una buona ossigenazione e per “distrarsi” dalle doglie. Inspirare profondamente dal naso ed espirare dalla bocca per tutta la durata della contrazione: sembra un dettaglio insignificante, ma non lo è, a prescindere che si scelga di partorire a casa o in ospedale. Come non lo sono le tecniche di rilassamento che permettono di affrontare meglio il travaglio. Per prima cosa, aiuta concentrarsi su un pensiero felice, del tutto slegato dall’esperienza che si sta vivendo: un viaggio fatto o previsto, un libro amato, una borsetta desiderata.

Anche la musica può servire: preparate una playlist e chiedete all’ostetrica di farvela ascoltare nei momenti clou. Sconsigliato, al contrario, fissarsi sul pensiero delle contrazioni: non serve a niente se non a stancarsi nel corpo e nello spirito. E a proposito di corpo e di stanchezza, fondamentale anche imparare come e quando “spingere”. Dimenticate i film americani con donne trafelate che iperventilano sul sedile posteriore di un taxi giallo: la famosa spinta in apnea, da compiere con i muscoli addominali durante la contrazione, va riservata per le ultime fasi del parto, quando la dilatazione della cervice è completa. Al di là degli aspetti psicologici, poi, nelle ultime settimane di gestazione è utile massaggiare tutti i giorni l’area del perineo con un olio naturale (evitate gli oli essenziali, però): delicati massaggi circolari, infatti, permettono di aumentarne l’elasticità e ridurre il rischio di episiotomia.

È stato grazie a questi accorgimenti che sono riuscita ad entrare in sala travaglio con maggiore consapevolezza e fiducia in me stessa (anche se poi la presentazione occipitale di Davide ha reso necessario un parto cesareo, nonostante il travaglio fosse praticamente giunto al termine). Ricordando che una traduzione più corretta dell’ammonimento biblico recita in realtà “partorirai con fatica”. Detta così fa molta meno paura, vero?

18 Marzo 2013 3 Commenti
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animaligravidanza e parto

Gravidanza, gatti e toxoplasmosi: un pregiudizio da sfatare

by Silvana Santo - Una mamma green 15 Marzo 2013
La toxoplasmosi è una malattia causata dal parassita Toxoplasma gondii. Sebbene sia priva di rischi per adulti e bambini, rappresenta un pericolo da non sottovalutare se contratta in gravidanza, perché può provocare danni molto seri al feto, fino all’aborto. Una semplice analisi del sangue permette di capire se la gestante ha già contratto l’infezione in precedenza, ed è quindi immune, oppure se deve osservare una serie di precauzioni per evitare di infettarsi durante l’attesa.
Precauzioni che includono il non mangiare insaccati crudi o carni al sangue, utilizzare i guanti durante le attività di giardinaggio, lavare accuratamente la verdura da consumare cruda. Accanto a questo, è necessario, se si vive con uno o più gatti, delegare la pulizia quotidiana della lettiera a un’altra persona, oppure, se occorre farlo da sole, utilizzare dei guanti e lavarsi immediatamente le mani.
Ammesso che il felino sia portatore del parassita (un’ipotesi molto remota se non mangia carni crude e non vive a contatto con altri animali), espelle le ovocisti solo attraverso le proprie feci e solo in un arco di tempo molto limitato della sua vita. Perché le cisti diventino mature e infettive, inoltre, occorre che restino nella lettiera per almeno 24-48 ore. Il rischio di contrarre la toxoplasmosi semplicemente vivendo con un gatto, pertanto, è praticamente nullo se si seguono delle elementari norme igieniche. Eppure il pregiudizio secondo cui le gestanti dovrebbero stare alla larga dai felini è duro a morire.
Nella foto: io, Davide (prima di nascere) e il nostro adorato Artù.
15 Marzo 2013 2 Commenti
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Mi chiamo Silvana Santo e sono una giornalista, blogger e autrice, oltre che la mamma di Davide e Flavia.

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