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Autore

Silvana Santo - Una mamma green

Silvana Santo - Una mamma green

cosmetici biologicipannolini ecologicirimedi naturali

Recensione: Pasta all’ossido di zinco Bio Bio Baby

by Silvana Santo - Una mamma green 17 Luglio 2013

Se neonato uguale pannolini, pannolini (usa e getta) uguale, purtroppo, arrossamenti e irritazioni. Tra i prodotti che difficilmente mancano nell’ideale beauty case di un bambino piccolo, dunque, c’è la pasta protettiva a base di ossido di zinco, utile appunto per prevenire o curare eventuali reazioni della pelle al contatto costante con il pannolino.

Alla ricerca di un prodotto privo di sostanze tossiche e inquinanti ma reperibile a un prezzo decente, mi sono imbattuta nella Pasta all’ossido di zinco della linea Bio Bio Baby, prodotta in Italia dalla Pilogen Carezza.

Ecco quello che si legge sulla confezione:

La pasta all’ossido di zinco 15% ed estratto biologico di calendula (dermatologicamente testata) con Burro di karitè, Olio di riso, olio di mandorle, Bisabololo, Vitamina E. La sua ricca formulazione e la sua consistenza creano un sottile strato impermeabile che protegge il sederino dei piccoli dal contatto col pannolino bagnato. Ideale anche per tutte le zone del corpo arrossate.

La Pasta all’ossido di zinco Bio Bio Baby è un prodotto Ecobiocosmesi certificato ICEA AL N° 033BC006.

 

Questo, invece, è l’Inci:

Ricinus communis seed oil vv

Zinc oxide g

Butyrospermum parkii (burro di karité) * vv

Hydrogenated castor oil vv

Copernicia cerifera cera (Carnauba) vv

Calendula officinalis extract* vv

Helianthus annuus seed oil (olio di girasole)* vv

Oryza sativa bran oil (olio di riso) vv

Prunus amygdalus dulcis oil (olio di mandorle dolci)* vv

Tocopheryl acetate vv

Bisabolol vv

Profumo biancobianco

*da agricoltura biologica

Il prodotto, in tubi di plastica da 150 ml, è reperibile online o in alcuni supermercati (io lo compro all’Auchan) a un prezzo di circa 8 euro, ma ne esiste anche una versione da 75 ml.

E questa la mia recensione:

La pasta si presenta come la maggior parte dei prodotti concorrenti: bianca, densa, di consistenza – ma va? – pastosa. L’odore, piuttosto delicato, è quello tipico “da bebè” e la resa è alta (ne basta poca per ogni applicazione).
La mia esperienza con la pasta protettiva Bio Bio Baby è assolutamente positiva: non so se sia per questo, se per la scelta dei pannolini ecologici, per il limitato ricorso alle salviette imbevute o per la frequenza dei cambi e dei lavaggi (o magari è solo fortuna!), ma Davide non ha mai avuto dermatiti o arrossamenti particolarmente preoccupanti. Quando, dopo qualche cambio frettoloso fuori casa oppure per gli effetti della dentizione, si è manifestato un lieve rossore, l’applicazione del prodotto lo ha risolto nel giro di poche ore. Anche l’irritazione causata dai pannolini di plastica del reparto maternità è stata curata con questo prodotto, che si è riovelato utile anche per trattare qualche graffio superficiale (per quanto spesso si tagli loro le unghie, i neonati sembrano sempre Edward Mani di Forbice!) e dei brufoletti. L’unica difficoltà, che credo possa dipendere dall’alta concentrazione di ossido di zinco, sta nella leggera difficoltà che si incontra nello spalmare la pasta quando fa particolarmente freddo, ma è un problema davvero marginale. In conclusione, la Pasta all’ossido di zinco Bio Bio Baby è decisamente promossa (a differenza della versione spray, che trovo troppo liquida e di difficile applicazione).

17 Luglio 2013 5 Commenti
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viaggi

In vacanza con i bambini: piccola guida per un viaggio sostenibile

by Silvana Santo - Una mamma green 17 Luglio 2013

Tratto dalla mia rubrica Diario di ECOmamma su La Nuova Ecologia (numero di luglio/agosto 2013)

Per chi, come la sottoscritta, è abituato da sempre a viaggi low cost e low impact, la prima vacanza con bambino al seguito può rappresentare una vera e propria rivoluzione, a cominciare dalla quantità e dalla mole delle valigie. Per una legge fisica mai formulata ma sperimentata da molti, sembra infatti che la quantità di bagagli necessaria sia inversamente proporzionale alle dimensioni del viaggiatore: spostarsi con un bambino, di norma, somiglia più a un trasloco che a una vacanza. Per non esagerare, il mio consiglio è di adottare la tecnica che ho usato io per il primo fine settimana fuori porta insieme a Davide: scrivere con calma una lista dettagliata delle cose da portare e attenersi scrupolosamente alle indicazioni dell’elenco.

Quanto alle destinazioni, la nascita di un figlio può rappresentare una preziosa occasione per riscoprire mete vicine, riducendo in questo modo le distanze percorse e l’impatto ambientale del trasferimento. Aree protette e altri luoghi “di natura” rappresentano una destinazione ideale per i più piccoli. Per la mia famiglia, ad esempio, quest’anno solo località italiane, il più possibile incontaminate: Dolomiti trentine e spiagge dell’Argentario. Chi è abituato a spostarsi in automobile, ma questo vale non solo per la villeggiatura, dovrebbe chiedersi se una famiglia in crescita ha davvero bisogno di una station wagon o di un SUV, o se non può piuttosto continuare a muoversi con la stessa auto che usava prima che nascesse il bambino. Passeggini e altri oggetti ingombranti, in fondo, si usano per poco tempo, e in caso di necessità possono al limite trovare posto su un normale portapacchi. Potendo scegliere, in ogni caso, meglio spostarsi con i mezzi pubblici, in viaggio come in città (ma questo vale anche per chi figli non ne ha).

Per chi ha un bambino molto piccolo, poi, anche la scelta del periodo in cui programmare la vacanza può contribuire a ridurre l’impatto ambientale: mio marito ed io, peresempio, abbiamo organizzato la nostra villeggiatura in modo da partire quando Davide sarà ancora allattato al seno. Oltre alla maggiore praticità, questo ci permetterà di viaggiare più leggeri e di evitare di ricorrere a confezioni di pappe usa e getta. Per i più grandicelli, invece, la rosa delle possibilità si amplia, permettendo di optare, ad esempio, per una vacanza in bicicletta, un giro in barca a vela o, meglio ancora, un campo di volontariato ambientale come quelli che Legambiente organizza ogni anno in Italia e all’estero. Occhio, infine, alla scelta della struttura in cui soggiornare: meglio puntare su alberghi, campeggi e residence che seguano i principi dell’ecoturismo, ricordando che ad essere “viaggiatori” piuttosto che “turisti” si impara da piccoli.

Link utili
In vacanza nei parchi. In Italia oltre il 10% del territorio è protetto: parchi naturali e regionali, aree marine protette e altre riserve rappresentano la soluzione ideale per una vacanza in famiglia (ma anche in coppia, in gruppo o da soli) all’insegna della natura, ma anche della storia, dell’arte e delle specialità gastronomiche regionali.

Volontari con Legambiente. L’associazione del Cigno propone ogni anno un’ampia scelta di campi di volontariato per bambini, per ragazzi e per famiglie. Un’occasione per dedicare un po’ di tempo alla salvaguardia dell’ambiente, ma anche per fare nuove amicizie e “vivere” splendide località.

Eco è meglio. Viaggiare leggeri non significa solo partire con un bagaglio poco ingombrante, ma soprattutto fare scelte consapevoli per quanto riguarda il tipo di struttura ricettiva, l’alimentazione, le attività ricreative, l’atteggiamento verso la popolazione e la cultura locali. Chi desidera viaggiare in modo rispettoso dell’ambiente può scegliere tra le proposte di Ecoturismo Italia.

17 Luglio 2013 3 Commenti
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mamma green

Neonati in piscina: coccole in acqua per tornare alla natura

by Silvana Santo - Una mamma green 15 Luglio 2013

Per dirla tutta, non sono così convinta che sia una cosa davvero sostenibile. Però vi assicuro che portare un neonato in piscina è davvero un’esperienza molto intensa e rilassante e, in un certo senso, ci riavvicina – madre e figlio – alla nostra natura di mammiferi che si formano e si preparano alla vita in un mezzo liquido. Noi abbiamo cominciato quando Davide non aveva ancora 4 mesi e la diffidenza iniziale è stata lieve e passeggera. Da allora, grazie all’assistenza sapiente di Anna, la nostra istruttrice specializzata in attività acquatiche per bambini, i progressi sono stati notevoli.

Non sarà come questa bimba estone che a 1 anno e 9 mesi si tuffa come la Cagnotto, ma dopo appena un mese e mezzo di bagni a cadenza settimanale, mio figlio mostra una discreta confidenza con l’acqua, è in grado, col mio sostegno, di muoversi attraverso la piscina seguendo una palla o un piccolo giocattolo galleggiante, manifesta interesse verso gli altri piccoli nuotatori e accetta di essere messo a pancia in su, una posizione che le prime volte gli risultava assolutamente insopportabile. Non solo. Oltre a tollerare senza problemi il contatto dell’acqua con viso, occhi e bocca, Davide riesce, tra le braccia sicure dell’istruttrice, ad immergersi completamente per pochi secondi. A cinque mesi, dopo appena sei settimane di esercizio. Oltre a divertirsi, tra l’altro, lui mette in movimento muscoli che non eserciterebbe senza l’attività acquatica e, come ha spiegato Anna a noi mamme entusiaste, migliora la propria coordinazione motoria e rafforza ulteriormente il legame con la sottoscritta. Senza contare che quando torniamo a casa dopo la seduta in piscina, crolla addormentato per circa un paio d’ore, permettendo a mamma e papà di pranzare e riposarsi in santa pace.

Certo, c’è l‘impatto ambientale, innegabile. Però va detto che la piscina per bambini che frequentiamo è molto piccola, che la temperatura dell’acqua, così come quella degli spogliatoi, non è mai particolarmente elevata e che la quantità di cloro impiegata è davvero ridotta, anche perché, vista la tenera età dei bagnanti, la direzione dell’impianto (Gusto Wellness di Mariglianella, in provincia di Napoli) garantisce la potabilità dell’acqua utilizzata nella vasca dei neonati. E poi resta comunque un’attività collettiva e condivisa, nel senso che lo stesso dispendio energetico e il medesimo impiego di acqua e sostanze chimiche viene sfruttato da diversi utenti contemporaneamente (come dire, non è come se ognuna di noi mamme del sabato mattina avesse una propria piscina nel salotto di casa). Se poi dovesse servire a mio figlio per imparare ad amare e rispettare l’ambiente acquatico, sarà valsa la pena una volta di più. Splash!

15 Luglio 2013 4 Commenti
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essere madrelibri

Lupi, orchi e l’uomo nero: tutti gli orrori delle ninne nanne

by Silvana Santo - Una mamma green 12 Luglio 2013

Qualche anno fa, girellando nei dintorni di Granada, udii cantare una popolana che addormentava il suo bambino. Avevo sempre notato la tristezza delle nostre canzoni di culla; mai come allora, però, avevo colto questa verità in tutta la sua concretezza.

Così racconta Federico García Lorca all’inizio di un, almeno per me, interessantissimo libretto che si intitola Sulle ninne nanne (Salani Editore, 2005). La pubblicazione, che ho scoperto grazie alla segnalazione di Concita De Gregorio nel suo struggente Una madre lo sa è in realtà la trascrizione di una conferenza tenuta dal grande poeta andaluso alla fine degli anni Venti del secolo scorso (o all’inizio dei ’30, non ne sono sicura) sul tema delle ninne nanne nella tradizione popolare spagnola. Peregrinando per la Spagna con un orecchio teso verso i canti delle mamme e delle balie, García Lorca scopre una verità che mi pare applicabile alla lettera anche alle nenie per bambini che si cantano in Italia, e che ho sempre trovato un po’ angosciante e in qualche modo incomprensibile: le canzoni e le filastrocche che dovrebbero accompagnare i bimbi tra le braccia di Morfeo sono piene di immagini inquietanti, oscure e spaventose. E pure, in qualche caso, diseducative e vagamente razziste.

Se in Spagna pretendono di rilassare i bambini con le storie di gitane malvagie, tori furiosi e mostri dalle sembianze indefinite, le mamme italiane cercano da decenni di far scivolare nel sonno i propri figli minacciandoli di abbandonarli tra le grinfie di orride befane, lupi cattivissimi e uomini neri (perché poi non sono mai bianchi, questi crudeli spaventa-bambini?). Oppure cercano di conciliare il sonno raccontando di ciotole vuote e di mense reali dove scarseggia perfino l’insalata. E non finisce mica qui. Basta una ricerca sommaria per scoprire, nell’ordine, cagne che rubano la pappa per portarla ai propri cuccioli (l’ossessione italica per il cibo, evidentemente, viene fuori anche qui), bambini costretti ad assopirsi perché passi loro “la bua”, piccoli mutanti con stelle al posto degli occhi e strane vecchie che si stagliano tremolanti sulle culle mentre i piccoli fanno la nanna. Tanto vale, a questo punto, piazzarli davanti a una maratona di Marzullo e sperare che crollino per sfinimento.

La tradizione napoletana, che pure conosco appena, invoca addirittura la Vergine Maria perché prenda con sé il bambino (se per poi restituirlo alla legittima madre, questo non è chiaro) e, soprattutto, ci regala l’intramontabile classico del lupo che mangia la povera pecorella – quanto la cultura popolare del lupocattivo avrà influito sul destino, quello sì crudele, che sta piombando addosso a questi splendidi predatori? -, mentre il compianto Bruno Lauzi, in un brano che peraltro adoro, minacciava un bambino reticente di torture indicibili se non si fosse rassegnato a dormire.

Il top, per me, resta comunque la commovente Ninna nanna di Angelo Branduardi, mutuata da una ballata scozzese del Sedicesimo secolo (Mary Hamilton, celebre nella delicatissima versione di Joan Baez) che racconta di una serva costretta ad abbandonare il suo bambino nato da una relazione illecita con il re di Scozia. Nel brano, la culla con il piccolo addormentato viene affidata al mare, e sua madre piange fino all’alba per il dolore della perdita (nella versione originale, perché nel testo di Braduardi il rimpianto materno non è così esplicito). Roba da far impallidire Mosè. Io stessa, lo confesso, ho canticchiato la versione italiana a mio figlio più di una volta, chiedendomi poi perché mai avrebbe dovuto abbandonarsi al sonno se questo avesse potuto significare essere abbandonato per davvero.
Ora, sarà anche vero che, come mi ha fatto notare mio nipote Daniele, i bimbi piccoli non possono comprendere il significato letterale di quello che cantiamo loro, però trovo quanto meno singolare che si cerchi di far dormire i bambini spaventandoli con immagini cupe e storie tristi, spaventose e pure anti ecologiche. Federico García Lorca trova una serie di spiegazioni che forse possono valere anche per la tradizione italiana (ma non so se qualcuno abbia fatto studi in proposito): molte ninne nanne sono state inventate da popolane disgraziate per le quali i figli erano sempre troppi, o troppo precoci, oppure da mogli infelici che cantavano i loro amori fedifraghi ai piccoli avuti dai mariti che detestavano. Quel che è certo, come scrive la De Gregorio nel suo libro, è che addormentare un bambino è talvolta un compito estenuante. Può essere un’esperienza tanto frustrante quanto catartica, aggiungo io. E, tutto sommato, cantare ai figli la propria fatica è molto umano, confessare loro il lato oscuro dell’amore sconfinato che ogni madre conosce è, in fondo, un coraggioso atto di onestà.

Ma in ogni caso io torno a chiedermi: cosa c’entrano in tutto questo i poveri lupi?

Riferimenti discografici:

Ninna nanna ninna oh

Ninna nanna del chicco di caffè

Eugenio Bennato, Ninna nanna di Carpino

Bruno Lauzi, Ninna nanna meridionale

Angelo Branduardi, Ninna Nanna

Joan Baez, Mary Hamilton

12 Luglio 2013 19 Commenti
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Mobili in legno e parquet ecologici per salvare le foreste

by Silvana Santo - Una mamma green 10 Luglio 2013

parquet ecologicoConsiglio spot in tema di cameretta dei bambini e arredamento in generale: se state per comprare dei nuovi mobili di legno o intendete installare un parquet, fate attenzione alla scelta delle materie prime, oltre che dei collanti e degli altri prodotti necessari alla messa in opera. In ballo, infatti, non c’è solo la salubrità degli ambienti e il rischio di inquinamento indoor, ma anche il rispetto delle già bistrattate foreste del Pianeta: chi vorrebbe, infatti, che i propri bambini giocassero su un pavimento prodotto a partire dalla deforestazione di un pezzo di Amazzonia? E non perde forse tutto il suo fascino quella suppellettile in ebano, sapendo che molte specie di Ebenacee rischiano di sparire per sempre dalla faccia della Terra?

Evitare l’acquisto di essenze provenienti da piante a rischio di estinzione o di legno prodotto in maniera non sostenibile, per quanto mi riguarda, è un imperativo morale imprescindibile. Mi sembra allora che sia molto utile questa guida, stilata da Greenpeace, con le dritte per riconoscere ed evitare specie protette o legno prodotto in modo non rispettoso dell’ambiente.

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10 Luglio 2013 1 Commenti
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mamma greenpannolini ecologici

Educazione precoce al vasino: si può crescere senza pannolini?

by Silvana Santo - Una mamma green 8 Luglio 2013

elimination communicationChe siano lavabili, biodegradabili o dei normali monouso di plastica, i pannolini – diciamocelo – sono una vera schifezza. Indossarli dev’essere un po’ come andarsene in giro con una discarica attaccata al sedere, senza contare i costi spesso vertiginosi e l’inevitabile impatto ambientale. E poi, inutile fingere che rimuovere la “cacchina santa” dei bambini sia un compito che le mamme, o chi per loro, assolvono con leggerezza: ripulire un essere umano, per quanto piccolo e adorabile, dalle sue deiezioni non è mai troppo piacevole. Come fare, dunque, per liberarsi presto e definitivamente dalla schiavitù del pannolino? Una strada possibile, almeno così sostengono coloro che l’hanno percorsa, si chiama EP, una sigla che sta per Educazione precoce e assistita al vasino (in inglese EC, Elimination Communication). Questo approccio, basato sul fatto che in molte zone del mondo i bimbi crescono senza pannolino, prevede l’osservazione dei segnali che ogni bambino manda, fin dai primissimi mesi di vita, quando sta per fare la pipì o la cacca: suoni specifici, particolari espressioni facciali, gesti caratteristici. Il concetto, almeno sulla carta, è molto semplice: si tratta di imparare a capire quando il piccolo sta per “liberarsi” e fare in modo che le sue deizioni finiscano nel vasino (o in un altro contenitore deputato alla raccolta).

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8 Luglio 2013 7 Commenti
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rimedi naturali

Pruriti notturni, predatori implacabili ed erbe miracolose

by Silvana Santo - Una mamma green 1 Luglio 2013

Per una notte, tutto è stato come ai vecchi tempi. A tenerci svegli all’ora delle fate non sono stati pannolini da cambiare, poppate da somministrare o incubi da combattere. No. È stata solo quella inarrestabile smania che ti coglie all’improvviso e ti fa fremere tra le lenzuola. Quel prurito insaziabile che ti fa ardere la pelle, che ti toglie il sonno e ti arrossa le guance, quell’impulso incontrollabile di sfiorarti, tastarti e fregarti fino a perdere il fiato…


Le zanzare erano due
. Una di loro, probabilmente, era vegana e innocente – o forse semplicemente maschio – ma questo non le ha salvato la vita. Anzi, l’obiettrice di coscienza è stata la prima a morire, qualche minuto prima delle tre. L’assenza di tracce di sangue sulla ciabatta infradito che l’ha finita, però, ci ha convinti che la faccenda era ben lungi dall’essere chiusa. Alle tre e undici minuti, la scena è questa: Davide dorme placido nel suo lettino, mentre io veglio su di lui in cerca di eventuali cecchini alati (grattandomi nel contempo la chiappa sinistra, prodigi del multitasking!). Suo padre, in mutande e senza occhiali, scandaglia palmo a palmo i nostri mobili color rovere moro – ma sarebbe più appropriato definirlo “color substrato mimetico per zanzare” – smadonnando in almeno 5 lingue e vive e morte (ma piano, “ché sennò si sveglia il pupo”). Artù, all’esterno della nostra camera da letto, gratta sulla porta come se non ci fosse un domani. L’uomo che ho sposato e con cui ho generato il mio primogenito, allora, ha un’idea. Anzi: ha L’IDEA: “Facciamolo entrare, così le zanzare le acchiappa lui…”.
Ore tre e tredici: tutto come prima, ad eccezione del fatto che ora Artù è sdraiato sul nostro letto e sbadiglia come se non ci fosse un domani. Passano altri 10 minuti, nessun avvistamento.
“Va be’ – dice uno dei due soli esseri parlanti presenti in camera – sarà uscita quando abbiamo fatto entrare il gatto”. Ci rimettiamo a dormire: Artù rimandato fuori (reagisce mordendo come se non ci fosse un domani), Davide coperto con un lenzuolo leggero perchénonsisamai, luce spenta.

“Notte”.

“Notte”.

…..

“Zzzzzzzzz”

“Porcaput!”

Luce riaccesa, caccia ricominciata. Ormai sono le tre e quarantuno. La sottoscritta va a cercare il repellente ecologico, lo applica su suo figlio dormiente e su se stessa, consapevole che entrambi puzzeranno di citronella per le prossime 48 ore. Per sicurezza ne spruzza un po’ in giro, mentre il di lei marito si arrampica sul comò urlando a bassa voce (Non è possibile urlare a bassa voce? Fate un bambino con le coliche e poi ne riparliamo): “Eccola, l’ho vista! Ah no, è uno schizzo di salsa di soia…”.

“Salsa di soia in camera da letto? Come può essere?”

“Zitta, ché stavolta l’ho vista davvero, bada che Davide non si svegli”.

Scena successiva: io con una mano su un orecchio di mio figlio, mentre con l’altra mi scartavetro furiosamente il polpaccio destro. Artù, al di là della porta chiusa, uggiola come se non ci fosse un domani. L’uomo che ho sposato, carponi sul pavimento, scaglia il secondo flip flop contro il comodino.
Ciaff! Ora del decesso: le quattro e zero uno. Esaminato, il reperto rivela evidenti tracce di sangue umano nell’addome. Sentenza post mortem: colpevole senza attenuanti. Riposi in non troppa pace.
Fuori è ancora buio, Artù è ritornato a dormire, la luce è di nuovo spenta e noi, ottenebrati dagli aromi di citronella, siamo pronti alla prospettiva deliziosa di un’intera ora di sonno prima che uno dei piccoli di casa dia a tutti la sveglia definitiva.
“Prima però scopro Davide, fa caldo e ormai la zanzara è schiattata, direi che il lenzuolo non serve più”
“Ok…”
“Ma guarda, ho bagnato il lettino col repellente!”
“Sei certa sia quello? Annusa, sa di citronella?”
“Mmmm, non direi, però è un odore che ho già sentito, e poi è tiepido. Sa più di… Ecchecaz! Davide ha tracimato. Mi passeresti un pannolino?”
Luce riaccesa. Noi adulti in piedi. Artù, ridestato, cerca di sfondare a craniate la porta della nonpiùnostra camera da letto. Come se non ci fosse un domani.

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Post scriptum, giusto per restare in tema. Rimedi naturali per tenere lontane le zanzare (funzionano davvero, a patto che vi ricordiate di usarli!): citronella, manco a dirlo. Ma anche basilico (se non avete in casa un gatto bulimico, potete tenerne un vasetto sul comodino), geranio (ideale in balcone o in terrazzo) e alcuni oli essenziali (lavanda, rosmarino, menta), ma in questo caso è preferibile utilizzarli nella preparazione di deodoranti per ambienti, piuttosto che applicarli direttamente sulla pelle dei bambini. D’obbligo, le zanzariere. Noi le abbiamo alle finestre, ma sono disponibili, oppure potete realizzarle da voi con del tulle, anche quelle da culla o da carrozzina (assicuratevi però, prima di sistemarle, che non vi sia già entrato qualche volatile!). Se ne avete la possibilità, poi, acquistate una bat box, ovvero una casetta di legno per pipistrelli. Non è detto che venga effettivamente colonizzata, ma se Batman e famiglia decidessero di abitare con voi, avreste praticamente risolto il problema zanzare per l’intera stagione. Io ne ho acquistata una da appendere il giardino (vedi foto), ma non ho ancora trovato il tempo per installarla. Probabilmente per quest’anno è tardi, ma spero che prima o poi un pipistrello la scelga come casa. Stay tuned.

1 Luglio 2013 7 Commenti
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Sicura ed efficiente: consigli per una cameretta green

by Silvana Santo - Una mamma green 28 Giugno 2013

Tratto dalla mia rubrica “Diario di ECOmamma” su La Nuova Ecologia (numero di giugno 2013)

La preparazione del “nido” per Davide è uno dei ricordi più piacevoli della mia gravidanza. Per quanto divertente, però, l’allestimento della cameretta nasconde una seria insidia per la salute dei bambini: il cosiddetto inquinamento indoor, causato da solventi, colle, vernici e altri prodotti utilizzati nell’arredamento e nei rivestimenti, che possono rilasciare Composti organici volatili (Voc in sigla) e altre sostanze dannose. Con qualche accorgimento, comunque, è possibile correre ai ripari. Per evitare che nostro figlio giocasse e riposasse in un ambiente poco salubre, ad esempio, mio marito e io abbiamo utilizzato solo pitture ad acqua per la tinteggiatura della cameretta. Per decorare le pareti, inoltre, abbiamo evitato smalti e vernici potenzialmente tossici, preferendo adesivi murali che abbiamo applicato noi stessi.

Altri interrogativi li ha posti la scelta degli arredi, che oltre a essere talvolta realizzati con materiali non sostenibili, come legname ricavato da specie a rischio di estinzione, possono contenere sostanze chimiche irritanti o addirittura cancerogene, a cominciare dalla formaldeide. In commercio esistono mobili ecologici certificati, ma il budget a nostra disposizione ci ha costretti a ripiegare su un celebre marchio svedese dell’arredamento low-cost (vi viene in mente qualcuno?) che, almeno ufficialmente, non usa formaldeide in collanti e vernici e che dichiara una policy piuttosto rigida per quanto riguarda la tossicità dei materiali impiegati. Per Davide, dunque, mobili a misura di bambino in fibra di betulla e cartone riciclato, tinteggiati con colori neutri e rilassanti (per limitare ulteriormente il rischio di emissione di Voc, infatti, abbiamo optato per arredi laminati, più sicuri dei mobili grezzi).

Per quanto riguarda invece le tappezzerie – tende, biancheria da letto, cuscini -, la scelta è ricaduta su materiali naturali come lino e cotone, rigorosamente in tinte chiare e luminose, e per evitare l’inquinamento elettromagnetico e acustico abbiamo bandito computer e televisore dalla cameretta di Davide. L’isolamento termico è assicurato da persiane e infissi in PVC e da doppi vetri ad alta efficienza, mentre una doppia tenda consente di limitare l’irraggiamento solare durante i pomeriggi estivi (la stanza è esposta a ovest), in modo da limitare il più possibile il ricorso al ventilatore. Altri piccoli accorgimenti per rendere più green la stanza del mio bambino: il lampadario è stato recuperato dalla vecchia cameretta in cui dormivo da piccola, mentre tutte le lampadine utilizzate sono rigorosamente a basso consumo energetico. Ora che la stanza è già piena di giocattoli, poi, siamo sempre equipaggiati con una fornitura di batterie ricaricabili di diversi formati, per fare in modo che Davide non debba mai fare a meno della sua amata altalena musicale!

28 Giugno 2013 6 Commenti
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viaggi

Viaggiare con un neonato: cosa mettere in valigia

by Silvana Santo - Una mamma green 26 Giugno 2013

Consigli utili per chi viaggia con lattante al seguito: l’aereo, la valigia e tutti gli accorgimenti per la perfetta vacanza a misura di bambino. E dei suoi genitori

viaggiare5Partire è un po’ morire, dice il proverbio. E invece il viaggio lampo a Bruxelles (venerdì-lunedì) che ho appena fatto con Davide e suo padre è stato una vera e propria boccata di aria fresca, non solo sul piano meteorologico. La prova che, pur se con ritmi più blandi, qualche accorgimento in più e una dose extra di fatica, viaggiare con un neonato è non solo possibile, ma anche molto divertente. Senza la dovuta organizzazione, però, è facile che quella che dovrebbe essere un’esperienza piacevole finisca col trasformarsi in un autentico incubo, soprattutto per chi non è troppo abituato a spostarsi (non era il nostro caso, dal momento che siamo appassionati viaggiatori, però ci è stato comunque utile un weekend “di prova” in Costiera Amalfitana!).

Eccovi allora, sulla base della mia esperienza, alcuni consigli per viaggiare con un neonato senza arrivare impreparati al banco del check-in.

 

Viaggiare con un neonato: prima di partire

Per prima cosa, vi consiglio fortemente, per i vostri bagagli, di preferire lo zaino al trolley: in questo modo, avrete sempre le mani libere, anche mentre spingerete il passeggino o quando dovrete prendere in braccio il bambino. Scrivete tutto: fate una lista dettagliata delle cose da portare, annotate indirizzi, orari e numeri di telefono utili. In caso di viaggio all’estero, nel cercare informazioni sul meteo, consultate i siti locali: sono più attendibili (e ricordate che le previsioni cambiano continuamente). Muovetevi con anticipo: anche se siete degli irriducibili della valigia-sempre-all’ultimo-minuto, sforzatevi di cambiare schema. Cominciare i preparativi per tempo vi aiuterà ad evitare dimenticanze e gestire emergenze improvvise. Avviatevi prima del solito anche all’aeroporto o in stazione: con un bimbo al seguito, i fuori programma sono sempre in agguato. Assicurate il viaggio: soprattutto se si tratta di una vacanza non troppo low cost, potrebbe essere una buona idea quella di comprare una assicurazione per l’eventuale annullamento o lo spostamento della partenza. Ma sia chiaro: questo non vi impedirà di rimanere molto male se il pupo dovesse ammalarsi di tonsillite proprio il giorno prima dell’inizio delle ferie. Cominciate piano e mutate le vostre aspettative: non siete più soli, la presenza di un figlio, per quanto tranquillo e bene abituato, potrebbe costringervi a cambiare qualche abitudine. Noi, ad esempio, per cominciare abbiamo scelto una destinazione che non solo fosse allettante, ma anche “comoda” per noi: una città che abbiamo già visitato in lungo e in largo e una sistemazione – la casa di mio cugino – a prova di qualsiasi imprevisto. La prospettiva di andare a trovare una persona cara, che avrebbe anche avuto piacere a passare qualche giorno con Davide, ha arricchito ulteriormente l’aspettativa del viaggio.

Viaggiare con un neonato in aereo

viaggio con bambinoCercate, se possibile, di farvi assegnare un posto più comodo e magari vicino al bagno, come quelli della prima fila. Se questo non fosse possibile (come è capitato a noi lo scorso weekend), chiedete un posto vicino al corridoio: sarà più semplice portare a spasso il piccolo negli inevitabili momenti di noia, o accompagnare in bagno i bambini più grandicelli. Noi abbiamo trovato molto comodo viaggiare in una fila in cui uno dei tre posti era vuoto: prima di tutto, non abbiamo disturbato nessuno, e poi abbiamo potuto usare il posto vuoto per far stendere Davide o appoggiare borse, pannolini, etc.

Studiate la toilette: se vi sembra troppo complicato cambiare il bambino in uno spazio così angusto e senza i necessari supporti, effettuate l’operazione direttamente al vostro posto. Se poi il viaggio è breve e non ci sono fuoriuscite moleste durante il volo, evitate del tutto di cambiare il neonato a viaggio in corso (potete utilizzare i comodi fasciatoi disponibili nella maggior parte degli aeroporti).

Cercate di far ciucciare o ingoiare ripetutamente il bambino durante le fasi di decollo e atterraggio: vanno bene il seno, il ciuccio, il biberon, le dita, la frutta, la pappa, etc. Comunque, l’eventuale sensazione di disagio o dolore per il cambiamento di pressione non è un fatto scontato, ma varia da persona a persona. Davide, per la cronaca, dormiva alla grande, senza ciuccio, quando siamo partiti per il viaggio di ritorno, ma non ha mostrato apparenti fastidi o dolori legati alla difficoltà di compensazione (in ogni caso, parlate col vostro pediatra se il bambino ha mal d’orecchie prima di partire). Non so che dirvi, invece, sulla gestione del jet lag, perché tra Italia e Belgio non c’è differenza di fuso.

viaggio con neonatoCome organizzare i bagagli

Consiglio prima di tutto di separare il bagaglio vostro e degli altri adulti da quello del bambino, in modo da avere a portata di mano più facilmente le sue cose. Se la dimensione dello zaino o della valigia lo consente, portate in cabina il bagaglio del mini-viaggiatore: in caso di ritardi o di smarrimenti, almeno il più piccolo non si troverà a disagio.

In base alla mia esperienza, e a prescindere dalle previsioni del tempo, ecco una lista delle cose che tutti dovrebbero portare con sé quando si trovano a viaggiare con un neonato, nutrito prevalentemente al seno (naturalmente mi riferisco a vacanze brevi che abbiano per destinazione una città, in cui non si prevede di portare il bimbo al mare o di esporlo a condizioni particolari):

 

  • luce per la notte;
  • accappatoio e panni di cotone in abbondanza;
  • sacco nanna, ideale in caso di freddi improvvisi, pratico sia nel passeggino che in culla;
  • marsupio o zaino porta-bimbo, in aggiunta al passeggino;
  • pentolino per sterilizzare i ciucci o sterilizzatore da viaggio a raggi UV;
  • libretto e tessera sanitaria del bimbo (che nei Paesi dell’Unione Europea dà diritto agli stessi trattamenti sanitari dei residenti del luogo);
  • piccola farmacia da viaggio (io ho portato solo termometro, paracetamolo in gocce e pomata al cortisone, ma alloggiavo in una casa e partivo per un Paese senza particolari rischi sanitari);
  • paravento/pioggia per il passeggino;
  • repellente per insetti (io mi trovo molto bene con un prodotto naturale a marchio Ecokid) e zanzariera per passeggino;
  • qualche giochino;
  • abiti adatti a fronteggiare escursioni termiche (dalla mezza manica al golf di lana);
  • eventuali pannolini, ma solo se, come nel nostro caso, utilizzate un prodotto che non è facile reperire dappertutto;
  • i prodotti per l’igiene che il bimbo usa abitualmente;
  • culla da viaggio (inutile se alloggiate in un albergo o un residence che ve la fornisce, ecco la nostra);

In aereo, dovreste fare in modo di avere sempre a disposizione, oltre a pannolini e salviette, anche un cambio d’abito completo, una felpa, un cappellino, una copertina, un telo di cotone o un bavaglino, qualche giocattolo, un paio di ciucci (se ne fate uso), acqua ed eventuali alimenti se il pupo è svezzato. Ricordate che le limitazioni sui liquidi nel bagaglio a mano non valgono per quanto riguarda le necessità del bambino.

Viaggiare con un neonato: a destinazione

Vere e proprie regole, secondo me, non ce ne sono, se non quella di adattare i ritmi del viaggio alle mutate esigenze della famiglia. Noi, che abbiamo un bambino non troppo dormiglione, di buona stazza e irritabile quando è stanco, abbiamo fatto qualche pausa in più e ci siamo concessi sempre un pisolino pomeridiano insieme a Davide, ma se avete con voi un piccolo viaggiatore tranquillo e sonnacchioso, potete probabilmente concedervi qualcosa in più, contando su un buon riposo notturno per tutti. Per il resto, ricordate che se voi siete sereni e soddisfatti, lo sarà anche vostro figlio. A ogni buon conto, però, risparmiategli l’ascesa dell’Himalaya e la traversata del Gobi almeno fino a quando non avrà imparato a camminare!

26 Giugno 2013 9 Commenti
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essere madre

Far dormire un neonato: tutte le teorie

by Silvana Santo - Una mamma green 20 Giugno 2013

Di sonno (dei neonati), mancanza di sonno (dei genitori) e stratagemmi per una nanna felice (di tutta la famiglia)

Il (poco) sonno genera mostri. O almeno, gonfia le borse sotto gli occhi, spegne l’incarnato e scopre i nervi. Ci sarà un motivo, se la privazione del sonno veniva usata come tortura nel Medioevo – a proposito, mi chiedo come mai gli sceneggiatori di Game of Thrones abbiano risparmiato questo supplizio al povero Theon Greyjoy – e se le notti insonni rappresentano una delle maggiori preoccupazioni dei futuri genitori. Io posso dire che avevo probabilmente sottovalutato la fatica e lo stress generati dai continui risvegli notturni. Perché, a dirla tutta, non è che uno non dorma, quando ha un bambino piccolo. È vero piuttosto che si dorme a singhiozzo, con mezzo cervello sempre in funzione come i delfini e, qualche volta, addirittura in piedi come i cavalli. Il che, per certi versi, è ancora peggio del non chiudere occhio affatto. Il problema è che intanto il tuo corpo provato da nove mesi di attesa e dallo tsunami del puerperio, e il tuo cervello ottenebrato dai consigli di puericultura idioti dei vicini di casa, chiedono disperatamente di riposare. Se poi una allatta al seno, ci si mette anche l’ossitocina, che ad ogni poppata finisce anche nell’organismo della mamma, conciliando un sonno tanto dolce quanto proibito, dal momento che in molti casi quella stessa ossitocina non ha il minimo effetto calmante sul pupo che ciuccia. Comunque la mettiate, alla fine, la sostanza è la stessa: se state per avere un figlio, scordatevi per un periodo di tempo indeterminato una lunga notte di sonno ristoratore, a meno che non facciate parte di quella detestat fortunatissima categoria di genitori con neonati-bambolotti che ronfano alla grande, magari dopo essersi addormentati da soli nel proprio lettino.

A me, in realtà, è andata abbastanza bene per diverse settimane, ma con il caldo e i fastidi della dentizione i risvegli notturni si sono moltiplicati. Amplificati, per giunta, dnanna0alle incursioni notturne del gatto Artù, incuriosito dai rumori che provengono a orari insoliti dalla camera da letto. Immancabilmente, allora, mi sono trovata alle prese con la pletora di metodi, libri e teorie sul sonno dei neonati. Tra sistemi da gulag e teorie new age, ce n’è davvero per tutti i gusti. A un estremo c’è la filosofia del “decide il bambino”, per la serie “tutti insieme appassionatamente nel lettone”, con buona pace della privacy e della tranquillità notturna di mamma e papà. Ora, a parte che mio figlio pesa otto chili e mezzo a poco più di quattro mesi, si dimena come un derviscio rotolante e quando ha sonno emette una nenia da fare invidia al rosario serale delle beghine della chiesa che frequentavo da ragazza, lui avrà anche bisogno di contatto fisico e calore umano, ma io, se lo accolgo nel mio letto, necessiterò di cure psichiatriche, fisioterapie e di un uso precoce di un apparecchio per l’ipoacusia. No, grazie. Come se avessi accettato (EDIT: alla fine, aggiungendo un letto singolo accanto al matrimoniale, il cosleeping è diventato la nostra strategia preferita, attuata con piacere ancora dopo tre anni, in 4).

All’altro estremo dei sistemi per la nanna felice c’è quello che io chiamo il metodo Gestapo-Rottermeier: “lascia piangere il bimbo nella sua culla finché non crolla addormentato”. I fautori di questa tecnica giurano che in capo a qualche settimana il piccolo insonne sarà perfettamente abituato a dormire da solo nella sua cameretta. Salvo trasformarsi in uno stupratore di vecchine una volta raggiunta la maggiore età. Sarà che di pianti isterici ne ho avuti abbastanza quando Davide era tormentato dalle coliche, ma io trovo che sia crudele e pericoloso ignorare una richiesta di attenzione così clamorosa, anche se – cosa che tra l’altro mi sembra piuttosto ovvia – a un certo punto il piccolo malcapitato si dovesse effettivamente rassegnare e, sfiancato, addormentarsi da solo. Tra l’altro, chi mi garantisce che, arrivato ai terribili teen years, l’erede non si vendicherà organizzando un coca party nella sua cameretta? Nel dubbio, io preferisco non rischiare.

nannaNel mezzo, infine, si collocano i metodi stile Tracy Hogg, che nel suo libro parla senza falsa modestia di “consigli per un sonno ragionevole”. Questa compianta signora bionda anglo-americana suggerisce (ma sto schematizzando) di far addormentare il piccolo direttamente nella sua culla, piuttosto che dondolarlo, allattarlo o tenerlo in braccio e, in caso di risvegli precoci, di tirarlo su, calmarlo con delle pacche sulla schiena e rimetterlo nel suo lettino, spiegandogli ogni volta con calma quello che si sta facendo. Se il bimbo frigna ancora, l’indicazione è di ripetere l’operazione finché non si riaddormenta. E ancora e ancora in caso di ulteriori risvegli. Ad libitum sfumando. Il punto è che Davide è sempre quello che pesava oltre 6 kg prima di compiere tre mesi: io ci proverei anche ad applicare il metodo Hogg, ma dopo chi me lo paga il fisiatra? E poi, chi glielo spiega all’inquilino del piano di sotto che stiamo insegnando al piccolo di casa a “dormire autonomamente” e non ci stiamo allenando per le Olimpiadi di sollevamento pesi con gli ululati di Davide al posto della conta di Peppiniello Di Capua? Ma soprattutto: chi mi assicura che il pupo non capisca che è proprio quello, il modo di fare la nanna (essere preso e mollato cento volte in un’ora, intendo)? Scommetto che la povera signora Hogg non ci ha mai pensato, a questa evenienza (e a ogni buon conto, col dovuto rispetto per una persona che non è più tra noi, la sua messa in piega non mi convince del tutto…).

La verità, per quel poco che ho capito io, è che ogni bambino è diverso, così come unici sono i suoi genitori: non c’è metodo che tenga, secondo me. Solo l’istinto può indicare la via, insieme a una bella cuffia antirumore e alla consapevolezza che in ogni caso, prima o poi, la notte tornerà ad essere usata per lo scopo per cui è stata creata: dormire (e fare l’amore, magari, ma questa è un’altra storia).

 

Suggerimenti bibliografici:

Alessandra Bortolotti, E se poi prende il vizio? Pregiudizi culturali e bisogni irrinunciabili dei nostri bambini, collana Il bambino naturale (2010)

20 Giugno 2013 13 Commenti
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Mi chiamo Silvana Santo e sono una giornalista, blogger e autrice, oltre che la mamma di Davide e Flavia.

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