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sesso

la vita di coppia con due figli
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La vita di coppia con due figli

by Silvana Santo - Una mamma green 7 Dicembre 2018

La vita di coppia, con due figli, è l’esperienza più intima che esista. La più naturale, in un certo senso, ma anche la più rischiosa. Intima, perché condividere i figli significa condividere la vita spessa, oltre il proprio corpo e oltre ogni profonda conoscenza di sé. È naturale come l’istinto da cui i figli nascono e che alimenta l’amore che li tiene in vita. È rischiosa, perché richiede a volte di rinunciare a una parte di sé. Per il bene dei figli e della coppia stessa.

La vita di coppia, con due figli, è una vita affollata. Piena di chiasso, di voci argentine, di scoppi di risa e di urla ferali. È piena di un rumore di fondo costante e a volte molesto. È una corsa contro il tempo, la vita di coppia dopo due figli. Tempo da rubare alle priorità assolute, alle responsabilità ineluttabili. Tempo da rubare ai sensi di colpa, alla stanchezza che non ti lascia mai, alla testa che pensa frenetica a tutto quello che ci sarebbe da fare, e a tutto quello che è stato lasciato indietro.

coppia con due figli

La vita di coppia con due figli è un negoziato incessante, un confronto continuo, un compromesso quotidiano. Una condivisione non sempre facile di scelte e responsabilità, una divisione non sempre equa di doveri e incombenze. È parlarsi e non sempre capirsi, anche quando al centro della discussione ci sono i figli che si è fatti insieme. È dover prendere decisioni ogni giorno senza essere d’accordo in automatico, ma avendo alle spalle due vite diverse, due famiglie diverse, due mondi diversi che in qualche maniera devono incontrarsi e coesistere.

La vita di coppia con due figli non è molto facile. È ricca e intensa, ma tanto stancante. E convulsa, e caotica, ogni giorno uguale a se stessa eppure sempre imprevedibilmente diversa.

La vita di coppia, con due figli, è avere due motivi in più per riprovarci sempre. Per insistere, per rinnovare la scelta reciproca di amore e fedeltà. Due motivi giganti e viventi per provarci ancora e ancora, per provare a digerire i rancori, dimenticare i torti, rinfocolare la fiducia e non arrendersi di fronte al tempo, agli errori, alle debolezze di entrambi.

La vita di coppia, con due figli, è un balletto di alleanze e di affinità. Fluide, mutevoli, incostanti.

vita di coppia con due figli

La vita di coppia con due figli è meno corpo ma altrettanta passione. Baci rubati alla fatica quotidiana, abbracci pieni di solidale consapevolezza. Rabbia urlata di cui pentirsi tutte le volte. Lacrime, qualche volta. Quando ti senti solo anche se sei in coppia. Anche se dalla tua coppia sono nati due figli. È l’amore che deve bastare per quattro, e a volte per sé e per l’altro sembrano restare soltanto le briciole. È il cuore che si dilata fino a farsi famiglia, ma che ogni tanto perde un battito, che vacilla, che incespica. È un bicchiere di vino buono sorseggiato sempre troppo in fretta, la vita di coppia dopo due figli.

Post in collaborazione con le mousse intime Claro Soft e Claro Man, prodotte in Italia con il 95% di ingredienti naturali e dermatologicamente testati. Claro Soft, perfetta per l’igiene intima femminile, ha proprietà lenitive, rinfrescanti ed antibatteriche, grazie a Malva e Aloe, nonché idratanti ed emollienti, grazie all’Olio di jojoba (a casa nostra la usa volentieri anche Flavia!). Per l’igiene intima maschile, invece, c’è Claro Man, che a Malva, Aloe e Olio di jojoba unisce l’azione energizzante del ginseng.

Se volete provare anche voi Claro Soft e Claro Man, trovate sia in farmacia che su Amazon entrambe le versioni.

cropo dopo due gravidanze

7 Dicembre 2018 1 Commenti
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I figli, al momento giusto

by Silvana Santo - Una mamma green 29 Novembre 2017

Io non so cosa voglia dire desiderare un figlio. Ho deciso di farne uno all’alba dei 31 anni, perché sapevo che “prima o poi ne avrei voluti”, che nel mio progetto di vita i bambini erano un tassello irrinunciabile. E allora ho valutato che quello fosse il momento migliore per provarci, anche se non sentivo questo desiderio impellente e struggente di avere un neonato tra le braccia. Dopo un mese, senza quasi pensarci, ero incinta di Davide. E pochi giorni dopo il primo compleanno di mio figlio, ho scoperto di aspettare sua sorella. Noi contavamo di riaprire il cantiere di lì a pochi mesi, e invece lei ha anticipato i nostri progetti, complice una singola notte di “imprudenza”, o meglio di consapevole fatalismo da parte mia e di suo padre (tanto un secondogenito era comunque in programma). Ho due figli, e non ho avuto il tempo di desiderare un bambino. Mi è stata risparmiata l’esperienza che tante amiche mi hanno descritto: l’attesa che ti consuma, la speranza che si rinnova ogni mese, la frustrazione che ti arriva addosso come una slavina, e che ti toglie il respiro. E il pensiero che torna sempre lì, attirato dal magnete potentissimo del desiderio incompiuto, del bisogno disatteso, dell’istinto castrato. Le domande inopportune, i commenti fuori luogo, lo strazio degli esami e delle cure. Ho avuto una fortuna immensa, un privilegio straordinario. Figli che sono arrivati quando io ho pensato che fosse il momento giusto, nel modo più semplice che esista, quello che gli umani conoscono dalla notte dei tempi.

Figli che non si sono fatti attendere, e che non sono, al contrario, piombati nella mia vita quando io, a diventare madre, non ci pensavo neanche lontanamente. Perché anche questo, mi è stato risparmiato: il calvario di fronte a un ritardo, l’atrocità del dubbio di fronte a un test di gravidanza inaspettatamente positivo. La fatica di accettare una maternità che non era programmata, o lo strazio di pensare di interromperla. In questo caso, però, la fortuna forse c’entra poco, e questo privilegio si chiama piuttosto contraccezione. Una priorità, sempre e comunque. Perché fare un bambino è una scelta che richiede sempre un pizzico di follia, ma che va ponderata cento volte. Perché un figlio, anche se lo hai programmato, ti sconvolge la vita, ti scoperchia l’inconscio, ti rivoluziona le giornate nel bene e nel male, nei secoli dei secoli. Scuote dalle fondamenta l’impalcatura stessa delle tue sicurezze, del tuo equilibrio, del tuo sentire. Ristabilisce le tue priorità. Espone a nuove prove – e inevitabili rischi – la coppia di cui fai parte e la tua vita sociale. Figuriamoci se non era previsto.

I miei due figli sono arrivati al momento giusto: ho avuto una fortuna immensa, e anche tanto buon senso. La prima non si può comprare, né prendere in prestito o a noleggio. Ma sul secondo, per fortuna, abbiamo tanto da poter fare.

Post in collaborazione con Baby Comp Italia, azienda che distribuisce in Italia una gamma completa di dispositivi per una pianificazione della gravidanza e una contraccezione naturali e a basso impatto sull’ambiente. LADYCOMP baby, LADY-COMP, LADYCOMP basic e Pearly sono degli strumenti diagnostici computerizzati che, sulla base della temperatura basale della donna, consentono il monitoraggio dei giorni fertili e quelli non fertili del ciclo. Possono essere un valido aiuto per identificare i giorni dell’ovulazione e cercare il concepimento con maggiori probabilità di successo e, al contrario, possono essere utilizzati per evitare una gravidanza da chi, non avendo esigenze di profilassi, non può o non vuole usare contraccettivi ormonali o di barriera (l’uso corretto dei dispositivi Baby Comp garantisce una sicurezza contraccettiva del 99,3%, con Indice di Pearl 0,7), oppure desidera uno strumento ulteriore da associare a un altro sistema per la pianificazione familiare. Dal punto di vista ambientale, permettono di evitare la produzione di rifiuti e il rilascio nell’ambiente di ormoni sintetici, e sono realizzati in Germania con diverse certificazioni che ne attestano la sostenibilità, configurandosi quindi come un contraccettivo green e naturale.

Fino al 10 dicembre 2017, Baby Comp Italia offre alle mie lettrici uno sconto esclusivo del 10% su tutti i dispositivi (Pearly, Ladycomp basic, Ladycomp, Ladycomp baby). Basta inserire il codice MAMMAGREEN al momento dell’acquisto.

29 Novembre 2017 0 Commenti
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life

5 parole che le donne dovrebbero usare di più

by Silvana Santo - Una mamma green 20 Novembre 2017

Noi donne parliamo e parliamo, si sa. Anche e soprattutto sul web, negli ultimi anni. Ma ci sono cose che ancora facciamo fatica a dire. Parole che ci sembrano impronunciabili, perché si riferiscono a cose che non conosciamo bene, che sottovalutiamo o delle quali, peggio ancora, ci hanno convinto che sia il caso di vergognarci. Parole che, invece, le donne dovrebbero usare di più.

Mestruazioni

Forse è perché il gruppo di consonanti al centro risulta un po’ ostico da pronunciare, ma la mia sensazione è che a rendere così sottosfruttata questa parola sia un certo tabù che ancora le aleggia intorno. Come se le mestruazioni fossero qualcosa che ci rende sudicie, sgradevoli. Come se ci fosse qualcosa di cui vergognarsi per un endometrio che si sfalda e sanguina ogni quattro settimane. Da un quarto di secolo mi fanno compagnia ogni mese, e da allora le ho sentite chiamare nei modi più disparati: il ciclo, le mie cose, le regole, i problemi (!) femminili, le rosse, le malefiche e via dicendo. Ma si chiamano mestruazioni (il ciclo, per chiarire, è invece il processo complessivo che coinvolge l’apparato riproduttivo femminile tra una mestruazione e l’altra).

Contraccezione

Mi sconvolge sempre scoprire quante persone – donne e uomini – siano in grado di fare sistematicamente a meno dei contraccettivi, non solo nell’ambito di una relazione monogama e stabile, ma anche in condizioni di maggiore promiscuità. E quante (soprattutto donne) si vergognino ancora di entrare in farmacia e comprare dei profilattici, o di farsi vedere in spiaggia con un cerotto contraccettivo sul braccio. E invece la contraccezione dovrebbe diventare il tema tra i temi. In famiglia, a scuola, online. Perché è cruciale – e mi sento un po’ idiota anche solo a sottolinearlo – in termini di profilassi, di controllo delle nascite e anche di prevenzione dell’aborto.

Orgasmo

Chiamiamolo col suo nome, che non è una parolaccia. Chiamiamolo col suo nome, anche quando ne parliamo con le nostre figlie. Perché non pensino che sia qualcosa da nascondere, o per il quale vergognarsi. Ma neanche una specie di leggenda metropolitana, qualcosa che “se non capita, è normale”. Chiamiamolo senza imbarazzo, come non ci verrebbe mai in mente di vergognarci dicendo “digestione” o “starnuto”. Facciamo in modo che le nostre figlie e i nostri figli sappiano cos’è, come funziona, cosa si può fare e a chi ci si può rivolgere se ci sono difficoltà. Perché le nostre figlie possano esigerlo, e i nostri figli dare per scontato che le loro compagne ne abbiano diritto.

Sterilità

Su questa parola incombe purtroppo uno stigma fortissimo, per le donne e per gli uomini. Perché l’infertilità è ancora una specie di lettera scarlatta. Un difetto di fabbrica, un marchio di sventura. Qualcosa che suscita negli altri commiserazione e pietismo, oppure una totale e feroce assenza di empatia. Perché non essere fisicamente in grado di riprodursi viene sentito, da troppi dei “fertili”, come qualcosa di inammissibile, per il quale sentirsi “inferiori”, irrisolti, incompleti se non addirittura inutili. E al dolore di non riuscire a diventare madre, o padre, si aggiunge così l’imbarazzo, la paura del commento caustico, lo stillicidio senza fine delle domande, quelle sì, inutili. La sterilità è un problema che per molte donne (e uomini) può assumere proporzioni tragiche. Ed è un fatto privato. Ma non dovrebbe mai essere qualcosa che si ha il terrore di condividere per non rischiare di trovare, invece che supporto e conforto, un atroce dito nella piaga.

Vulva (e co.)

Non sono una fan dei tecnicismi. Chiedo normalmente ai miei figli se devono “fare la cacca”, e non certo se hanno bisogno di defecare. E se uno di loro cade, non mi verrebbe mai in mente di domandare se gli fa male l’omero, una natica, o il cranio. Dico “braccio” e dico “testa”, dico “sedere” e dico “pisello”. Però penso che i bambini debbano conoscere anche i termini corretti con cui definire il proprio corpo, in ogni sua parte. E allora forse è il caso di usarli noi per prime, questi termini. Di spiegare che il pisello si chiama pene e che la cacca, più correttamente, si chiama feci. Non è solo una questione di cultura o di lessico. Ma di consapevolezza di sé. Non possiamo conoscere una cosa, averne rispetto e prendercene cura se non sappiamo come si chiama. E questo vale anche per i bambini.

20 Novembre 2017 1 Commenti
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animali

Maledetta primavera

by Silvana Santo - Una mamma green 1 Aprile 2014

Capisco bene che il richiamo della primavera vada al di là delle barriere specifiche e delle mutilazioni anatomiche.

Mi rendo conto che il cinguettio ininterrotto dei passeri e il sole che filtra attraverso le tende risveglino i sensi e certi istinti primordiali.

Comprendo alla perfezione che l’aria carica di feromoni e quella brezza fresca satura di polline e di odori ancestrali abbiano degli effetti davvero incontenibili.

Capisco tutto, lo giuro. Però avrei comunque bisogno che qualcuno spiegasse un paio di cose al mio gatto. Che essendo castrato non potrebbe mai essere nelle condizioni di sperimentare i piaceri dell’amore, tanto per cominciare. E che, in ogni caso, i miei arti non si prestano allo scopo.

Aiuto. Mi sa che mi serve una sex doll a forma di gatta.

 

1 Aprile 2014 2 Commenti
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mamma green

Di baci mai dati, natura e monogamia

by Silvana Santo - Una mamma green 13 Marzo 2014

C’è questo video di sconosciuti che si baciano, gira in rete da un po’. Da un paio di giorni lo condividono quasi tutti: 10 coppie di persone che si incontrano per la prima volta e che limonano (più o meno) duro davanti alla telecamera. Quasi tutti attraenti, devo dire, e supportati da una bella fotografia. Le persone che conosco, per lo più, hanno pubblicato commenti sul romanticismo della clip. Su quanto fosse tenero l’imbarazzo di questi attori improvvisati, la loro goffaggine che si lascia andare pian piano alla libido, e via dicendo. C’è stato anche chi, e forse si riconoscerà in queste righe, ha bollato l’operazione come l’ennesima forma di mercificazione dei sentimenti.

Da parte mia, quando ho guardato il video, mi sono prima di tutto augurata che i tizi si fossero lavati ben bene i denti. E poi – è stato un attimo – mi sono resa conto che, se tutto va come deve andare, io non proverò mai più quella sensazione. Non avvicinerò per un’ultima volta le mie labbra a labbra sconosciute. Non assaggerò un altro primo bacio, non proverò quello strano miscuglio di pudore e curiosità di quando cominci a diventare intimo con qualcuno. Mai più. Senza offesa per il padre di mio figlio, che mi bacia molto bene da oltre un decennio, questa consapevolezza mi ha dato una certa vertigine.

In realtà, io penso di essere un tipo sostanzialmente monogamo. Nel senso che, tutto sommato, restare fedele alla persona che ho scelto non è mai stato uno sforzo vero e proprio. Ho avuto le mie brave sbandate (più che altro “mentali”, da brava cerebro-bulimica che sono), ma il mio patto di esclusività non è mai stato realmente in pericolo. Quando ho deciso di sposarmi, ho avvertito chiaro tutto il peso della scelta. La consapevolezza di sacrificare spontaneamente tutte le altre infinite, per quanto solo teoriche, possibilità. Di dire addio per sempre a tutti i passanti, parafrasando in un colpo solo De André, Brassens e pure Baudelaire. Più della monogamia in sé, per certi versi, a turbarmi ogni tanto è l’idea stessa della monogamia. La coscienza della volontaria rinuncia.

Mi chiedo, come tanti hanno fatto prima di me e molti di più faranno dopo, se sia una condizione davvero naturale. Amare la stessa persona, e solo quella, per interi decenni. Amarla quando è giovane e continuare a farlo dopo che il tempo, i figli, la vita, l’avranno trasformata in qualcosa d’altro. Amare la persona che hai accanto sapendo che forse, se l’avessi incontrata un attimo prima o un attimo dopo rispetto a quando è accaduto, non l’avresti neppure scelta.

In natura ci sono tante strategie diverse. Moltissime specie, soprattutto tra i mammiferi, sono poligame, per assicurare una migliore dispersione dei gameti e una maggiore variabilità genetica. In altri casi sono i maschi a disperdere letteralmente il seme il più possibile (come la vecchia storia dell’uomo cacciatore e bla bla bla non fa che ricordarci), in altri, addirittura, le femmine ammazzano il maschio dopo il coito. C’è chi copula una sola volta in vita sua, quelli che, per non sbagliare, si fecondano da soli e chi, ancorato al suolo da radici possenti, affida al vento o alla terra il suo prezioso DNA. E poi ci sono le specie monogame. Eccezioni, forse, ma esistono. Uccelli, per lo più, ma anche altri animali la cui prole richiede la dedizione di entrambi i genitori.

La prole, eccola là. I cuccioli di Homo sapiens sono quelli che richiedono cure parentali più importanti e più lunghe. Siamo, tra gli animali tutti, quelli che nascono più immaturi e “dipendenti”, quelli che, bamboccioni o meno, richiedono più tempo per raggiungere l’autosufficienza. Se un piccolo delfino necessita appena di qualche musata per raggiungere l’aria e imparare a respirare, se una zebra neonata riesce a mettersi in piedi e a scappare dal predatore nel giro di una manciata di minuti, un bambino impiega anni e fatica per imparare a camminare, a comunicare, a nutrirsi da solo e a controllare il contenuto delle sue viscere. Ed è proprio questo che mi sono sempre detta: negli umani la monogamia ha senso anche dal punto di vista ecologico (ed etologico), oltre che sociale. Assicura ai figli una coppia stabile di genitori accudenti per tutto il tempo in cui è necessaria.

Ma è evidente che i figli vengono su a prescindere da questo. Figli di genitori singoli, figli di genitori multipli, figli di genitori che fanno turnover e figli di genitori in contumacia. La coppia, in un certo senso, non sembra più una necessità.

E allora non riesco a non chiedermi, di fronte a quegli sconosciuti che si baciano con apparente trasporto e pensando al sottile cerchio dorato che mi incatena l’anulare sinistro, se la monogamia a lungo termine sia una strada davvero sensata o un sacrificio irragionevole. Quanta natura c’è in un letto a (sole) due piazze?

13 Marzo 2014 21 Commenti
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essere madrelife

L’amore ai tempi della cicogna. Il sesso dopo un figlio, parte seconda

by Silvana Santo - Una mamma green 9 Gennaio 2014

Cinque ragioni per le quali la nascita di un figlio fa bene all’intimità di coppia

Avete a che fare con un neonato egocentrico e temete per la sopravvivenza della vostra vita sessuale? La lettura del mio post sull’amore ai tempi della cicogna ha confermato le vostre paure più inconfessabili? Su col morale. Non tutti i mali vengono per nuocere, non c’è spina senza rosa (più o meno è così che diceva, no?) e bla bla bla. Sono seria: l’arrivo di un bimbo, per certi versi, giova all’intimità di coppia. Non ci credete? Leggete oltre.

1. I picchi di libido. L’astinenza forzata ha un certo vantaggio: il desiderio raggiunge vette degne della più selvaggia adolescenza. Livelli di zozzeria che al confronto Uccelli di Rovo è roba da educande.

2. La rinnovata fantasia. Il pupo monopolizza il letto matrimoniale? E allora via di tappeti, divani, tavoli, lavatrici, sedie, cabine armadio (come suggerisce una lettrice nel post precedente), chaise longue, vasche da bagno, box doccia, fioriere, lettiere del gatto e chi più ne ha più ne metta. Chi dice che la vita matrimoniale è monotona, non ha mai avuto un figlio piccolo addormentato nel lettone.

3. Le performance diurne. Nottate estenuanti e sovraffollate, poppate stakanoviste, turni di guardia per cambiare pannolini, scaldare biberon e cantare ninne nanne: la notte, per molti neo-genitori, non è fatta per amar. Poco male. Un pretesto per riscoprire altri momenti della giornata, in cui spesso si ha più energia e meno freddo. E qualche fisiologico turgore di cui approfittare.

4. L’effetto cielomiomarito!. Un neonato ha il sonno pesante, non sa mettersi seduto da solo e, soprattutto, capisce assai poco di quello che gli succede intorno. Ma vuoi mettere l’adrenalina addizionale da “paura di essere sgamati”? Quel brivido adulterino dell’amante occasionale? Quel silenzio forzato, quel trattenere il fiato, quella segretezza così stimolante? Quel senso del proibito che accende i sensi e spegne le inibizioni? Quel… ok, avete capito. Mi fermo qui. Prima che qualcuno si prenda la briga di iscrivermi ai ninfomani anonimi. O di chiedersi come mai la sottoscritta trovi così eccitante il sesso clandestino.

5. Amami come se fosse l’ultima volta. Quando si vive con un pochimesenne non si sa mai cosa può accadere. Dentizioni drammatiche, influenze contagiose, stitichezze dolenti, settimane insonni, eruzioni vulcaniche, siccità e locuste sono sempre in agguato. Un genitore impara molto presto, pertanto, a vivere come se non ci fosse un domani. In fatto di intimità, il concetto è: se non sai quando sarà la prossima volta, meglio impegnarsi perché questa sia davvero memorabile. Como si fuera esta noche la ultima vez.

(Nella foto sotto, un paio di picchi di libidine)

sesso dopo un figlio

9 Gennaio 2014 13 Commenti
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essere madregravidanza e parto

L’amore ai tempi della cicogna. Il sesso dopo un figlio, parte prima

by Silvana Santo - Una mamma green 8 Gennaio 2014

Siamo tra adulti, e non credo che il Moige legga questo blog. Bando, dunque, ai falsi pudori. In fatto di sesso – come per molte altre cose, del resto – esistono un prima e un dopo. Prima e dopo che un piccolo, tenero figlio giunga a rivoluzionare ogni aspetto della vita dei suoi genitori. Non sono, però, soltanto spine, e ve lo dico per esperienza personale. Cominciamo comunque dalle rogne.

Punto primo, gli ormoni. Se la gravidanza regala alla gestante (e al futuro papà) un cocktail afrodisiaco di estrogeni e progesterone, tanto da indurre molte coppie in attesa a sperimentare il proprio personalissimo e improbabile Panzasutra, il puerperio rischia di somigliare, dal punto di vista ormonale, a una cosa a metà tra il deserto dei Tartari e il fallout radioattivo di Chernobyl. La morte totale, la siccità inconsolabile, il vuoto cosmico. Perché Madre Natura, nella sua infinita e talvolta inopportuna saggezza, si premura di garantire al neonato l’attenzione esclusiva che merita, scoraggiando una nuova gravidanza. In che modo? Inibendo ogni velleità amatoria della neomamma con una generosa dose di prolattina. O, quando pure questo diabolico piano non riuscisse, usando le stesse armi chimiche per inaridire il materno giardino come le sabbie del Kalahari. Con buona pace del papà, che magari sarebbe più propenso alla diffusione a macchia d’olio dei propri gameti.

Punto secondo, il sonno. Un neonato, a meno che non siete particolarmente fortunati, è un vero e proprio buco nero di energia, una specie di piccolo Dementor che, invece dell’anima di harrypotteriana memoria, succhia via a suon di urla, pannolini e poppate la linfa vitale dei suoi genitori. Per giorni, settimane e mesi. Sopravvivere serenamente alla reiterata privazione del sonno (o, peggio, al suo spezzettamento in fugaci pennichelle funestate dall’ansia inconscia del “losobenissimocheadessosisveglia”) è già un risultato encomiabile. Aver voglia di fare le capriole tra le lenzuola, in queste condizioni, è roba da eroi.

Punto terzo, il tempo. Se è vero che una sveltina non tradisce mai, è altrettanto innegabile che chi è impegnato ad occuparsi di un bambino piccolo (e, magari, a lavorare dentro e fuori casa) spesso non ha il tempo neanche per cinque-minuti-cinque di effimera passione. Un neo-genitore, di solito, impiega i suoi rarissimi minuti liberi per attività ancora più vitali del sesso, come fare la cacca o lavarsi le ascelle. Ma dopo qualche settimana di astinenza, l’afrore ascellare potrebbe perdere qualche posizione nella scala gerarchica delle priorità fisiologiche.

Punto quarto, la privacy. I primogeniti sono spietati. Non vedono a un palmo dal proprio naso, non sono coscienti di avere il pollice opponibile, nei casi peggiori non sono neanche in grado di distinguere la notte dal giorno. Eppure, statene certi, loro lo sanno. Sentono che voi non aspettate altro che un loro momentaneo cedimento per darvi alla pazza gioia, rischiando di generare un fratellino pronto a detronizzarli (vaglielo a spiegare, a un neonato, che esistono i contraccettivi…). Faranno di tutto, di conseguenza, per impedirvi quel veloce brivido da adulti, per negarvi quella parentesi di momentanea perdizione. Nel dettaglio, il fatale nghè arriverà proprio al momento cruciale. Tra il preliminare fast food e il punto di non ritorno.

Punto quinto, il fisico (e questo vale, ahimè, solo per le madri). Magari vi piace il sadomaso. Magari un pizzico di sofferenza fisica aggiunge vigore alla vostra libido. Ma magari anche no, e allora rassegnatevi: per un po’ tempo dopo la corsa in ospedale che vi ha rivoluzionato la vita avrete sempre una parte del corpo che duole, tira o prude. Se non è il perineo, saranno le tette. Se non è la ferita del cesareo, sarà la schiena. Se non sono i peli pubici che ricrescono dopo la tricotomia, sarà quella parte del corpo oscura e recondita che nei blog di buona famiglia è meglio non nominare nemmeno. Ma basta esercitare un minimo le proprie doti di concentrazione e ci si può divertire anche con i capezzoli in fiamme.

Punto sesto, lo spazio. I bambini appena nati, per definizione, sono relativamente piccoli. Ma piombano in casa con una quantità di accessori, appendici, giocattoli e ammennicoli vari che occupa uno spazio inversamente proporzionale alla mole dei proprietari. Se il vostro letto è off limits, perché magari il cucciolo di casa dorme solo su quello che un tempo era il materasso dei suoi genitori, dovrete inevitabilmente cercare un’alcova alternativa. Ammesso che tra culla, passeggino, ovetto, fasciatoio, bagnetto, altalena, seggiolone, tappeto gioco, palestrina e simili riusciate a trovare lo spazio sufficiente per avvinghiarvi senza dignità.

Punto settimo, la lingerie. Panciera post parto e reggiseni per l’allattamento. Non aggiungo altro.

Fin qui gli inconvenienti, i disagi, le difficoltà. Ma non tutto peggiora, in camera da letto, con l’arrivo di un figlio. Ve lo posso assicurare. Cosa può esserci di positivo e di eccitante nella routine sessuale di una coppia di neogenitori? Leggete con libidine la seconda parte del post!

 

8 Gennaio 2014 12 Commenti
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gravidanza e parto

Partorirai con piacere: il parto orgasmico (sarà…)

by Silvana Santo - Una mamma green 20 Marzo 2013

Gli inglesi lo chiamano “orgasmic birth” e parte dalla convinzione che, adeguatamente preparata, messa a proprio agio in un ambiente confortevole e possibilmente familiare, supportata e stimolata sessualmente dal compagno, una partoriente possa arrivare a provare un intenso orgasmo durante il travaglio. Un orgasmo. In pieno travaglio. Sarò sincera: quando mi hanno parlato la prima volta di questa faccenda del parto orgasmico, il mio scettico sopracciglio è scattato così in alto da rendermi per qualche istante la sosia perfetta di Carlo Ancelotti.

Però poi mi sono detta: l’umanità è talmente strana che potrebbe esserci qualcosa di vero. E così ho fatto delle ricerche, scoprendo che, effettivamente, un certo numero di donne giura di aver raggiunto il massimo del piacere sessuale proprio durante le doglie. Guardare per credere (il documentario integrale, a dire il vero, è a pagamento, il che mi ha fatto venire qualche dubbio sulla reale natura di questa setta della contrazione libidinosa: che sia niente di più che una nuova forma di speculazione economica? O un business del porno sadomaso camuffato da fenomeno new age?).
 Comunque. Nonostante alla fine abbia avuto il cesareo, io il mio bel travaglio l’ho fatto quasi per intero, e francamente non ricordo di aver provato niente di seppur vagamente simile all’eccitazione sessuale. Anzi, se quella notte avessi potuto vendere il mio utero su ebay, oppure barattarlo con una fioriera da balcone su Subito.it, lo avrei fatto senza esitare. Sarò strana io. O forse sono le tizie dell’orgasmic birth a essere semplicemente delle masochiste patologiche travestite da hippie con la panza. E voi cosa ne pensate?

 

20 Marzo 2013 4 Commenti
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Mi chiamo Silvana Santo e sono una giornalista, blogger e autrice, oltre che la mamma di Davide e Flavia.

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