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mamma green

mamma green

Neonati in piscina: coccole in acqua per tornare alla natura

by Silvana Santo - Una mamma green 15 Luglio 2013

Per dirla tutta, non sono così convinta che sia una cosa davvero sostenibile. Però vi assicuro che portare un neonato in piscina è davvero un’esperienza molto intensa e rilassante e, in un certo senso, ci riavvicina – madre e figlio – alla nostra natura di mammiferi che si formano e si preparano alla vita in un mezzo liquido. Noi abbiamo cominciato quando Davide non aveva ancora 4 mesi e la diffidenza iniziale è stata lieve e passeggera. Da allora, grazie all’assistenza sapiente di Anna, la nostra istruttrice specializzata in attività acquatiche per bambini, i progressi sono stati notevoli.

Non sarà come questa bimba estone che a 1 anno e 9 mesi si tuffa come la Cagnotto, ma dopo appena un mese e mezzo di bagni a cadenza settimanale, mio figlio mostra una discreta confidenza con l’acqua, è in grado, col mio sostegno, di muoversi attraverso la piscina seguendo una palla o un piccolo giocattolo galleggiante, manifesta interesse verso gli altri piccoli nuotatori e accetta di essere messo a pancia in su, una posizione che le prime volte gli risultava assolutamente insopportabile. Non solo. Oltre a tollerare senza problemi il contatto dell’acqua con viso, occhi e bocca, Davide riesce, tra le braccia sicure dell’istruttrice, ad immergersi completamente per pochi secondi. A cinque mesi, dopo appena sei settimane di esercizio. Oltre a divertirsi, tra l’altro, lui mette in movimento muscoli che non eserciterebbe senza l’attività acquatica e, come ha spiegato Anna a noi mamme entusiaste, migliora la propria coordinazione motoria e rafforza ulteriormente il legame con la sottoscritta. Senza contare che quando torniamo a casa dopo la seduta in piscina, crolla addormentato per circa un paio d’ore, permettendo a mamma e papà di pranzare e riposarsi in santa pace.

Certo, c’è l‘impatto ambientale, innegabile. Però va detto che la piscina per bambini che frequentiamo è molto piccola, che la temperatura dell’acqua, così come quella degli spogliatoi, non è mai particolarmente elevata e che la quantità di cloro impiegata è davvero ridotta, anche perché, vista la tenera età dei bagnanti, la direzione dell’impianto (Gusto Wellness di Mariglianella, in provincia di Napoli) garantisce la potabilità dell’acqua utilizzata nella vasca dei neonati. E poi resta comunque un’attività collettiva e condivisa, nel senso che lo stesso dispendio energetico e il medesimo impiego di acqua e sostanze chimiche viene sfruttato da diversi utenti contemporaneamente (come dire, non è come se ognuna di noi mamme del sabato mattina avesse una propria piscina nel salotto di casa). Se poi dovesse servire a mio figlio per imparare ad amare e rispettare l’ambiente acquatico, sarà valsa la pena una volta di più. Splash!

15 Luglio 2013 4 Commenti
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mamma greenpannolini ecologici

Educazione precoce al vasino: si può crescere senza pannolini?

by Silvana Santo - Una mamma green 8 Luglio 2013

elimination communicationChe siano lavabili, biodegradabili o dei normali monouso di plastica, i pannolini – diciamocelo – sono una vera schifezza. Indossarli dev’essere un po’ come andarsene in giro con una discarica attaccata al sedere, senza contare i costi spesso vertiginosi e l’inevitabile impatto ambientale. E poi, inutile fingere che rimuovere la “cacchina santa” dei bambini sia un compito che le mamme, o chi per loro, assolvono con leggerezza: ripulire un essere umano, per quanto piccolo e adorabile, dalle sue deiezioni non è mai troppo piacevole. Come fare, dunque, per liberarsi presto e definitivamente dalla schiavitù del pannolino? Una strada possibile, almeno così sostengono coloro che l’hanno percorsa, si chiama EP, una sigla che sta per Educazione precoce e assistita al vasino (in inglese EC, Elimination Communication). Questo approccio, basato sul fatto che in molte zone del mondo i bimbi crescono senza pannolino, prevede l’osservazione dei segnali che ogni bambino manda, fin dai primissimi mesi di vita, quando sta per fare la pipì o la cacca: suoni specifici, particolari espressioni facciali, gesti caratteristici. Il concetto, almeno sulla carta, è molto semplice: si tratta di imparare a capire quando il piccolo sta per “liberarsi” e fare in modo che le sue deizioni finiscano nel vasino (o in un altro contenitore deputato alla raccolta).

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8 Luglio 2013 7 Commenti
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gravidanza e partomamma green

Lotus birth: e voi, tornereste a casa con la vostra placenta in una borsa?

by Silvana Santo - Una mamma green 13 Giugno 2013

Pensavate che il parto in acqua rappresentasse l’opzione più dolce per mettere al mondo un figlio? Eravate convinti che l’allattamento precoce e il rooming in fossero il massimo della “naturalità”? Credevate di aver visto tutto, ma proprio tutto, con la storia del parto orgasmico? Forse allora non avete mai sentito parlare del Lotus birth, o parto integrale, una pratica che consiste nel non recidere il cordone ombelicale dopo la nascita, lasciando il bambino unito alla placenta che l’ha nutrito nel grembo materno. E che fine fa, vi starete forse chiedendo, la suddetta placenta una volta espulsa dal corpo della puerpera? Semplice: torna a casa col neonato, sempre collegata al pupattolo attraverso il cordone ombelicale. L’idea, infatti, è quella di lasciare che “la natura faccia il suo corso”, aspettando che il cordone, con annessa la placenta, si stacchi da solo. O, per dirla in termini più new age, che il bimbo sia pronto per separarsi dall’organo materno che ne ha sostenuto la crescita quando era un feto. Sempre che la placenta sia d’accordo, s’intende! Cito infatti da lotusbirth.it: “Il distacco avviene quando entrambi, bambino e placenta, hanno realmente concluso il loro rapporto e decidono sia giunto il momento della separazione”…

Immagino, a questo punto, stuoli di avvocati divorzisti impegnati con coppie di neonati e placente alle prese con separazioni non consensuali (ok, questa era cattiva, lo so…).
I fautori del parto integrale, in sostanza, ritengono il taglio del cordone un atto violento e traumatico e sono convinti che lasciare il neonato unito alla placenta gli permetta di lotus birth placentasepararsi da sua madre in modo più dolce e graduale, continuando a ricevere sangue placentare e ricavandoneqbenefici dal punto di vista sia fisico che psicologico.

Ma come funziona a livello, per così dire, logistico? In rete si apprende che la placenta deve essere lavata e tamponata dolcemente, per poi essere riposta in un colino, una ciotola o un altro recipiente. Per trasportarla insieme al bambino fino al momento in cui si staccherà è possibile riporla in borse di stoffa appositamente realizzate (!) o semplici federe di cotone. Per evitare le conseguenze della decomposizione (perché di quello si tratta, in buona misura), inoltre, basta cospargere l’organo di sale marino ed eventualmente irrorarlo con qualche goccia di olio essenziale di lavanda, ripetendo il trattamento ogni 24 ore. E quando si stacca? Ho letto di neomamme che l’hanno sepolta in giardino. La pratica del Lotus birth, ovviamente, non è compatibile con la conservazione del sangue cordonale né con la donazione dello stesso.

Sarcasmo a parte, personalmente non credo di essere abbastanza “nature friendly” per chiedere alla mia placenta se è davvero pronta per dirci addio, men che meno per tumularla tra il melograno e l’albero di fichi. Per dirla tutta, l’unica cosa che ho apprezzato del cesareo, dal quale non mi sono mai davvero ripresa sul piano emotivo, è stata quella di non averla dovuta neanche vedere, la placenta (e dire che il mio ginecologo si è sempre complimentato per la sua bellezza!). So che molte mammifere la mangiano, e che lo fanno anche gli attivisti di Scientology, ma per quanto detesti l’eccessiva medicalizzazione della nascita, questo davvero non fa per me. Ho stappato un Moët & Chandon quando si è staccato il moncherino del cordone ombelicale di Davide, figuriamoci tenere nella culla un colapasta con una placenta sotto sale. Detto questo, credo fermamente che ogni donna abbia il diritto di scegliere in che modo partorire, purché questo non nuoccia a suo figlio. Anche se io la mia placenta non voglio guardarla neanche in ecografia, quindi, mi piacerebbe davvero che i punti nascita italiani fossero più informati su questo tema, e attrezzati per garantire alle mamme che lo desiderano il loro dolcissimo parto integrale.

E voi cosa ne pensate? Sareste disposte a tornare a casa dall’ospedale con la vostra placenta in un sacchetto di stoffa?

Altre informazioni sul sito lotusbirth.it.

13 Giugno 2013 1 Commenti
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mamma green

Una mamma green: quando il pupo è verde

by Silvana Santo - Una mamma green 13 Marzo 2013
Se una si sposa, facile che prima o poi faccia un figlio. E se una sceglie di sposarsi con una cerimonia all’insegna dell’ecologia, è probabile che, quando sarà il momento, cerchi in tutti i modi di rendere “verde” anche il suddetto bambino (non verde nel senso dell’incredibile Hulk, voglio dire, ma verde come sostenibile, ecologico, green, ecofriendly. Insomma, ci siamo capiti).

Quello che sto cercando di dire – con pochissima lucidità dovuta alla carenza cronica di sonno e all’odore di latte acido che impregna tutti i miei abiti, o almeno i pochi che mi entrano ancora – è che qualche settimana fa ho avuto un bambino. E che per tutta la gravidanza ho cercato di dare ascolto alla mia coscienza ecologista, tentando di viverla all’insegna del rispetto dell’ambiente e, soprattutto, di prepararmi ad allevare lo gnomo in arrivo nel modo più sostenibile possibile.

Non che sia un’impresa facile, ve lo dico subito (da quando Davide è nato, il tradizionale giorno di bucato settimanale si è trasformato in un sovra-sfruttamento della mia lavatrice salvaspazio, e i piatti di vetro opaco presi con i punti della farmacia – lo giuro, è la verità! – vengono spesso sostituiti da pratiche ma ben più inquinanti stoviglie monouso compostabili), ma noi ci stiamo provando, e vorrei raccontarlo in questo blog.

Cominciando dai pezzi della nuova rubrica che da qualche mese ho iniziato su La Nuova Ecologia (il mensile di Legambiente), che si intitola – ma va?! – “Diario di ECOmamma”.

Perché sposarsi green è facile. Essere green tutti i giorni, e con un pupo urlante al seguito, lo è molto meno.

Stay tuned.

13 Marzo 2013 0 Commenti
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Mi chiamo Silvana Santo e sono una giornalista, blogger e autrice, oltre che la mamma di Davide e Flavia.

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