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abbigliamento sostenibile

abbigliamento sostenibilepost sponsorizzativiaggi

Lapponia fai da te a Natale: l’abbigliamento termico per i bambini

by Silvana Santo - Una mamma green 15 Novembre 2017

Due figli piccoli, qualche giorno di ferie tra Natale e Capodanno e un salvadanaio riempito con impegno, giorno dopo giorno, per oltre sei anni. Mettici anche una spolverata abbondante di voglia di grande Nord (per me del tutto inedita, tra l’altro) ed ecco pronti gli ingredienti del nostro prossimo e ormai imminente viaggio: la Lapponia finlandese a Natale. Con Davide e Flavia, come è ovvio, e rigorosamente in fai da te, perché a noi i viaggi organizzati non piacciono, e soprattutto perché l’autonomia ci permette di risparmiare un poco su un viaggio che di per sé molto costoso. L’itinerario prevede Rovaniemi, Ranua e Levi, oltre a un paio di giorni a Helsinki. Ma come vestire due bambini per un viaggio in Lapponia auto-organizzato? Dei bambini napoletani, per giunta, che al freddo e al gelo non sono certo avvezzi, figuriamoci reggere a temperature che possono scendere fino a trenta gradi sotto lo zero? Un scoglio organizzativo (e psicologico) non da poco.

+++ Leggi anche: Lapponia fai da te con bambini: tutto quello che dovete sapere +++

Bambini in Lapponia: quale abbigliamento termico occorre?

La rete, come spesso accade, è venuta brillantemente in mio aiuto. Ho letto dozzine di articoli e ho sfruttato per mesi la consulenza di chi ha scelto di specializzarsi nella vendita di abbigliamento tecnico outdoor per bambini, come Francesca del sito Bimbiallaria, di chi al Polo ci vive, come Flavia di Mum in the Arctic, e di chi questo viaggio lo ha concepito e affrontato prima di me, come Letizia di Incinqueconlavaligia e Simona di Globetrotting Kids, (grazie, grazie e ancora grazie, amiche!). Così ho acquisito una vera e propria competenza specialistica in fatto di abbigliamento termico per bambini adatto a climi estremi come quello della Lapponia a Natale. Anche questo è il bello di chi organizza viaggi in fai da te! Ma andiamo con ordine.

natale rovaniemi abbigliamento termico

1. Lana (o tecnico) sulla pelle

La maggior parte delle persone che vive in climi artici o ne ha esperienza, consiglia di scegliere, per vestire i bambini in Lapponia, un intimo termico lungo – maglietta o body e calzamaglia o leggings – in lana merinos: un materiale isolante e caldo, ma che permette al sudore e all’umidità, entro certi limiti, di evaporare. Ovviamente, ed è tanto più vero per i bambini piccoli, bisogna optare per indumenti termici particolarmente morbidi e confortevoli, visto che devono essere indossati direttamente a contatto con la pelle (dimenticate le maglie intime pruriginose di una volta!). Chi proprio non riesce a sentirsi a suo agio con l’intimo in lana, oppure prevede di fare sport e sudare molto, dovrebbe scegliere materiali tecnici con grado di resistenza al freddo molto elevato. Sconsigliato, invece, il cotone, perché tende a impregnarsi di sudore e rendere la permanenza al freddo molto spiacevole.

2. Strati tecnici a gogo

Al di sopra dell’intimo termico in lana merinos o tecnico, conviene prevedere un abbigliamento a strati, in lana o pile. Noi contiamo di usarne, tra l’intimo e la giacca, almeno due per la parte alta del corpo: maglia termica in misto lana e pile pesante con la zip, ma per i bambini vorrei avere a disposizione anche uno strato ulteriore in caso di bisogno (l’ho già detto che non siamo abituati al freddo?). Gli indumenti “apribili” come giacche invernali, pile etc, sono molto pratici quando c’è la necessità di sfilarli o rimetterli velocemente. Per la parte sottostante del corpo, potrebbe essere necessario un pantalone tecnico tra la calzamaglia e il pantalone impermeabile.abbigliamento bambini lapponia natale

3. Impermeabilità assoluta

Il freddo invernale finlandese, nonostante le temperature estreme, può risultare in realtà più tollerabile di quello delle nostre montagne, dove l’umidità e il vento possono acuire la sensazione di disagio. Ma a quelle latitudini bisogna assicurarsi che i bambini indossino, come ultimo strato, abbigliamento impermeabile e antivento. Queste caratteristiche, per certi versi, sono anche più importanti del “calore” degli indumenti, per cui conviene prevedere un investimento per una giacca impermeabile e una salopette o pantalone impermeabile. La cosa più comoda, per i bimbi, è l’abbigliamento da neve, che permetta loro di giocare e muoversi in totale sicurezza e praticità. Noi abbiamo puntato su set spezzati (giacca e pantalone salopette, appunto), per essere più comodi in vista delle varie vestizioni/svestizioni e per rendere più agevole le soste per la pipì. Detto questo, soprattutto per i più piccoli la tuta per bambini può rivelarsi la soluzione più calda e “sicura”.

4. Occhio alle estremità

Mani, piedi e testa sono le parti del corpo che disperdono il calore più rapidamente. Potete avere la giacca invernale e il pantalone antivento più isolante del mondo, ma finirete col sentire freddo se le estremità non saranno coperte a dovere. Ecco perché, preparando l’abbigliamento termico per un viaggio in Lapponia a Natale con i bambini, è indispensabile prevedere:

– calze termiche spesse, meglio se in lana (ne occorrono diverse paia, per sovrapporle in caso di necessità e soprattuto per avere sempre disponibile un cambio asciutto).
– scarponi da neve impermeabili e imbottiti, certificati per temperature bassissime. Meglio prenderli di uno o due numeri più grandi, perché ci sia la possibilità di aggiungere una calza extra e perché con un po’ di spazio tra piede e calzatura il freddo si avverte di meno.
– guanti a muffola impermeabili (con le dita separate il calore si disperde più rapidamente), adatti a temperature molto rigide e magari lunghi fino al gomito. Non pensate di cavarvela con guanti e calzature economiche.
– passamontagna in lana o pile e berretto invernale pesante.

Io ho deciso di procurarmi anche degli scaldini chimici per guanti e scarponi: piccole compresse che si attivano quando vengono schiacciate e rilasciano calore per diverse ore (si trovano anche da Decathlon, grazie a Noi con le valigie per la dritta!).

cappelli invernali bambino Lapponia

Lapponia fai da te con i bambini: dove comprare l’abbigliamento termico

Nei negozi fisici italiani è difficile trovare prodotti adatti a condizioni così estreme, e quando si trova qualcosa i prezzi sono spesso proibitivi. Io ho comprato tutto su internet, un po’ per volta, sfruttando sempre i saldi e le offerte fuori stagione. Alcune cose le ha comprate per me (o me le ha prestate) la mia amica Flavia in Norvegia. Molte altre le ho trovate su Bimbiallaria, un fantastico e-commerce gestito da Francesca, una mamma assai green che ha fatto della quotidianità dei bambini all’aria aperta, in tutte le condizioni meteo, la sua filosofia di vita e di lavoro. Io, in particolare, ho scelto per Davide e Flavia l’abbigliamento tecnico del marchio svedese Didriksons, che con un rapporto qualità/prezzo eccellente offre tute da sci, giacche e pantaloni impermeabili, berretti invernali e molti altri prodotti per vivere la natura in ogni stagione. Io l’ho amato da subito anche per la sua anima green: i capi sono PVC-free e sia le giacche che i pantaloni possono essere allungati con il sistema Extend-size, che permette dunque di sfruttarli per diversi anni. Bimbiallaria è l’unico rivenditore italiano Didriksons e offre una gamma di prodotti perfetta non solo per un viaggio a Rovaniemi e in Lapponia, ma per tutte le esigenze invernali dei bimbi all’aria aperta.

abbigliamento termico lapponia didriksons

Un’alternativa consiste nel fare acquisti direttamente in loco, ma personalmente ho preferito equipaggiarmi di tutto punto fin da prima della partenza, anche per riutilizzare poi l’attrezzatura in altri viaggi o vacanze sulla neve. Tenete conto, infine, che durante le escursioni organizzate (safari in slitta, ciaspolate, visite a fattorie artiche etc) i tour operator mettono a disposizione dei clienti alcuni indumenti: informatevi bene, anche sulle taglie disponibili, prima della partenza.

A questo punto, non ci resta che partire e testare sul campo il nostro abbigliamento termico a prova di Polo Nord. Naturalmente vi racconterò tutto! Sempre se non decido di restare a lavorare come aiutante di Babbo Natale.

E se volete provare anche voi il marchio Didriksons, Bimbiallaria offre, fino al 29 novembre, un regalo speciale per i lettori di Una mamma green: uno sconto speciale del 10% su tutti i prodotti del brand. Per usufruirne, potete usare (una sola volta) il codice UNAMAMMAGREENALLARIA. Buono shopping!

Post in collaborazione con Bimbiallaria, negozio online di abbigliamento tecnico invernale ed estivo per bambini, esclusivista per l’Italia di marchi sostenibili e cruelty free di alta qualità. Bimbiallaria è specializzato anche nella fornitura di abbigliamento outdoor e stivali per asili nel bosco.

come vestire bambini rovaniemi

15 Novembre 2017 12 Commenti
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Storie di lana e di microfibra. E di scaldamuscoli che fermano il sangue

by Silvana Santo - Una mamma green 18 Aprile 2017

In principio sono stati gli anni ’80, Flashdance e Saranno Famosi. Con l’abbigliamento tecnico naturale molto al di là da venire, erano gli anni dei body sgambatissimi (se provassi a indossarli io, sembrerei un ex lottatore sovietico di greco-romana) e gli scaldamuscoli ai polpacci. Che poi mi sono sempre chiesta il senso di essere mezze nude, ma con le caviglie belle calde. Avevo anche una Barbie, con gli scaldamuscoli: nel mio immaginario di bambina facevano tanto atleta olimpionica, ma nella realtà non sono mai riuscita a indossarli. Mi facevano prurito, si attorcigliavano senza eleganza, mi facevano sembrare più goffa e più bassa, e ce ne vuole. Mi fermavano il sangue, per citare De André.

I ’90 sono stati gli anni dei completini stretch molto colorati, portati con le scarpe da tennis. Erano i tempi di Non è la Rai, che hanno sdoganato nel quotidiano indumenti che prima sarebbero stati sfoggiati solo in palestra, o al massimo in spiaggia. Elastane a profusione, abbinamenti tono su tono, e molte, moltissime discussioni in famiglia.

Il nuovo millennio è cominciato all’insegna dei talent televisivi e di una rinnovata popolarità per lo sport in senso lato. Danza in tutte le salse (ve lo ricordate Paso Adelante? E i miliardi di film sul ballo?), ma anche fitness, escursionismo, sport invernali e molto altro. Vestirsi “per la palestra” ha smesso di significare “metto su la maglietta più scolorita che possiedo” ed è diventata un’occasione come un’altra per sfoggiare capi alla moda e di buona fattura. Una scelta di stile importante e rigorosa, cui dedicare sempre una grande attenzione. Tranne per me, che una volta, quando abitavo a Roma, ho persino dimenticato di mettere il cambio in borsa, e ho dovuto comprare una tuta improponibile a una bancarella lì vicino.

Gli anni più recenti sono stati il tripudio del sintetico e del fluo. Materiali tecnici e colori al neon, la microfibra come filosofia di vita e panacea di tutti i mali, le sudate e le puzze di umidità. Eppure, sarà che sono strana, la roba sintetica su di me ha un effetto devastante: mi fa maleodorare, inibisce la traspirazione, mi fa sentire sporca e a disagio. E secca la mia pelle come il deserto del Gobi. Niente fibre sintetiche a contatto con la pelle, per la sottoscritta. Né in palestra, né altrove.

Quale sarà il futuro, allora? Ci scommetto: un ritorno graduale alle fibre naturali, la tradizione a braccetto della modernità. Il recupero di tecniche di tessitura e materiali biodegradabili, ecologici, traspiranti. Magari riciclati e riciclabili. Il cotone, il lino, la seta. E la lana, anche per fare sport.

È la filosofia di Reda Rewoolution, che realizza abbigliamento tecnico naturale in lana merino, traspirante, termoregolante ed elastico. Perfetto per tutte le attività sportive outdoor, dal trekking alla corsa, dalla vela al golf. Un tessuto che, grazie all’unicità e alla finezza della sua fibra, garantisce una speciale setosità e un alto potere assorbente (> del 35% del suo peso) e che permette di farsi una passeggiata in montagna, aggiungo io, senza puzzare di petrolio e di piedi.

reda_rewoolution

Post in collaborazione con Reda Rewoolution.

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Tu, figlia mia, non sei me

by Silvana Santo - Una mamma green 20 Luglio 2016

La tentazione, credo, è sempre in agguato. Quella di guardarti e scorgere nei tuoi occhi una piccola me stessa. Intuire, nei tuoi tratti che tanto mi somigliano, una parte di quello che sono stata e che sono ancora. Di quello, soprattutto, che sarei voluta diventare e che invece non sarò mai. Crescerti come se fossi una me in miniatura. Abituarti alle cose che amo, vestirti come mi vesto io, calzarti e pettinarti secondo i miei gusti e le mie abitudini radicate negli anni.

Ma tu, figlia mia, non sei me. Ti ho sognata insieme a tuo padre, ti ho costruita pezzo a pezzo nel cuore caldo del mio corpo, ti ho nutrita col mio sangue e col mio latte. Ma tu non sei me. Hai i miei occhi che sanno un po’ di Mongolia e il mio broncio un pochino snob, il mio incarnato olivastro, le guance rotonde e la bocca piccola. Ti amo, insieme a tuo fratello, come se fossi una parte del mio stesso corpo. Darei senza esitazione la mia vita per voi (e forse non posso dirlo con altrettanta certezza per nessun altro al mondo). Ma tu non sei me.

Vorrei che ereditassi alcune caratteristiche di tua madre. L’amore per i libri, la passione per i viaggi. La naturale attitudine a interessarsi a chi è diverso. Anche, più semplicemente, la sobrietà nel vestire e il relativo disinteresse per certe pretese della moda. Ma la verità è che potresti non assomigliarmi per niente e io ti amerò senza riserve come ti amo adesso, qualunque cosa deciderai di diventare. Perché so che tu, semplicemente, non sei me.

sandali bimba pisamonas

Forse, dopo tutti i viaggi che faremo insieme, sceglierai vacanze sempre uguali sulla stessa spiaggia affollata. Preferirai i videogiochi ai romanzi di avventura e le commedie romantiche ai film impegnati che tanto piacciono a me. Probabilmente farai roteare gli occhi quando ti farò ascoltare uno dei miei vecchi cantautori preferiti. Avrai l’acquolina in bocca davanti a piatti che io detesto, andrai a ballare nei locali che non hanno mai suscitato il mio interesse. Farai sessioni di shopping nei centri commerciali che odio, preferendogli di gran lunga lo shopping online che è invece la mia salvezza dalla folla e dal caos. Voterai diversamente da come faccio io, combatterai altre battaglie, scenderai a diversi compromessi. Forse, ma davvero non te lo auguro, sarai astemia come tuo padre. E magari vivrai sui tacchi a spillo che io non ho mai indossato. Perché tu, figlia mia, non sei me. E io ti giuro che non farò mai lo sbaglio di dimenticarlo, nemmeno per un momento.

Non sei me, ma sei comunque la mia eredità. Ti devo tutti i miei sforzi per darti quello che per me è l’esempio migliore, anche nelle piccole cose quotidiane. E allora non te la prendere se, adesso che tocca ancora a me scegliere quasi tutto al posto tuo, lo faccio come se stessi prendendo decisioni che riguardano me stessa. Se ti lascio i boccoli al vento perché non sembri amare gli elastici e le mollette. Se non ti compro abitini e gonne, perché li trovo scomodi e, d’altra parte, anche io li indosso raramente. Se scatto come un cobra quando qualcuno fa allusioni a cose che dovresti o non dovresti dire o fare perché sei “una signorina”. Se sono antipatica con chi, in totale buona fede, ti fa notare una volta di più quanto “sei bella”, esponendoti secondo il mio giudizio troppo severo al rischio di crescere vezzosa e narcisista. Se, invece delle scarpe con strass e lustrini che vedo ai piedi delle tue coetanee, ti faccio indossare sandali semplici,economici e rigorosamente flat. E magari, in un impeto di tenerezza e vanità, esattamente identici a quelli che indosso io.

pisamonas scarpe bambino

È successo ad esempio quando abbiamo scoperto il sito spagnolo Pisamonas per la vendita di scarpe per bambino online, che propone calzature economiche ma di buona manifattura per mamme e bambini, e che ci ha offerto di provare i suoi prodotti. Senza chiedere il tuo parere, io ho scelto le stesse minorchine marroni per me e per te, sperando che i tuoi gusti corrispondessero ai miei.

Sarà che sei ancora nell’età in cui ti piace somigliare alla tua mamma, sarà che difficilmente avresti potuto trovare scomodi dei sandali bimba freschi e confortevoli come le tue nuove minorchine, ma per adesso sembri aver gradito la mia scelta.

In ogni caso, non devi preoccuparti: calziamo, ogni tanto, le stesse scarpe, ma lo so perfettamente: tu, figlia mia, non sei me.

(E ho ragione di credere che diventerai una persona assai migliore di tua madre).

20 Luglio 2016 8 Commenti
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Babywearing in inverno: soluzioni per portare in fascia quando fa freddo

by Silvana Santo - Una mamma green 10 Novembre 2015

Portare i bambini, in fascia o in marsupio, nei mesi più freddi: un’impresa possibile, con tante soluzioni pratiche e a prova di qualsiasi tasca (oltre che belle, il che ovviamente non guasta mai). La prima domanda da farsi, quando ci si prepara al babywearing invernale, è se si ha davvero bisogno di indumenti o coperture specifiche, perché la risposta è tutt’altro che scontata.  Per trovare una risposta, ci sono diversi fattori da tenere in considerazione: età del bambino, condizioni climatiche da fronteggiare, modalità di babywearing (davanti, sulla schiena, sul fianco o in diverse posizioni a seconda delle circostanze e della necessità).

IMG_20151110_125340Per un bambino molto piccolo, portato esclusivamente davanti, potrebbe non essere necessaria alcuna copertura extra, specialmente se si vive in un posto non troppo rigido o se si usa una fascia elastica, che tende ad essere già particolarmente calda. Il contatto ravvicinato, specie pancia a pancia, garantisce di per sé un effetto di regolazione termica importante, che permette al neonato un adeguato confort climatico anche quando fuori fa freddo. Viste tra l’altro le dimensioni contenute di un bimbo di pochi mesi, quindi, basta di solito una giacca ampia, ed eventualmente una sciarpa o uno scialle, per tenere tutti al calduccio, ricordandosi di coprire sufficientemente anche la testa del bebè.

Viceversa, se il bambino è ormai grandicello, sa camminare e viene portato solo per brevi tragitti, magari con un fascia ad anelli sul fianco, è utile che abbia un proprio giaccone, in modo da restare coperto nei suoi frequenti saliscendi dalla fascia (o dal marsupio).

Negli altri casi, se si porta a lungo, in climi molto freddi, o se il “passeggero” ha ormai superato le dimensioni da neonato ma non cammina ancora da solo, è necessario attrezzarsi al meglio per affrontare l’inverno. Anche in queste circostanze, comunque, è spesso possibile cavarsela riadattando indumenti convenzionali, soprattutto se si porta per lo più pancia a pancia. Mantelle ampie, poncho o felpe con un collo sufficientemente ampio da permettere il passaggio delle teste di chi porta e del bambino sono di solito una soluzione efficace e a buon mercato. Potrebbe risultare più scomoda, ma comunque praticabile per lo meno in situazioni di emergenza, la semplice opzione di utilizzare una giacca di una taglia più grande rispetto al necessario.

Chi è abituato a portare quotidianamente o per lunghi tratti in fascia o marsupio, specie sulla schiena, potrebbe invece sentire l’esigenza di un capo specifico per il babywearing invernale. Per i “canguri” più esigenti, infatti, il mercato offre una vasta scelta di coperture, felpe e giacche per portare, in grado di soddisfare anche i più freddolosi. I prezzi non sono sempre economici, ma non mancano le soluzioni abbordabili.

Babywearing in inverno: cover e copertine per portare

Si tratta di una soluzione che permette di indossare una propria giacca, sopra o sotto il supporto, e poi coprire la fascia o il marsupio con una cover esterna, da allacciare con bottoncini o lacci. Di solito le cover sono in felpa o pile, con o senza cappuccio, ma è possibile optare anche per copertine in lana o in filati sintetici da realizzare autonomamente o acquistare presso mamme artigiane. Alcuni marchi propongono anche uno strato esterno opzionale in materiale impermeabile. Il principale vantaggio di queste coperture extra, secondo me, è che possono essere condivise da entrambi i genitori, a prescindere dalla taglia che vestono abitualmente. Si tratta inoltre di soluzioni di norma abbastanza economiche (dai 35 euro in su, o anche meno se si usufruisce di offerte, gruppi d’acquisto, o se ci si rivolge al mercato dell’usato) e poco ingombranti.cover2

cover infantino

D’altro canto, le cover da babywearing potrebbero risultare non abbastanza calde e richiedere strati di abbigliamento extra che possono complicare le operazioni di legatura (in un viaggio autunnale in Olanda, ad esempio, Davide indossava all’interno del marsupio un giaccone abbastanza pesante, oltre alla nostra cover in felpa Infantino).  In base alla mia personale esperienza, infine, sono un po’ scomode da sistemare senza aiuti quando si porta sulla schiena, e si prestano meglio col marsupio che con la fascia.

Mantelle e poncho per portare quando fa freddo

Questo tipo di indumento, a differenza delle cover, copre contemporaneamente mamma (o babbo!) e bambino, al di sopra del supporto, fascia o marsupio che sia. Il vantaggio è appunto quello di non avere giacche o altri strati di stoffa tra portato e portatore, riducendo gli intralci e aumentando senza dubbio il grado di comodità, specie se si usa la fascia. Il costo è un po’ più alto (parliamo di almeno 80/100 euro) e spesso si tratta di indumenti con una taglia specifica, che quindi non si prestano ad essere condivisi da diversi membri della famiglia. Il materiale più essere lana o pile, più o meno caldo, ma c’è da tener presente che le braccia e la parte inferiore del corpo rimangono spesso scoperte, e in ogni caso si tratta quasi sempre di tessuti non idrorepellenti,quindi non troppo adatti in caso di pioggia forte.

mantella

In queste settimane sto usando una mantella per portare in lana cotta prodotta da Mamma Canguro (la vedete nelle foto). Estremamente morbida e confortevole, la adoro perché è poco ingombrante, sottile e si presta molto bene ad essere indossata anche senza bambino, un aspetto importante nell’ottica di un acquisto durevole. Ampiamente personalizzabile (viene cucita su misura e nei colori scelti dall’acquirente), è perfetta anche per le mamme col pancione, e secondo me sta bene sia con una mise molto sportiva che con un abbigliamento più casual. La lana è molto calda, ma io trovo che sia ideale per l’autunno o per gli inverni miti, mentre credo che in caso di freddo intenso possa non essere sufficiente. Il collo molto ampio della mantella Mamma Canguro, comunque, consente di coprire bene sia la mamma che il bambino. Si può optare per una chiusura con cintura o, come nel mio caso, con uno spillone, e naturalmente questa opzione richiede un minimo di attenzione in più per evitare di pungere il bambino. Teoricamente dovrebbe essere adatta anche per portare sulla schiena, ma io non sono riuscita a indossarla con Flavia in groppa, mentre ha “funzionato” benissimo anche con la ring. Alternative simili alle mantelle sono i poncho per portare, in lana, pile o filati sintetici, che presentano un foro aggiuntivo per fare uscire la testa del bebè, sia davanti che, semplicemente rigirando l’indumento e indossandolo al contrario, sulla schiena.
mamma canguro

mamma canguro senza

Felpe e giacche per portare

Rappresentano la versione più complessa, e spesso costosa (andiamo in media dai 140 euro a salire), degli indumenti da babywearing invernale: si tratta di vere e proprie felpe (ne esistono anche versioni smanicate), giacche, cappotti o trench provvisti di inserti aggiuntivi da agganciare, mediante zip o bottoni, sul davanti o sulla schiena, in modo da fare posto al bambino, o eventualmente a un pancione (qualche mamma abile con la macchina per cucire riesce a realizzare in casa la “prolunga” da utilizzare davanti). Di norma, felpe e giacche per portare sono perfettamente funzionali anche senza inserto, e possono pertanto essere utilizzate anche quando non si sta col pupo in fascia.

mamalila FelpaNegli ultimi anni si è moltiplicata l’offerta di prodotti di questo genere, realizzati con tessuti più o meno imbottiti, impermeabili o meno. Ne esistono di stili e colori diversi, modelli lunghi e corti, sportivi o “eleganti” e anche versioni maschili o unisex. I prezzi, di solito, non sono esattamente popolari, ma queste giacche hanno il vantaggio di poter essere usate anche quando si smette di portare, in gravidanza, ed eventualmente per portare in tandem o quando si è in attesa, acquistando un inserto aggiuntivo. Permettendo quasi sempre l’uso della fascia sul davanti e sulla schiena, inoltre, sono indumenti molto versatili, vere e proprie giacche o felpe “4 in uno”.

Quella che stiamo provando io e Flavia in questi giorni, e che vedete nelle foto, è il modello “Trenchcoat” prodotto dall’azienda tedesca Mamalila, una giacca a due strati – trench esterno e felpa interna con cappuccio per la mamma, agganciabile all’impermeabile attraverso dei bottoni a pressione – che può appunto essere usata da sola come giaccia “normale”, in gravidanza, o per portare i bambini sia sul davanti che sulla schiena. Il valore aggiunto di questo prodotto sta sicuramente nei materiali sostenibili utilizzati: cotone organico certificato per la felpa e poliestere ricilato per l’impermeabile esterno. Inoltre, la possibilità di usare i due strati in maniera indipendente o combinata rende il trenchcoat Mamalila estremamente versatile: in pratica, si dispone con un solo acquisto di una felpa sportiva e calda (con cappuccio per la mamma), di un trench più elegante e perfetto per la mezza stagione e le giornate umide, e di una giacca più calda e idrorepellente quando i due strati vengono indossati contemporaneamente. Personalmente, apprezzo molto la linea del trench (tanto che lo sto usando anche quando non ho Flavia in fascia), che essendo antivento e impermeabile (grazie alla membrana di poliestere riciclato) è perfetto per il clima variabile dei mesi autunnali.

mamalila trench Non saprei dire, al momento, se il doppio strato possa essere sufficiente per i climi più rigidi (ma forse in quel caso è preferibile optare per uno dei modelli Mamalila più pesanti), anche se va detto che camminare con un figlio in fascia o in marsupio permette in partenza di scaldarsi abbastanza. Per quanto riguarda la praticità d’uso, trovo la giacca comoda sia per portare davanti che sulla schiena, anche se, personalmente, faccio ancora fatica nell’idossarla senza aiuti, o senza uno specchio, quando ho Flavia in groppa. In questo caso, infatti, è necessario “lanciarsela” sulle spalle, centrando poi in qualche modo il buco destinato alla testa del bambino. Il prezzo al pubblico non è economico (299 euro sul sito dell’azienda), ma riflette la molteplicità di usi e, soprattutto, la qualità e la sostenibilità dei materiali utilizzati.

mamalila senza

felpa

Che viviate sulle Dolomiti o nei pressi di una spiaggia siciliana; che portiate tutti i giorni o solo saltuariamente, sul davanti o sulla schiena, un neonato o un bimbo più grande; che abbiate a disposizione un budget limitato o un investimento a tre cifre: buon babywearing invernale a tutti!

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10 Novembre 2015 4 Commenti
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bali beasakih
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Il tempio di Bali

by Silvana Santo - Una mamma green 20 Maggio 2015

“Dio è sempre lo stesso, anche se ognuno lo chiama in modo diverso. E anche se non hai un dio, c’è sicuramente qualcosa che vuoi chiedere, o per la quale ringraziare”.

Made si presentò al nostro appuntamento quotidiano un po’ in anticipo, quella mattina. Era tutto vestito di bianco, ci aspettava la visita al tempio indù più grande di Bali, la madre dei templi, il Pura Besakih, e la nostra guida ci teneva a onorare le divinità con il suo abbigliamento candido. Per una strana casualità, anche noi indossavamo abiti bianchi, quel giorno. Il destino a volte è bizzarro.

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Lungo la strada verso il tempio, Made ci propose di partecipare con lui alla cerimonia che si sarebbe svolta all’ombra dei meru. Si celebrava una ricorrenza speciale, quel giorno, e lui ci teneva a rendere grazie insieme a noi, che dopo una settimana vissuta fianco a fianco parlando di storia e fede, cibo, famiglia e tradizioni, eravamo qualcosa di più simile a degli amici che a degli agiati clienti occidentali. Arrivati a destinazione, cinse la nostra vita con dei sarong ornamentali e pose un copricapo tradizionale in testa al mio novello sposo. Ci fermammo presso una dei tantissimi ambulanti che vendevano offerte votive da dedicare agli dei: cestini riempiti con fiori, bastoncini di incenso, riso e caramelle.

Varcammo la soglia del tempio con un’emozione strana, quasi primordiale. Osservammo Made pregare devoto nel suo piccolo tempio di famiglia, in cui noi estranei non potevamo entrare. Raggiunto il tempio pubblico, una sacerdotessa antica come le pietre che la circondavano ci fece sedere a terra, a gambe incrociate, in mezzo a decine di altri fedeli.

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Pelle abbronzata e capelli neri, ci confondevamo tra la folla locale. Due viandanti, due pellegrini, due oranti qualsiasi. Due macchie bianche in mezzo a tante altre.

Dopo, ricordo i chicchi di riso umido incollati sulla nostra fronte, gli incensi sparsi nell’aria, gli schizzi di acqua benedetta. Le nenie salmodiate dai devoti, i movimenti lenti della sacerdotessa. L’atmosfera mistica ma naturale, nell’aria umida dei Tropici.

Io, nel frattempo, ringraziavo. Per la mia vita fortunata, per il recente matrimonio d’amore, per quel viaggio autentico e memorabile. Per i miei figli, anche se non sapevo ancora che sarebbero nati. Per la libertà di pregare chi volevo e come volevo, vestita di cotone bianco in un sacro tempio di Bali.

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Non ho più meditato in un tempio induista, dopo quella volta. E non so se capiterà ancora. Ma ricordo quella mattinata come un regalo inatteso. La condivisione di un momento speciale con degli esseri umani sconosciuti, eppure così vicini. Un’esperienza di sacralità e fratellanza senza uguali.

Se un dio davvero esiste, quel giorno era accanto a noi nel tempio madre di Bali.

Questo ricordo è stato ispirato dai capi della collezione estiva di Trame di Storie, una linea di abbigliamento etico ed ecologico con splendidi indumenti e accessori realizzati da organizzazioni e piccole realtà produttive del Sud del Mondo o da cooperative sociali italiane che garantiscono ai propri dipendenti condizioni di lavoro sicure e compensi adeguati, utilizzano tecniche produttive a basso impatto ambientale oppure materie prime naturali o riciclate.    

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20 Maggio 2015 3 Commenti
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Percarbonato, la risposta naturale contro le macchie

by Silvana Santo - Una mamma green 10 Dicembre 2013

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Quando Elio ha scritto la sua indimenticabile Silos, ne sono sicura, pensava a un neonato. Non aveva idea di cosa fosse il percarbonato, ma è, per forza, a un adorabile cucciolo d’uomo che stava pensando. La quantità di secrezioni, escrezioni e deiezioni prodotte quotidianamente da un bambino piccolo è incredibile: sostanze di ogni colore, odore e consistenza – ma tutte parimenti immonde – fuoriescono di continuo da ogni orifizio corporeo della sudicia creatura, dai pori, dai suoi occhi e finanche dal cuoio capelluto. A qualunque ora del giorno e della notte, sette giorni su sette, la produzione di sostanze viscide, appiccicose e maleodoranti è in funzione. E, inevitabilmente, queste scorie nauseabonde finiscono con l’imbrattare lui (quel piccolo silos tutto ciccia e mossettine), voi, i suoi e i vostri vestiti, la biancheria, i mobili, le pareti, le porte e le finestre, il gatto, le vostre scarpe, i soffitti, eccetera eccetera. Un tripudio di schifezze, un’esplosione di rifiuti organici, una Nagasaki di spazzatura semiliquida. Un neonato, in sostanza, è una minuscola fabbrica di lordura semovente, un generatore casuale di macchie e patacche, un orgoglioso produttore di sozzume.

Molte madri, e le capisco, affrontano questa esperienza per quello che è: una guerra senza esclusione di colpi. E si difendono dall’ondata di lerciume con un arsenale chimico da fare invidia all’Iran di Ahmadinejad: disinfettanti, detersivi, sgrassatori, ammorbidenti, disincrostanti e, soprattutto lui, l’arma segreta contro la chiazza ostinata: lo smacchiatore. In spray, gel o in monodosi, l’alleato preferito di chi ha a che fare con un piccolo produttore compulsivo di macchie. Il problema di questi prodotti è che, in realtà, invece di pulire, sporcano. Sporcano le acque di scarico, inquinando l’ambiente.

Gli smacchiatori industriali, infatti, contengono sostanze chimiche dannose, allergizzanti e potenzialmente tossiche, a cominciare dai cosiddetti sbiancanti ottici o azzurranti che, come dice il nome, più che “sciogliere” le macchie, le rendono pressoché invisibili all’occhio umano, coprendole con una patina che modifica le proprietà riflettenti del tessuto (per legge, la presenza di sbiancanti ottici nei detersivi deve essere chiaramente indicata in etichetta). In pratica, voi pensate di esservi disfatti di quel grumo secco di vomito e bava, ma in realtà lo avete soltanto camuffato alla meno peggio. Anche i tensioattivi di derivazione petrolifera di solito contenuti all’interno di smacchiatori e altri detergenti sono inquinanti e irritanti, mentre i profumi – quel tanto piacevole quanto sintetico “odore” di bebè che piace tanto ai più – possono provocare fastidiose allergie, soprattutto in bambini e neonati.

Come fare allora, per non soccombere nel mare di macchie e schifezze puteolenti? Una risposta naturale ed ecologica è rappresentata dal percarbonato di sodio, una polvere bianca, reperibile a basso costo (intorno ai 7 euro al chilo) nei negozi di prodotti ecologici, in molte farmacie e in numerosi shop online, con proprietà smacchianti, sbiancanti e igienizzanti già a basse temperature. Un cucchiaio di percarbonato può essere aggiunto al detersivo per lavatrice, liquido o in polvere, per smacchiare capi bianchi e colorati. La stessa quantità, diluita in acqua tiepida, è sufficiente per l’ammollo di indumenti particolarmente zozzi (per i colorati, meglio non prolungare il tempo di ammollo oltre i 60 minuti), oppure, inserita nell’apposita vaschetta della lavatrice, per effettuare il prelavaggio. Le macchie più ostinate possono essere trattate direttamente con un po’ di polvere, che può essere usata, seguendo le indicazioni riportate sulla confezione, anche per la pulizia di piatti e stoviglie (insieme al detersivo).

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10 Dicembre 2013 6 Commenti
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Scalzo come mamma (green) l’ha fatto. E come un povero Cristo

by Silvana Santo - Una mamma green 6 Novembre 2013

libertà2Mio figlio ha calzato le sue prime scarpe poche settimane fa, all’alba dei suoi primi 8 mesi di vita. Si tratta di scarpine a suola morbida, in pelle conciata e colorata senza l’uso di sostanze tossiche (come queste, per intenderci!). Sono le uniche calzature che tuttora possiede, e che BigD indossa sporadicamente, e comunque soltanto fuori casa. Il motivo non sta nel costo, per quanto spesso indecente, delle scarpe per bambini (ingenua io, che ho sempre creduto che l’equazione più piccolo=più costoso valesse solo per gli orecchini di vetro di Murano soffiati a bocca e per i libri miniati di età medievale). E neanche nell’atteggiamento di Davide che, stranamente, è abbastanza arrendevole per quanto riguarda la vestizione delle sue appendici podali.

Il fatto è che qui, in casa Mamma Green, apparteniamo alla scuola di pensiero secondo la quale “scalzo è bello”. Una teoria neanche tanto nuova, per dirla tutta, e che mi pare incontri sempre più favori tra i pediatri e tra le mamme (una volta tanto, insomma, non mi sento una specie di Giovanna Battista che parla coi sassi nel deserto). In altre parole, io e il padre di BigD pensiamo che sia meglio, per il nostro corpulento figliolo, imparare a camminare senza scarpe. Come gli asini e le scimmie. Le rane e i millepiedi (anche perché, in quest’ultimo caso, davvero sarebbe necessario accendere un mutuo. Con sotto mille firme, per giunta, perché suppongo che i millepiedi abbiano anche altrettante mani… Ok, basta).

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6 Novembre 2013 17 Commenti
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Ammorbidente? Meglio l’acido citrico, per i bambini e per l’ambiente

by Silvana Santo - Una mamma green 16 Settembre 2013

ammorbidente2La pelle dei bambini è morbida e liscia. Si arrossa, si irrita, si “sgualcisce” anche solo a guardarla troppo. Comprendo bene, quindi, da dove arrivi la tentazione di avvolgere i neonati nel più soffice dei tessuti, e dunque la tendenza a usare – o abusare – ogni sorta di ammorbidenti per il bucato. Ma se il marketing dei vari morbidello-sofficissimo-profumoso ci promette fibre talmente soffici da essere degne finanche della Principessa sul pisello, quello che la pubblicità (la réclame, direbbe la mia defunta nonna) si guarda bene dal dirci è che gli ammorbidenti sono prodotti molto inquinanti e potenzialmente pericolosi, per tante ragioni diverse. Intanto, non è vero che facciano così bene ai tessuti: creando una sorta di film grasso intorno agli indumenti, finiscono alla lunga con lo “sporcarli”, riducendo l’efficacia dei lavaggi e accelerando il processo di ingrigimento e obsolescenza delle fibre. Un po’ come il botulino, che se lì per lì ti fa sembrare strafiga e giovanissima, dopo qualche tempo ti trasforma in una brutta copia della copia di cera di Nicole Kidman esposta al Madame Tussauds.

Poi, inquinano l’acqua, perché contengono derivati petroliferi e altri componenti di scarsa biodegradabilità che, dallo scarico della nostra lavatrice, finiscono dritti dritti nel mare, nello stesso mare dove i nostri figli sguazzeranno paperella-muniti l’estate prossima. Come se non bastasse, l’ammorbidente per il bucato è potenzialmente allergizzante, soprattutto per i bambini, dal momento che di solito contiene profumo (a questo proposito, vi rivelo un segreto: il pulito NON ha odore!) e perché la “patina” che crea sugli indumenti finisce direttamente a contatto con la nostra pelle. Last but not least: avete presente la puzza di cane bagnato che sprigionano i vestiti quando si asciugano in un ambiente chiuso (o quando – ahem – li dimenticate per troppo tempo in lavatrice dopo averli lavati)? Ecco: l’ammorbidente ne favorisce la formazione, perché “intrappola” l’umidità all’interno dei tessuti. Insomma, per quanto il proposito di avvolgere i bimbi nel morbido sia davvero ammirevole, ce n’è abbastanza per dire auf wiedersehen ai vari pucciolino, spupazzoso e fruzzolotto. Senza rimpianti, scurdammoce ‘o passato.

Come fare, però, per evitare di ritrovarsi con asciugamani e lenzuola secche e ruvide come una prugna lassativa californiana?

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16 Settembre 2013 5 Commenti
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Nanna sicura: occhio alla temperatura e alla biancheria da letto

by Silvana Santo - Una mamma green 9 Aprile 2013
Nanna sicura: occhio alla temperatura e alla biancheria da letto

Foto Ikea

Ancora a proposito di corredino (e visto che andiamo incontro all’estate): l’abbigliamento notturno temperatura della stanza, che non deve in ogni caso superare i 18-20gradi. Molti studi, infatti, hanno dimostrato che un ambiente fresco riduce sensibilmente il rischio di Sids, la cosiddetta sindrome della morte in culla, terrore di tutte i neogenitori.

dei più piccini dovrebbe tener conto anche della

Sempre per garantire la sicurezza dei bimbi durante il sonno, dal Nord Europa arriva il sacco nanna: una soluzione per il riposo di neonati e bambini che consiste in una sorta di “sacco a pelo” sostitutivo di lenzuola e coperte. Oltre a scongiurare il rischio di soffocamento accidentale, pare che aiuti il bimbo a sentirsi più sicuro e a dormire più sereno.

Ne esistono diversi tipi, più e meno pesanti, in tessuti differenti (incluso il cotone organico), di taglie diversificate e per tutte le tasche. Occhio alla misura, però: una taglia troppo grande può compromettere la sicurezza del pupo, che rischierebbe di “affondare” nell’apertura superiore e rimanere impigliato…

Io non l’ho ancora provato, ma intendo sperimentarlo a breve. Stay tuned.

9 Aprile 2013 3 Commenti
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Il corredino del bebè: tessuti naturali e zero chimica

by Silvana Santo - Una mamma green 25 Marzo 2013

Tratto dalla mia rubrica “Diario di ECOmamma” su La Nuova Ecologia (numero di marzo 2013)

Fonte: Mamma.pourfemme.it

«I neonati hanno sempre freddo, quindi vanno coperti molto di più rispetto agli adulti». «I bambini sudano facilmente, meglio vestirli poco». «Attenzione ai colpi di vento e alle allergie!». Quando c’è un bimbo in arrivo, tutti si sentono in dovere di elargire consigli non richiesti e spesso le future mamme si trovano investite da moniti allarmanti e opinioni in deciso contrasto tra loro. Quello della preparazione del corredino è uno dei momenti in cui l’equilibrio psicologico già delicato della donna in attesa viene messo a dura prova dai suggerimenti contraddittori che arrivano da ogni parte: difficile trovare un altro argomento su cui vi sentirete dire tutto e il contrario di tutto.

Come gestire input così contrastanti? Senza pretendere di possedere le chiavi della verità, quando è toccato a me ho cercato di affidarmi al buon senso e di attenermi a poche e semplici “regole” che per lo più sono valide anche per l’abbigliamento degli adulti. Prima di tutto, personalmente ho preferito tessuti di origine naturale, come il cotone, il lino e la seta. Trovo infatti, almeno per quanto riguarda la mia esperienza, che favoriscano la traspirazione, evitano che il bimbo sudi troppo e che la sua pelle delicata diventi terreno fertile per dermatiti, micosi e infezioni batteriche. La lana non andrebbe usata a diretto contatto con la pelle dei neonati, perché potrebbe causare prurito e fastidiose irritazioni (meglio optare per il caldo cotone), ma resta un’ottima scelta per gli strati più “esterni”, come golfini, cardigan e copertine.

Anche per le fibre naturali, comunque, occorre sempre assicurarsi che gli abiti non contengano formaldeide, metalli pesanti, ftalati, coloranti nocivi e altre sostanze chimiche allergeniche, tossiche o inquinanti. Sul mercato esistono diverse certificazioni che attestano la salubrità dei prodotti tessili, come il bollino Eco Safe o lo standard Oeko-Tex, ma una delle scelte più sicure è quella di affidarsi ai filati biologici. Il cotone organico, come le altre fibre naturali bio, viene coltivato senza usare prodotti chimici di sintesi come fertilizzanti o pesticidi, non contiene allergeni né Ogm e l’intera filiera di lavorazione esclude l’impiego di sbiancanti, tinte o detergenti nocivi per la salute e per l’ambiente. Attenzione, però: tutti i capi realizzati in fibre biologiche devono essere contrassegnati con un apposito marchio rilasciato da un organismo di certificazione indipendente.

Quanto al dilemma atavico su quanto coprire il bambino, il sistema migliore è forse quello di vestirlo a strati, in modo da coprirlo e scoprirlo facilmente a seconda della temperatura esterna. In ogni caso, meglio non esagerare con la paura dei colpi di freddo: uno strato in più rispetto a quello che indossiamo noi è più che sufficiente per tenere al caldo anche un bimbo freddoloso.

25 Marzo 2013 9 Commenti
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Mi chiamo Silvana Santo e sono una giornalista, blogger e autrice, oltre che la mamma di Davide e Flavia.

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