Siamo davvero artefici del nostro destino?

Sono nata all’inizio dei ruggenti anni ’80, gli anni del debito pubblico da capogiro, dell’inflazione, della pseudo-emancipazione femminile seguita alle lotte e alle effimere conquiste del decennio precedente. Ho attraversato, crescendo, gli anni del disincanto, della crisi economica, delle fabbriche chiuse. Della decrescita più o meno felice, più o meno necessaria, più o meno obbligata. Poi quelli della bolla digitale, delle nuove professioni, del precariato cronico.

E negli ultimi tempi assisto con sentimenti alterni al dilagare della cultura della consapevolezza, dei life coach e dei motivatori. Quella filosofia secondo la quale siamo fondamentalmente “artefici del nostro destino” e responsabili, in buona sostanza, dell’approccio con cui affrontiamo la vita ogni giorno. “La felicità è una scelta”. “Se la tua vita non ti piace, allora comincia a cambiarla!”. “Smetti di lamentarti e agisci!”. Sono i mantra che occhieggiano da tanti profili social, meme ispirazionali e manuali di auto-aiuto. Ma è davvero sempre così? Siamo realmente liberi di fare della nostra vita quello che vogliamo, di cambiare le cose che non ci piacciono e di guardare la vita con atteggiamento fiducioso, pro-attivo e ottimistico?

In parte, credo io. Non tutti, non sempre, non necessariamente. Non tutti, questo è il punto, affrontiamo il viaggio dell’esistenza con le stesse risorse – materiali e non solo – a disposizione. E non mi riferisco solo all’evidente e incolmabile gap di chi nasce, purtroppo, in un contesto di povertà, di analfabetismo, di malattia. Di abbandono o di violenza. Anche nell’ambito della cosiddetta “normalità” e del privilegio oggettivo esistono innumerevoli sfumature che finiscono col condizionare, in tanti modi possibili, la vita delle persone.

Le opportunità che ci vengono incontro nella vita (e le conseguenze sul nostro stato d’animo, sulla nostra autostima, sulla nostra “filosofia di vita”) non dipendono solo dalle nostre capacità, dallo sforzo di volontà che riusciamo a mettere in atto, dall’impegno che sappiamo profondere. Dipendono anche da tanti fattori che non possiamo controllare.

Dal luogo in cui cresciamo, per esempio. Che inesorabilmente condiziona non solo le nostre opportunità di formazione, di lavoro, di guadagno, ma anche – e in modo talvolta profondissimo – la visione della vita che ci portiamo dentro, l’opinione che abbiamo di noi stessi, la natura dei nostri desideri e le aspettative sul nostro avvenire. Finanche, in qualche caso, il nostro stato di salute fisica.

Dipendono dalle scuole che frequentiamo, dagli insegnanti che incontriamo lungo il nostro cammino di formazione. Dalla religione che professiamo da piccoli, di solito mutuandola dai nostri genitori, e dalle figure di riferimento – laici o secolari – che incontriamo sul nostro cammino. Un contesto incoraggiante o castrante, colpevolizzante o liberante, empatico o anaffettivo, possono avere un ruolo molto importante sullo sviluppo della personalità di un individuo, al di là delle sue caratteristiche intrinseche.

Dipendono, in modo forse decisivo, dalla famiglia in cui nasciamo e dalle dinamiche che la alimentano. Dagli strumenti che, a prescindere dall’amore, dalla dedizione e dalle buone intenzioni che li animano, genitori e familiari riescono a mettere in campo nell’accompagnare un individuo attraverso il proprio cammino di formazione, di crescita e di costruzione della personalità. Un ambiente familiare (per esempio) incentrato sul senso del dovere, sull’adesione alle aspettative altrui, sul “sacrificio” porterà forse frutti diversi rispetto a un contesto che si fonda su altri valori e su differenti esperienze (felicità individuale, autodeterminazione, indipendenza emotiva). E questo, mi sembra importante sottolinearlo, anche a parità di affetto, di impegno, di vicinanza e di condivisione.

Siamo quello che siamo non solo perché ogni giorno scegliamo che persona essere. Ma anche e soprattutto perché ci portiamo dietro un bagaglio esclusivo e personale fatto di condizionamenti, di esperienze, di casualità, di possibilità. Di traumi e di sventure, qualche volta. Nonché un patrimonio genetico che di certo avrà il suo peso. Il nostro vissuto non può che influire sulla percezione che abbiamo di noi stessi e della vita, sul filtro attraverso il quale riusciamo a leggere il mondo. E se è vero che le persone possono reagire in modi molto diversi ai medesimi stimoli, è vero anche che non tutti, semplicemente, dispongono dei mezzi per decidere come reagire agli stimoli, come liberarsi dai condizionamenti e dai traumi.

Il nostro destino, a volte, è quello che ci è capitato senza che potessimo sceglierlo davvero.

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2 Commenti

Mamma Avvocato 15 Marzo 2021 - 10:54

E niente, sono perfettamente e totalmente d’accordo. Mi dicono di pensare a chi sta peggio, però io più ci penso più mi sento male e mi arrabbio perchè è proprio perchè immagino chi sta peggio che vorrei urlare che così non va, che non si può sostenere questo stato di cose, dagli anziani che continuano a morire soli, ai bambini davanti al pc o senza scuola di nessun tipo, alla povertà ed alla disoccupazione…
Il pensiero positivo, il credere in se stessi, attivarsi anzichè subire…è tutto vero ma ogni situazione è a se stante e porta con s+è limiti ed ostacoli intrinsechi e esterni diversi.

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Silvana Santo 19 Marzo 2021 - 11:41

Concordo e ti abbraccio! Non molliamo!

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