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Categoria:

essere madre

figli piccoli, problemi piccoli
essere madre

Quando finisce il nostro ruolo?

by Silvana Santo - Una mamma green 10 Febbraio 2021

Figli piccoli, problemi piccoli. Questo dice l’adagio, che però a me ha sempre dato un certo fastidio.
Non solo perché svilisce la fatica dei neo-genitori e avvilisce le loro speranze e prospettive, ma anche perché, in generale, trovo poco sensato lanciarsi in una gerarchia dei problemi e delle sofferenze. Come a dire che non tutte le difficoltà sono meritevoli della stessa empatia, che non tutte
Non è vero che occuparsi di un neonato sia una responsabilità meno gravosa che seguire un bambino, o magari un adolescente.

Al contrario, è vero semmai, e in quasi un decennio di permanenza controversa nella nebulosa delle madri e dei padri me ne sono definitivamente convinta, che sulla primissima infanzia e sui neo-genitori viene esercitata una pressione sociale (e social) indicibile, che inspiegabilmente si estingue tanto, e quasi all’improvviso, quando i bambini raggiungono l’età scolare.

Se per i primi anni di vita di tuo figlio vieni bersagliata da mille critiche, domande non richieste, indicazioni e teorie, e ti trovi a misurarti con aspettative del tutto irrealistiche, a un certo punto – puf – sembra che i ragazzini e la loro educazione (anche e soprattutto affettiva) diventino una questione paradossalmente secondaria. Come se, una volta che li hai svezzati e inseriti a scuola, “il più fosse fatto”.

Le madri fresche di parto (chissà perché i padri, novellini o già rodati, non sembrano mai così inclini a preoccuparsi o discutere delle scelte in fatto di maternage – che in effetti non si chiama “paternage”, e qualcosa vorrà pur dire) si scannano nei gruppi e nelle pagine Facebook sul latte artificiale e sull’allattamento al seno, sul passeggino e sulla fascia, sul cosleeping e sul metodo “Fare la nanna”. Le casalinghe foraggiano i sensi di colpa delle “madri lavoratrici”, che a loro volta guardano le altre con una malcelata sufficienza. E giù trattati, sondaggi, editoriali e polemiche sull’importanza del nido, dei giochi montessoriani, destrutturati, naturali, sugli effetti a lungo termine del bonding madre-figlio, sull’alto contatto, sull’educazione empatica, sullo spannolinamento e via discorrendo. Se non pasci tuo figlio con germogli biologici da te prodotti con terriccio fertilizzato con il limo derivato dalle esondazioni del Nilo, sei una pessima madre. Se non stimoli adeguatamente tuo figlio parlandogli in sanscrito e sottoponendolo a giochi educativi e montessoriani, sei una madre degenere. Se ti perdi la sua recita di Natale all’asilo, meriti una convocazione dai servizi sociali.

Ma basta che i bambini raggiungano l’età scolare e la musica cambia. L’attenzione al ruolo dei genitori sbiadisce, i dibattiti e le dissertazioni in tema educativo e parentale smettono di suscitare interesse. Come se, una volta svezzati, questi ragazzini diventassero sostanzialmente e improvvisamente autonomi, e il ruolo delle loro additatissime genitrici finisse all’improvviso col diventare marginale, relativo, tutto sommato aleatorio nello sviluppo della personalità e nel benessere globale dei loro figli.

Difficilmente ci si imbatte in polemiche sull’alimentazione di bambini “grandi” e preadolescenti, sulla quantità e qualità del loro sonno, sulla quantità e qualità del tempo che le madri trascorrono con loro, degli stimoli che gli propongono, dell’empatia che riescono a mostrare nell’accudimento quotidiano. La scuola, che spesso si occupa dei bambini e dei ragazzi per la maggior parte della giornata, diviene l’oggetto principale delle discussioni e delle querelle sui social network. Il capro espiatorio dei problemi educativi, del bullismo, delle fragilità, dei vuoti e delle sofferenze di intere generazioni.

Nessuno, o quasi, sembra indignarsi o preoccuparsi se i ragazzini passano la maggior parte delle loro giornate lontani dai genitori, se trascorrono lunghe ore soli davanti a uno schermo, se si alimentano in modo casuale o malsano. Al massimo, dopo ogni tragedia presunta o reale che assurge agli onori della cronaca, ci si accapiglia per qualche giorno sull’uso della tecnologia e dei social nei ragazzini molto giovani, sull’opportunità di vigilare, limitare, filtrare.

Eppure, almeno secondo me, un bambino in crescita e poi un (pre)adolescente e un giovane adulto ha ancora più bisogno di avere accanto, e successivamente “alle spalle”, una guida attenta, un esempio consapevole, una sponda e un rifugio. Anche, e forse soprattutto, negli anni della sua vita in cui è assolutamente convinto di poterne invece fare a meno.

Paradossalmente, per come la vedo io, il “tempo di qualità e quantità” con i figli diventa ancora più prezioso e importante quando questi figli diventano un po’ più grandi, quando il processo educativo si fa serio e complicato, quando le influenze dall’esterno diventano significative, nel bene e nel male.

E invece mi sembra che, in nome della presunta “autonomia” dei figli, la tendenza sia quella di crocifiggere una madre perché non allatta al seno, o perché rientra al lavoro con un figlio di pochi mesi, per poi assistere nella totale indifferenza al destino educativo di intere generazioni di bambini, ragazzini e adolescenti. Senza interrogarsi sul ruolo che i genitori dovrebbero avere, sui principi cui ancorarsi, sugli stimoli (anche culturali!) da offrire, sui divieti sacrosanti da imporre, sulle esperienze da condividere con i figli.

Perché tanto, a quanto pare, una volta svezzati “sono grandi, ormai”.

10 Febbraio 2021 3 Commenti
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creare la magia del natale per i bambini
essere madre

10 modi per creare la magia del Natale per i bambini

by Silvana Santo - Una mamma green 18 Dicembre 2020

La magia del Natale non allietava più la mia vita da molti anni, prima dell’arrivo di Davide e Flavia. Dopo i magici Natali della mia infanzia, avevo perso gran parte del mio spirito natalizio, in parte a causa del disincanto dell’età adulta e della crisi di alcune mie convinzioni religiose, in parte per le mutate abitudini familiari e per diverse dolorose perdite che purtroppo la mia famiglia ha dovuto subire negli anni. Le festività di fine anno erano diventate un motivo di malinconia e disagio (e il Capodanno, in parte, lo è tuttora, a meno di riuscire a salire su un aereo!). Avere dei bambini, però, ha riacceso in me il desiderio e la volontà di trasformare il Natale in un periodo magico e incantato, che i miei figli potessero vivere con allegria e amore, e ricordare con emozione per il resto della loro vita. Negli ultimi anni, allora, ho cercato ogni modo possibile per regalare la magia del Natale ai miei bambini, alimentando la loro immaginazione e costruendo quelli che spero saranno tra i loro ricordi più felici.

Ecco dunque le abitudini natalizie che riempiono la nostra casa di magia per un mese all’anno!

1. L’albero di Natale e gli addobbi

addobbi di natale

Partiamo dall’ABC, dalla quintessenza della magia del Natale (per i bambini e non solo): gli addobbi natalizi, a cominciare dal tradizionale abete addobbato, che a casa nostra è piccolino e adorno dei numerosi cimeli acquistati durante i nostri viaggi, ma anche di tante decorazioni per lo più in legno, latta e stoffa. Nonostante la mia “napoletanità”, non sono particolarmente amante del presepe tradizionale, ma abbiamo comunque alcune piccole e simboliche natività che sistemiamo in giro su mensole e librerie. Il pezzo “forte” dei nostri addobbi natalizi, però, è un improbabile copri-water in panno a forma di pupazzo di neve. No comment!

2. Il calendario dell’avvento

calendario dell'avvento per bambini

Dicembre è il solo mese dell’anno in cui i miei figli si catapultano giù dal letto con entusiasmo incontenibile. E il merito si deve totalmente al calendario dell’avvento, un elemento a mio parere molto utile per regalare un pizzico di magia natalizia ai bambini di qualunque età. Non essendo troppo versata nelle attività manuali, personalmente non ho l’abitudine di realizzare il calendario dell’avvento con le mie mani. Quest’anno ne abbiamo ricevuti in dono due, da due persone speciali e alle quali vogliamo tanto bene. Sia il primo, artigianale e bellissimo, realizzato con materiali naturali, che l’altro dedicato a una delle passioni di famiglia (Harry Potter, guarda un po’!) hanno riscosso grandi consensi, e sono il primo pensiero di Davide e Flavia quando si svegliano al mattino.

3. Luci e candele

candele per la magia del natale

Nella mia piccola casa, candele, lanterne e stelline luccicano praticamente ogni sera dell’anno, a prescindere dalle stagioni, dal meteo e dalle eventuali ricorrenze. Per niente al mondo, quindi, potrebbero mancare nel periodo di Natale! Il mio consiglio è di non lesinare sulla qualità dei prodotti che comprate, scegliendo luci sicure ed efficienti e candele naturali, meglio ancora se artigianali.

4. Elf on the shelf

elfo di natale per bambini

Da un paio di anni abbiamo adottato questa tradizione americana che consiste nell’arrivo di un elfo del Polo Nord (o più elfi: noi per esempio abbiamo Arya e Timo) all’inizio dell’avvento. Ogni notte, mentre i bambini dormono, l’elfo si diverte a combinare marachelle e architettare scherzi sempre nuovi, che saranno poi scoperti al mattino con grande divertimento di tutti. Durante il giorno, invece, l’ospite immobile tiene orecchie e occhi ben aperti per monitorare il comportamento dei piccoli di casa, e fare il suo report finale niente meno che a Santa Claus in persona. A casa nostra il rito di Elf on the Shelf riscuote davvero un grande successo. Anche se richiede un certo impegno da parte dei genitori, che ogni sera devono “aiutare” l’elfo a compiere un prodigio sempre nuovo, questa consuetudine rende davvero magica per i bambini l’attesa del Natale. I “nostri” Arya e Timo, in particolare, non somigliano ai classici elfi che popolano le case durante l’avvento ma sono più piccini e con sembianze più nordiche (li ho adottati in un negozio Tiger!).

5. Attività creative a tema

attività creative di Natale

Sia Davide che Flavia amano qualsiasi attività che preveda l’uso di colla, forbici, tempere, brillantini, legnetti, nastrini e chi più ne ha più ne metta. In casa abbiamo sempre disponibili un paio di contenitori traboccanti di materiali creativi e oggetti da riciclare, che loro utilizzano a piacimento per gli scopi più disparati. Da diversi anni ho l’abitudine di regalare loro, a dicembre, un libro natalizio di attività creative da poter realizzare nelle ore libere, per dar vita a un po’ di magia del Natale extra!

6. Biscotti e dolci natalizi

dolci natalizi per bambini

Non sono certo quella che si definisce una cuoca sopraffina, e soprattutto non sono abituata a preparare spesso dolci e torte. Però amo alla follia i biscotti, e soprattutto a Natale mi piace fare alcuni in casa insieme a Davide e Flavia. Oltre ai classici cookies al cioccolato, ci piacciono tanto i biscotti allo zenzero, ma quest’anno ci siamo cimentati anche nei tradizionali cinnamon rolls (i dolci nordici alla cannella sono una nostra passione, mentre i miei figli non sono particolarmente amanti delle leccornie natalizie di casa nostra). La ricetta l’avevo trovata sul profilo di Elegrafica, che a sua volta, se non ricordo male, l’aveva presa qui.

7. Musica natalizia

magia del natale bambini

Un ingrediente fondamentale dell’atmosfera natalizia è di certo la musica! Playlist a tema, grandi classici e brani tratti dalle recite scolastiche degli anni passati sono spesso in esecuzione a casa nostra, anche semplicemente mentre apparecchiamo la tavola per la cena.

8. Libri per creare la magia del Natale per i bambini

libri di Natale per bambini

Per quanto riguarda le letture natalizie, ovviamente non avete che l’imbarazzo della scelta. Dai classici di Natale della Disney alle leggende dei popoli scandinavi, dalle poesie alle filastrocche adatte per bambini di qualunque età. Quest’anno, per esempio, ci siamo regalati un libro magnificamente illustrato sulla Natività di Gesù: non so come la pensiate in fatto di fede, ma a mio parere ha senso, se si decide di festeggiare il Natale, raccontare ai bambini l’aspetto religioso della festa, che poi ne costituisce l’origine e il senso. E questo a prescindere dalle proprie convinzioni religiose.

9. La casetta di pan di zenzero

casetta di pan di zenzero natale

Da bravi appassionati di Scandinavia e tradizioni natalizie nordiche, in casa nostra, sotto Natale, non manca mai una coloratissima casetta di pan di zenzero. Viste le mie limitate attitudini alla pasticceria, di solito prendiamo il kit di Ikea, con gli elementi di biscotto, le decorazioni e la colla alimentare (stavolta ci siamo premurati di acquistarlo addirittura all’inizio di novembre, visto il progressivo peggioramento della pandemia di Covid 19 e la previsione, poi azzeccata, di limitazioni via via più severe).

10. Laboratori e viaggi a tema

attività e viaggi di natale per bambini

Un altro elemento che trovo molto efficace per riempire il Natale dei bambini di magia sono le esperienze a tema, da condividere quando possibile con altri bambini. Quest’anno, per forza di cose, dovremo accontentarci di qualche laboratorio online, ma di solito cerchiamo di partecipare ad almeno un laboratorio tematico in un museo o in qualche centro per bambini. L’apice della nostra “natalitudine” familiare, che credo non potrà in alcun modo essere eguagliato (soprattutto per il costo, sigh), resta il viaggio di Capodanno a casa di Babbo Natale di qualche anno fa, che Davide e Flavia custodiscono ancora tra i loro ricordi più preziosi, nonostante lei avesse appena 3 anni. Ma i mercatini di Natale, se posso, li evito volentieri, a meno che non servano dell’ottimo vin brulé!

Voi cosa fate per rendere magico il vostro Natale in famiglia? Vi sentite più elfi, più grinch o (come me) un misto di entrambe le cose?

18 Dicembre 2020 2 Commenti
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essere madre

“Te lo ritroverai nel lettone fino a 15 anni”

by Silvana Santo - Una mamma green 11 Dicembre 2020

Quando Davide era piccolo, mi sono ostinata per mesi a farlo dormire nella sua culla, nonostante lui mostrasse che proprio non ci voleva restare. Altrettanto a lungo, mi sono sforzata di non farlo addormentare al seno, nonostante fosse la cosa che, palesemente, lo rendeva più tranquillo. Quando poi, nella canonica estate fra i due e i tre anni, abbiamo tentato di “spannolinarlo”, sono andata in crisi di fronte alle sue sfacciate resistenze, per non parlare dell’ansia con cui ho vissuto quello mi pareva un abbandono del ciuccio decisamente tardivo. Avevo paura di instaurare o di mantenere in essere, come avevo sentito dire decine di volte, “cattive abitudini” che sarebbero diventate poi molto difficili da eradicare. Di ritrovarmelo nel mio letto fino alla maggiore età, di non riuscire più a svezzarlo se non a prezzo di sacrifici e sofferenze notevoli.

Con Flavia è stato un po’ più facile, lei ha goduto da questo punto di vista di alcuni benefici che i secondogeniti ricevono in dote pur senza merito alcuno. Ha potuto contare su una madre un po’ più smaliziata e consapevole, già passata e riemersa relativamente indenne dalle forche caudine dell’inesperienza, dei luoghi comuni, dei consigli non richiesti. Per quattro mesi, per sua scelta, ha dormito solo sul mio petto o su quello di suo padre. Un letto tutto suo, quando era una neonata e manifestava la propria necessità assoluta e ineludibile di contatto, non glielo abbiamo nemmeno mai comprato. Eppure, anche al cospetto della mia seconda figlia, mi è successo spesso (e talvolta mi capita ancora) di perdere il senso della prospettiva e sentirmi sopraffatta dalla preoccupazione che un certo status quo, a causa della mia presunta “mollezza educativa” potesse “non cambiare più”.

Beh, sapete cosa vi dico? Quando ho sentito che per me era giunto davvero il momento di smettere di allattare i miei figli, semplicemente ho smesso. Per un figlio e poi per l’altra. Abbiamo sostituito un po’ alla volta, e senza traumi, le poppate con le coccole, le ninne nanne e le canzoni. Non appena Flavia si è sentita sufficientemente sicura e serena da lasciarsi andare un po’ di più al di fuori del pancione che era stata la sua casa per nove mesi, ha cominciato a riposare da sola, sempre più a lungo. Quando Davide ha capito di essere pronto a mollare il pannolino, alla veneranda età di tre anni e un mese, in pieno inverno e pochi giorni prima di un viaggio in aereo, banalmente, ce lo ha detto lui. E da allora non ne ha avuto più bisogno neanche di notte (ad eccezione di episodi che si contano sulle dita di una mano sola, non so, personalmente, cosa significhi raccogliere pipì dal pavimento o lavare lenzuola bagnate). E ora che i miei figli hanno 8 e 6 anni, nonostante la lunga stagione di incondizionato cosleeping, dormono entrambi nella stanza che condividono, stabilmente e senza problemi (tutti e due, non so se sia o meno una coincidenza, hanno completato spontaneamente questo passaggio attorno ai 6 anni, dopo una serie di progressi graduali, qualche regressione, sporadiche concessioni che volentieri concediamo ancora, sfruttando il letto aggiuntivo tuttora disponibile nella nostra camera da letto).

Quelli che sembravano pericolosi e inguaribili “vizi” sono stati ridimensionati dal tempo, dalla crescita, dalla naturale maturazione dei miei figli. Dal loro potente, istintivo e sano istinto di indipendenza e autodeterminazione.

Non sto dicendo, e ci mancherebbe, che i bambini vadano “assecondati” sempre e comunque. E neanche che non valga la pena tentare di incoraggiare ogni giorno la loro autonomia. Dico però che, forse, per la serenità dei bambini stessi ma anche di tutti i neo-genitori, potrebbe essere utile fare una riflessione collettiva su quali siano le reali istanze educative da perseguire e quali, invece, dei bisogni individuali profondi – diversi per ciascun bambino e per ciascuna madre – da assecondare o addirittura sfruttare senza troppe paranoie (dare il seno a richiesta, per esempio significava disporre di una soluzione infallibile e sempre disponibile di fronte a malesseri, spaventi addormentamenti difficili, stanchezze moleste e via dicendo). E liberarsi da una certa ossessione, che a me pare molto “italica” alla precocità e alle tappe prefissate. Un po’ contraddittoria, peraltro, visto che per tanti altri aspetti i bambini e i ragazzi italiani mi sembrano poi tra quelli meno “autonomi” e precoci in assoluto.

Sto dicendo, insomma, che magari vale la pena chiederci se abbia senso impuntarsi (e magari prendersi un mezzo esaurimento nervoso) perché il proprio figlio di pochi mesi dorma tutta la notte nella culla, o perché tolga il pannolino a 2 anni spaccati, per poi ritrovarsi a preparare il suo zaino in terza elementare, o a rifargli il letto quando ha già 15 anni.

11 Dicembre 2020 4 Commenti
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essere madre

Se voi non ci foste

by Silvana Santo - Una mamma green 1 Dicembre 2020

Se voi non ci foste, quest’anno senza tempo sarebbe stato più facile. Più veloce e più lento assieme, meno preoccupante. Incredibilmente meno faticoso. Avrei dovuto trovare il modo per riempire le giornate e scongiurare la noia. Per rompere il silenzio. Mi sarei allenata con regolarità, avrei mangiato bene, mi sarei concessa maratone di serie TV e avrei forse ripreso in mano la bozza di quel romanzo che mi si agita dentro da anni. Mi sarei risparmiata l’esperienza tostissima della Didattica a distanza, l’onere e la responsabilità di farvi da insegnante, il lavoro quotidiano di smistare centinaia di messaggi, di digerirli, a volte di decidere di ignorarli e basta.

Ma se voi non ci foste, quest’anno sarebbe stato ancora più insensato e vuoto. Avrei dovuto fare i conti col silenzio, con la noia, con le lunghe ore senza impegni. Avrei avuto molto più tempo e molte più energie per preoccuparmi della pandemia e delle sue conseguenze – effettive o potenziali – sulle persone che amo. Per realizzare che non mi è consentito viaggiare, organizzare viaggi o anche solo sognarli. Per sentire la mancanza delle persone che non posso incontrare. Se voi non ci foste, sarei stata per tutto l’anno a corto di baci e di abbracci, di fantasia e di colore. E soprattutto avrei avuto una ragione in meno per tentare con ogni fibra di mantenere salda, in qualche modo, la speranza. Nonostante tutto.

È sempre così, con voi due. Da sempre. Mi disordinate la vita e la casa, mi riempite la testa di rumore, vi prendete il mio spazio, il mio tempo e le mie energie. La mia presunta autonomia. Rendete le cose più complicate e più faticose. Eppure mi inchiodate alla vita come niente e nessuno era mai riuscito a fare. Mi richiamate alla necessità della speranza, mi obbligate alla ricerca della lucidità. Non si capisce mai, con voi due, se mi fate prigioniera o mi regalate la vera libertà.

1 Dicembre 2020 4 Commenti
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Parole fuori moda

by Silvana Santo - Una mamma green 20 Ottobre 2020

Vorrei insegnarvi parole fuori moda.
Vorrei insegnarvi l’uguaglianza, che quando ero piccola io veniva considerato un auspicio universale, un dovere civico da perseguire tutti assieme. E adesso sembra un’istanza morta e sepolta, una dichiarazione collettiva di fallimento e di resa. Qualcosa a cui, semplicemente, non crede più nessuno, come gli unicorni e gli elfi dei boschi.
Vorrei insegnarvi la solidarietà, che prima si spiegava a scuola, si predicava nelle chiese, si praticava nelle famiglie. E adesso sembra un vezzo ipocrita da “radical chic”. Una debolezza per i fragili, una pretesa patetica e quasi oltraggiosa dei cosiddetti buonisti.

Vorrei insegnarvi la tristezza. Che una volta era un sentimento legittimo, uno stato d’animo fisiologico e accettabile. Una delle infinite sfumature della vita. Ma che a un tratto non esiste più, soppiantata dalla depressione, dalla patologia, dal disagio che va per forza curato, risolto, resettato in qualche maniera. E possibilmente a tempo di record, così che dia agli altri il meno fastidio possibile.
Vorrei insegnarvi la natura. Che era madre e figlia assieme, un’eredità da raccogliere e un lascito da preservare. E ora è un capriccio naif, una preoccupazione superflua. Un aspetto secondario di cui ci si ricorda solo quando, gridando il suo insopprimibile dolore, diviene all’improvviso “matrigna” e feroce.

Vorrei insegnarvi la sobrietà. La libertà dell’essenziale, la solida dignità del necessario. Che mio padre e mia madre mi hanno insegnato con l’esempio quotidiano, ma che ho perso di vista io per prima, condizionata dai falsi bisogni e da un vuoto che in qualche modo si deve pur cercare di riempire.
Vorrei insegnarvi la compassione. La pietà, la misericordia. Che erano segni di bontà d’animo e di profonda umanità, ma adesso sembrano sintomi di fiacchezza e di mancanza di spina dorsale.

Vorrei insegnarvi, soprattutto, la verità. La sua potenzia invincibile, il suo coraggio indomito. Vorrei insegnarvi l’onestà intellettuale, oltre la finta perfezione e l’aura patinata dei social. Vorrei insegnarvi la capacità di essere autentici anche quando questo significasse sentirsi anticonformisti, impopolari, diversi. Sentirsi soli.

Vorrei insegnarvi parole fuori moda. Parole che nel tempo hanno perso colore e vigore. Parole che erano fondative della nostra stessa civiltà e che ora sono dimenticate, ridicolizzate, fraintese.
Vorrei insegnarvi parole fuori moda, per aiutarvi a trovare la felicità duratura e la vera libertà.

20 Ottobre 2020 0 Commenti
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Somiglianze

by Silvana Santo - Una mamma green 4 Agosto 2020

Ho un figlio che, a prima vista, non mi somiglia granché.

Ci soffrivo, lo ammetto, quando lui era appena nato e tutti non facevano che rimarcare – a volte con un sarcasmo di cui non ho mai compreso il senso – che fosse “la copia esatta di suo padre”. So che è un sentimento puerile, ma all’epoca era tutti così nuovo e difficile, e la maternità mi sembrava una condizione così estranea, che anche questi particolari, conditi con un cocktail di ormoni e la deprivazione del sonno, causavano dispiacere.

Quando è nata sua sorella, circa un anno e mezzo più tardi, è stato come se la lotteria genetica avesse voluto pareggiare i conti. Flavia, in certe fasi della sua prima infanzia, più che mia figlia sembrava un mio clone. Tuttora condividiamo ancora moltissimo del nostro aspetto esteriore, incluse le forme del corpo, la distribuzione del grasso, le dita dei piedi e finanche gli odori corporei.

Ma nel tempo, anno dopo anno, è sempre più chiaro quanto io e Davide fossimo intimamente somiglianti. Condividiamo interessi e attitudini, paure, vulnerabilità ed entusiasmi. Anche certi accessi di irrazionalità e di rabbia, destinati a svanire poi in un lampo, così come si sono manifestati. A volte lo guardo e mi sembra di specchiarmi. Penso, spaventandomi un pochino, di non aver mai incontrato un’altra persona così simile a me.

Anche se non è semplice ammetterlo (e non sono in molti, forse, a essere disponibili a farlo) è naturale cercare se stessi dentro i propri figli. Siamo nient’altro che animali, dopo tutto, e diventiamo genitori anche e principalmente per rispondere a un istinto potente che ci raccomanda di perpetrare noi stessi, come specie ma anche come individui. I figli, comunque siano venuti a noi, sono il nostro lascito definitivo: tutto ciò che di noi, alla fine, sopravviverà a noi stessi.

Non è sempre facile, al contrario, individuare nella propria progenie qualcosa che ci è estraneo e alieno, qualcosa che non ci rassomiglia o che magari è antitetico rispetto a quello che noi sentiamo di essere. Qualcosa che non comprendiamo, magari, o che disapproviamo apertamente. Ma è questa la parte più interessante della sfida: amare con tutto il cuore quanto dei nostri figli non arriviamo a riconoscere, a capire, a condividere. Amare la parte di loro che da noi è più distante. Forse, una vita basterà.

4 Agosto 2020 0 Commenti
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essere madre

Nessuna di noi ha la verità in tasca

by Silvana Santo - Una mamma green 8 Luglio 2020
Ho allattato i miei figli per una media di un paio di anni a testa, ma non mi sento, per niente al mondo, una “mamma pancina”. Ho una laurea in scienze, non credo nell’omeopatia, non ho mai dubitato dell’assoluta utilità dei vaccini (che aggiorno regolarmente anche per me stessa, per inciso).
 
Ho viaggiato coi miei figli fin da quando avevano pochi mesi. Attualmente, Davide e Flavia sono già stati in 4 diversi continenti, e hanno all’attivo viaggi dal Circolo Polare Artico al deserto dell’Oman. Eppure, per anni ho trovato semplicemente devastante uscire a cena con loro. E quando ho la necessità di mettere piede in un centro commerciale assieme ai miei figli, prego tutte le divinità che conosco.
 
Non credo, in linea generale, nei premi e nelle punizioni. Sono, per certi versi, un genitore molto permissivo, e sono assolutamente convinta che l’educazione sia un processo orizzontale e biunivoco, fondato non già sull’autorità, quanto sull’empatia, sul dialogo e sulla condivisione. Eppure, non conosco di persona altre famiglie in cui siano in vigore regole altrettanto “rigide” delle nostre in tema di orari, tecnologia, televisione, pasti: niente videogiochi (per il momento), niente TV quando si mangia (né cellulare al ristorante), nanna alle 21.30, salvo motivate eccezioni, anche in estate e in pandemia.
 
Sono fissata con gli orecchini, con le collane d’argento, con gli anelli. Ho 6 fori alle orecchie, un piercing fallito e un tatuaggio, cui conto di aggiungerne altri ben presto. Eppure, mi trucco pochissimo, non sono mai stata dall’estetista (salvo una volta a 15 anni, per una fallimentare pulizia del viso) e il mio concetto di “cura dei capelli” consiste nel lavarli, mettere una spuma e lasciarli asciugare all’aria.
 
La mia playlist è un coacervo improbabile di generi e lingue. Adoro i cantautori italiani, ma anche il rock melodico e certo folk di ispirazione irlandese. Eppure, senza vergogna, non disdegno le colonne sonore di alcuni cartoni animati, certi brani latini o delle hit strappalacrime che canto a occhi chiusi e voce piena.
 
Tengo tantissimo al mio lavoro, a vivere una dimensione professionale, a guadagnare, a formarmi di continuo, a relazionarmi con dei colleghi e collaboratori. Eppure mi è capitato di rifiutare opportunità importanti per non essere fagocitata dal lavoro, per non ritrovarmi a passare coi miei figli una manciata di quarti d’ora al giorno, per non dover rinunciare al tempo prezioso che trascorro facendo le cose che, oltre al mio lavoro, mi appassionano.
 
Io e mio marito stiamo assieme da quasi 20 anni. Passiamo tutte le serate in beata solitudine, mentre i nostri figli dormono, guardando serie TV, mangiando sushi, stando assieme. A volte ci ritroviamo in pausa pranzo al ristorante da soli. Eppure, non sentiamo l’esigenza di viaggiare senza Davide e Flavia, o di addormentarci senza di loro, neanche per un breve weekend.
 
Non esiste un modo giusto per essere madri, genitori, donne, persone. Non esistono etichette che possano definirci, catalogarci, ridurre la nostra complessità ad una semplice parola. A un titolo, a una definizione. Siamo, tutti noi, esseri complicati e poliedrici, unici e speciali. Che viviamo la genitorialità con i nostri strumenti e le nostre personalissime attitudini. Che agiamo, sentiamo e sbagliamo in un modo che è esclusivamente nostro.
 
Nessuna di noi ha la verità in tasca. Nessuna di noi è più equilibrata, più libera o più sana delle altre. Siamo tutte madri, tutte donne, tutte a posto. Nessuna con la verità in tasca, nessuna con la formula magica universale a disposizione. Ognuna di noi ha il proprio vissuto, il proprio credo, i propri mostri e i propri superpoteri, e francamente va benissimo così.
 
L’unica cosa che conta, secondo me, è restare fedeli a se stesse. Tutto il resto, scusatemi, ma sono tutte stron**te.
8 Luglio 2020 2 Commenti
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Tutti i regali che mi avete fatto

by Silvana Santo - Una mamma green 26 Giugno 2020

Ho giocato, negli ultimi anni, quanto e più che nella mia “prima infanzia” (e io sono stata per lunghi anni una bambina che giocava tantissimo). Ho giocato con giocattoli innovativi o tradizionali, digitali e analogici, montessoriani, alternativi e mainstream. Ho rigiocato con emozione con i giochi della mia stessa infanzia. Ho giocato con giocattoli di legno e plastica, di carta, di metallo, di stoffa e finanche di vetro. Ho giocato, soprattutto, con giochi inventati e costruiti da voi, con amici invisibili e con varianti improbabili e bislacche alle regole convenzionali. Ho passato ore e giorni e settimane a cimentarmi in indovinelli, rime, mimi, rebus, ombre cinesi, origami, disegni e creazioni dalle tecniche più disparate. Mi avete regalato un viaggio quotidiano nell’eden fiorito della vostra immaginazione, accompagnandomi con entusiasmo su sentieri sempre nuovi, spalancandomi dinanzi orizzonti vergini e scenari di una ricchezza che mai avrei saputo anche solo sognare.

Ho viaggiato con voi più di quanto non avessi viaggiato in tutta la mia vita (e io sono sempre stata una viaggiatrice incallita). Per terre su cui mai avrei messo piede nella mia vita “di prima”, e che ora sono diventate tane e rifugi del mio povero cuore. Case lontane da casa, posti che abito ogni notte dentro i miei sogni, e che vorrei incidere sulla mia pelle a ricordo definitivo della felicità che ho provato percorrendo le loro contrade. Mi avete regalato nuovi occhi per guardare il mondo, nuova energia per attraversarlo, nuove parole per cantarlo. Avete squarciato il soffitto della stanza in cui vivevo, e mi avete regalato un cielo mobile e vivo da guardare ogni giorno.

Ho letto con voi e per voi più di quanto non avessi letto nel mio ultimo decennio da non-madre (e io sono sempre stata una lettrice vorace e onnivora). Ho letto di giorno e di notte, con la mia voce e con mille voci tirate fuori dall’immaginario della bambina che ancora abita dentro di me. Ho letto storie sensazionali e sconvolgenti, ho pianto fino alle lacrime e riso fino alle lacrime, ho avuto epifanie devastanti o salvatrici, mi sono persa e ritrovata mille volte tra illustrazioni incantevoli, sogni, leggende e rime.Mi avete regalato l’esperienza multicolore, preziosa e formativa della letteratura contemporanea per l’infanzia, aprendomi gli occhi su un mondo che non sapevo nemmeno esistesse, ferma inevitabilmente al retaggio delle mie letture infantili di 25 anni fa.

Ho ricevuto da voi più complimenti e parole d’amore che da chiunque altro incontrato finora (e nella mia vita non è mai mancato l’amore). Apprezzamenti ingenui ed esagerati, dichiarazioni d’amore di improbabile portata letteraria. Piccole esternazioni senza pudore e senza misura.
Mi avete regalato una dose minima di indulgenza all’indirizzo di me stessa. Il perdono parziale dei miei difetti più immondi, l’accettazione relativa dei miei tanti limiti. L’esperienza di un amore diverso, esigente eppure incondizionato. E di una fiducia inscalfibile, capace di rinnovarsi dopo ogni frattura, dopo ogni delusione, dopo ogni tradimento.

Ho visitato più musei, teatri, parchi, biblioteche con voi che con qualsiasi altra persona al mondo (e fin da piccola sono una frequentatrice seriale di musei). Mi avete regalato la consapevolezza del tempo che passa veloce, della preziosa fragilità della vita e della necessità di non sprecarne neanche una goccia, di distillare la meraviglia da ogni ora che ci viene concessa. Avete ravvivato la mia fame di ascoltare, di conoscere, di toccare, di assaggiare. Di incontrare. Di sapere. Mi avete finalmente insegnato che ogni momento unico e che ogni giorno può diventare speciale, se solo noi glielo permettiamo.

Ho cantato, ballato, recitato, saltato, nuotato, camminato scalza nel fango e nella polvere. Ho impastato e fritto e zuccherato e shakerato. Ho inchiodato, incollato, progettato e costruito. Come mai avrei fatto senza di voi, se non per voi.

Mi avete regalato la capacità di apprezzare finalmente la compagnia di me stessa, l’attitudine a festeggiare anche senza motivo, la leggerezza che forse non avevo in dotazione nemmeno quando ero giovane come voi. Mi avete regalato una seconda infanzia, centomila volte più bella e libera e “mia” di quella che avevo vissuto, e che pure era stata bella e felice. Mi avete regalato un’intensità vertiginosa, un coraggio mai immaginato. E la dimensione del “qui e ora”, il vostro miracolo più sensazionale.

26 Giugno 2020 2 Commenti
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Tradizioni di famiglia

by Silvana Santo - Una mamma green 17 Giugno 2020

Quando ero piccola, la domenica era il giorno in cui – non ricordo, sinceramente, se con piacere o con pazienza – indossavo i vestiti migliori, le calze di filanca e le scarpe di vernice. C’erano la Messa nella nostra parrocchia, la passeggiata in centro e il pranzo coi parenti, che era lauto, ma non esagerato, e si protraeva di solito fino al primo pomeriggio. Ogni domenica era uguale alle precedenti, la liturgia familiare si ripeteva senza imprevisti stagione dopo stagione, anno dopo anno. Un altro rito si consumava d’estate, quando partivamo per la lunga vacanza d’agosto nella grande casa di mia zia. Tutte le mattine venivo svegliata alla stessa ora per andare in spiaggia con la corriera delle 8.30 o, meglio ancora, delle 8 in punto. Ogni giorno facevo silenziosamente a gara col mondo per essere la prima a mettere piede nella gelida acqua mattutina, e quando ci riuscivo mi sentivo davvero fichissima (anche se, a pensarci adesso, forse ero semplicemente sola). Rientravamo presto, in tempo per evitare le ore più calde e fare un lungo riposino dopo la doccia e il pranzo. Solo la domenica non si scendeva in spiaggia, per salvaguardarci dall’assedio dei turisti pendolari in arrivo dalla terraferma. E per consumare il solito rituale della Messa con i vestiti di piquet e delle paste dolci che mio zio spacchettava con l’acquolina in bocca alla fine del pranzo.

Oggi la domenica (o il sabato) è il giorno in cui inforco le mie scarpe da trekking, o i sandali da passeggio, e infilo dei pantaloni tecnici da escursionismo. Riempio la borsa termica di provviste frugali e parto con la mia famiglia per “l’avventura della settimana”. Sempre un posto diverso, un’attività nuova, un angolo della mia terra da esplorare. Fiumi, cascate, monti e valli, siti archeologici, laghi e spiagge. Ma anche musei e castelli, teatri o laboratori. Non metto piede in una chiesa, se non per visitarne le opere d’arte e l’architettura, da non so quanti anni. Se possibile, la domenica è anche il giorno dedicato agli amici vecchi e nuovi, o almeno a quelli, e in effetti non sono tanti, che non portano avanti a loro volta l’irrinunciabile tradizione di famiglia del lungo pranzo a casa con i parenti e coi vestiti buoni (magari con l’aggiunta tutta contemporanea di una passeggiata pomeridiana al centro commerciale). E l’estate, beh, per noi l’estate non è tale senza un viaggio itinerante che si componga di esperienze multiple, di qualcosa di mai fatto prima, di una regione straniera in cui mettere piede per la prima volta, di sapori esotici da sperimentare. Il mare non sempre è presente, perché in fondo ci troviamo più a nostro agio a viverlo fuori stagione, magari, se siamo molto fortunati, ad altre latitudini.

Ricordo con tenerezza le domeniche e le estati della mia infanzia. Le ricordo come un periodo sereno e rassicurante, pieno d’amore, e sono grata di averle vissute. Ma se oggi mi si chiedesse di passare i fine settimana seduta a tavola con nonni e zii, o di trascorrere l’estate sotto un ombrellone, magari tornando nella stessa spiaggia anno dopo anno, credo proprio che non riuscirei a sopportarlo. La vivrei come una limitazione intollerabile della mia libertà personale, come una trappola senza via di uscita. Come una sorta di tradimento verso la mia vera natura. E, soprattutto, come uno spreco imperdonabile di tempo, di possibilità, di vita. Una condanna all’immobilità che finirebbe col rendermi perennemente infelice, senza rimedio.

Si diventa adulti – e si diventa genitori, soprattutto – non solo per emulazione, ma anche per antitesi. Accade, una volta cresciuti, di trovarsi a fare scelte che, rispetto a quelle di chi ci ha preceduto, si collocano più in un’ottica di contrappasso che di analogia. E magari questo si verifica automaticamente, in modo spontaneo, senza che sia frutto di una decisione deliberata e consapevole. Succede, e basta. Perché qualcosa dentro di noi ci richiama a un certo punto alla nostra intima natura, alla nostra personale e insindacabile idea di felicità. Alla consapevolezza che ci è dato di vivere una volta soltanto, per una stagione molto fugace, e abbiamo il preciso dovere di farlo nel modo che più ci rassomiglia. E così ci si può trovare a dare ai propri figli un’infanzia drasticamente diversa rispetto alla propria, chiedendosi se, alla fine, ripenseranno anche loro a questi primi anni senza nostalgia ma con affetto e dolcezza. Forse, anche gli errori che facciamo li commettiamo per contrappasso, in qualche modo.

Le tradizioni di famiglia sono una cosa molto seria. Sono importanti e preziose, sono le colonne portanti della nostra memoria profonda, l’orizzonte dal quale partire verso il nostro esclusivo destino. Ma non è detto che debbano essere uguali per tutti, né che debbano restare inalterate generazione dopo generazione. Forse i miei figli compreranno una casa sul litorale tirrenico, e ci passeranno ogni villeggiatura e ogni domenica della loro vita adulta, con addosso i vestiti buoni e le scarpe eleganti. Non sarebbe certo un tradimento, ma un’affermazione di sé e un esercizio di libertà. E andrebbe benissimo così.

17 Giugno 2020 3 Commenti
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Genitori in pandemia

by Silvana Santo - Una mamma green 23 Aprile 2020

Mia nonna era nata nel ’21, appena dopo la famigerata epidemia di Spagnola di cui tanto si racconta negli ultimi, tragici mesi. Poco più che adolescente, ha avuto tre figlie in due anni, lontano da casa e durante una guerra da cui poi, assieme alle figlie, è dovuta scappare con mezzi di fortuna. Mia nonna non ha fatto in tempo a conoscere Davide e Flavia, è morta davanti ai miei occhi pochi mesi prima che io mi sposassi. Ma se fosse ancora tra noi, probabilmente, penserebbe che crescere dei bambini adesso – nel benessere, in pace, con i vaccini, il cibo e la tecnologia – sia un’esperienza infinitamente più facile di quella che, settant’anni fa, era toccata a lei.

Dai molti punti di vista, avrebbe ragione. La generazione di mia nonna ha tremato ancora (o ci ha convissuto rassegnata) per la gestosi e le morti di parto, per la poliomielite, per il morbillo, per i deficit nutrizionali nell’infanzia. Se non ricordo male, almeno una delle mie zie porta ancora su una spalla il segno dell’antivaiolosa. Erano altri tempi. Erano tempi duri.

Eppure, e lo dico con rispetto e con la massima consapevolezza, sta diventando sempre più dura anche oggi, perlomeno da un punto di vista psicologico. Già esposti normalmente, come generazione, a una pressione sociale altissima, a un’ansia da prestazione schiacciante (che grava soprattutto sulle madri, ça va sans dire), noi genitori ci ritroviamo da mesi in una condizione di estrema incertezza e profondamente ansiogena. Come tutti, certo. Ma con l’aggravante di dover gestire la responsabilità del benessere, non soltanto fisico, di bambini più o meno piccoli e ignari.

Da lunghe settimane, ormai, ci troviamo sommersi da un flusso ininterrotto e turbolento di informazioni, spesso ridondanti, male espresse, non verificate. E soprattutto, in continua contraddizione tra loro. Proviamo a convincerci con ogni mezzo che l’unica cosa importante, in questo momento, sia tenere i nostri figli al sicuro dal contagio (per il bene loro e non solo), ma veniamo travolti da decine di articoli di sedicenti “esperti” sulle conseguenze devastanti che il lockdown avrà sulla loro psiche, sulla loro capacità di relazionarsi con gli altri, sulla loro autostima. E allora torniamo a non dormire la notte, tormentati dal dubbio che l’isolamento e la reclusione possano essere per loro tanto devastanti quanto l’epidemia, seppure in modo diverso.

Non facciamo in tempo a pensare che, tutto sommato, i nostri figli ci appaiono sereni e fiduciosi anche in questa lunga quarantena, ed ecco che ci viene detto che la calma apparente è solo un’altra manifestazione del disagio, se possibile ancora più grave dei capricci, dei pianti, dell’isteria. E allora cominciamo a scrutare i nostri figli attraverso il filtro dell’ansia, attribuendo ogni richiesta di attenzioni, ogni difficoltà a prendere sonno, ogni passeggera inappetenza ai possibili guasti del lockdown. E proviamo a modificare i nostri comportamenti e le nostre reazioni, ad adattare i nostri criteri educativi alle condizioni, mai vissute prime, della pandemia. Navigando a vista e chiedendoci, inevitabilmente, quanti e quali errori staremo commettendo, seppure in buona fede.

Un giorno veniamo edotti, dal fiero pedagogista di turno, sul quanto, in questo momento, conti solo accompagnare i bambini nell’esperienza straordinaria che, nel bene e nel male, stanno attraversando. Il giorno dopo, un suo autorevole collega tratteggia uno scenario raccapricciante sui danni che i nostri figli dovranno patire per la brusca e prolungata interruzione dell’esperienza scolastica. E allora ci sentiamo investiti da una nuova e schiacciante responsabilità: quella di farci garanti dell’istruzione dei nostri figli, senza però vessarli troppo in questo periodo delicato.

Infettivologi, epidemiologi, virologi, immunologi, microbiologi di ogni età, esperienza e curriculum si sentono in dovere di dirci che i bambini sono sostanzialmente al sicuro dalle conseguenze serie del Coronavirus, anzi che potrebbero addirittura essere refrattari al contagio e non trasmetterlo ad altri. Salvo poi informarci, sempre loro, che no, i nostri figli restano una categoria ad altro rischio, sono “untori”, sono “bombe di virus”, sono i super propagatori del male, angeli della morte scagliati come kamikaze contro di noi e i nostri fragili genitori. E noi lì a cercare di mettere in fila le paure, a tentare di stabilire la gerarchia delle preoccupazioni e la classifica dei sensi di colpa.

In due mesi ci siamo sentiti ripetere fino alla nausea che i piccoli sono quelli che si adattano meglio, che hanno più resilienza e che ricorderanno questo 2020 di tregenda come un periodo sereno e lieve assieme ai loro adorati genitori. Ma anche, con altrettanta sicumera, che dobbiamo prepararci a fronteggiare la devastazione psicologica che i nostri figli di certo manifesteranno. L’ansia, le fobie, l’insicurezza. Il disturbo da stress post traumatico. E noi attoniti, sgomenti, incapaci di decidere se i nostri figli siano destinati tutto sommato a cavarsela, o se dovranno inesorabilmente attraversare le paludi del disagio (finanche più di noi che del malessere psichico siamo la generazione bandiera).

Non posso neanche immaginare come debba essersi sentita mia nonna ventenne stretta tra le truppe di due schieramenti diversi. Minacciata da soldati che incombevano su di lei in una lingua che non capiva, assediata da malattie incurabili e dall’incertezza economica. Ma non è per niente facile nemmeno per noi, figli dei grassi anni ’80, generazione del benessere e della “bella vita”. Disorientati e tormentati ogni giorno dal protagonismo di molti, perseguitati dalla preoccupazione e dall’incertezza di quello che sarà.

23 Aprile 2020 3 Commenti
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Mi chiamo Silvana Santo e sono una giornalista, blogger e autrice, oltre che la mamma di Davide e Flavia.

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